In recent decades, the African Great Lakes region has been affected by serious conflicts that have led to profound humanitarian crises. The region has witnessed massacres, exodus, abuse, enslavement, sexual violence and the recruitment of child soldiers into militias. Sexual crime in conflict settings is the focus of this thesis. The Democratic Republic of Congo (DRC) has been called the ‘rape capital of the world’: there are countless cases of sexual violence committed by combatants during the two Congo wars (1996 - 2002) against women and girls, sometimes also men and especially children. Rape is used by soldiers (and not only) as a weapon to destroy the enemy, mutilating, enslaving and rendering his women and girls sterile, and consequently humiliating the enemy himself for not being able to protect them. The personal and social consequences manifest themselves in forced pregnancies, denial by family members, the spread of sexually transmitted diseases, and severe physical and psychological damage. In a country where tradition is an extremely important pillar, being a rape victim carries a stigma for life. This is why, besides the fear of reprisals, most victims do not report rape, making it one of the most unpunished crimes. This rampant violence has its roots in problems shared by the Great Lakes region: inadequate governance, high poverty rates and ethnic rivalry. However, the DRC has something more that sets it apart: the enormous wealth that its soil harbours such as gold, coltan, cobalt and other precious minerals. Such rich soil also has its downside, however: the resources attract rebel activity, which wants to take control of the extraction and trade of these in order to finance itself. At the same time, rebel groups destroy and plunder the surrounding villages, perpetrating abuse and violence of all kinds. Sexual violence, albeit on a smaller scale, is still perpetrated by militias. The use of rape during conflicts has been going on for hundreds of years. Despite this, international law has only in recent decades considered it a punishable crime: the Special Tribunals in former Yugoslavia (1993) and Rwanda (1994) are pioneers of this new trend. The efforts of the international community manifest themselves in peacekeeping missions, the dark sides of which have also come to light, but also in programmes aimed at disarmament, the reintegration of former soldiers into society, the support of young people and the integration of women into the social and political context.

Negli ultimi decenni la regione africana dei Grandi Laghi è stata colpita da gravi conflitti che hanno portato a profonde crisi umanitarie. La regione è stata testimone di massacri, esodi, abusi, schiavizzazione, violenza sessuale e dell’arruolamento nelle milizie di bambini soldato. Il crimine di natura sessuale in scenario di conflitto è il focus di questa tesi. La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è stata definita la “capitale mondiale degli stupri”: sono innumerevoli i casi di violenza sessuale commessa da parte dei combattenti durante le due guerre del Congo (1996 - 2002) nei confronti di donne e bambine, talvolta anche uomini e soprattutto bambini. Lo stupro viene utilizzato dai soldati (e non solo) come arma per distruggere il nemico, mutilando, schiavizzando e rendendo sterili le sue donne e le sue bambine, e di conseguenza umiliando il nemico stesso per non essere stato in grado di proteggerle. Le conseguenze personali e sociali si manifestano in gravidanze forzate, rinnegazione da parte dei famigliari, diffusione di malattie sessualmente trasmissibili, gravi danni fisici e psicologici. In un Paese in cui la tradizione è un pilastro estremamente importante, essere vittima di stupro comporta uno stigma per la vita. Motivo per cui, oltre alla paura di ritorsioni, la maggior parte delle vittime non denuncia le violenze carnali, rendendo questo uno dei crimini più impuniti. Questa violenza dilagante affonda le sue radici in problematiche condivise nella regione dei Grandi Laghi: una governance inadeguata, l’alto tasso di povertà e la rivalità etnica. La RDC ha però qualcosa in più che la contraddistingue: l’enorme ricchezza che ospita il suo suolo come oro, coltan, cobalto e altri minerali preziosi. Un suolo così ricco ha però anche il suo lato negativo: le risorse attirano l’attività ribelle, la quale intende prendere il controllo dell’estrazione e del commercio di queste per potersi finanziare. Al contempo, i gruppi ribelli distruggono e saccheggiano i villaggi circostanti, perpetrando abusi e violenze di ogni genere. La violenza sessuale, seppur in scala minore, viene perpetrata ancora oggi da parte delle milizie. Il ricorso allo stupro durante i conflitti avviene ormai da centinaia di anni. Nonostante ciò, la legge internazionale lo considera un crimine penalmente perseguibile solo negli ultimi decenni: i Tribunali speciali in ex Jugoslavia (1993) e in Rwanda (1994) sono pionieri di questa nuova tendenza. Gli sforzi della comunità internazionale si manifestano in missioni di peacekeeping, di cui sono venuti alla luce anche i lati oscuri, ma anche di programmi volti al disarmo, alla reintegrazione in società di ex soldati, al supporto dei giovani e all’integrazione della donna nel contesto sociale e politico.

La violenza di genere in teatro di guerra: il caso della Repubblica Democratica del Congo

IACHETTI, ALESSIA
2023/2024

Abstract

Negli ultimi decenni la regione africana dei Grandi Laghi è stata colpita da gravi conflitti che hanno portato a profonde crisi umanitarie. La regione è stata testimone di massacri, esodi, abusi, schiavizzazione, violenza sessuale e dell’arruolamento nelle milizie di bambini soldato. Il crimine di natura sessuale in scenario di conflitto è il focus di questa tesi. La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è stata definita la “capitale mondiale degli stupri”: sono innumerevoli i casi di violenza sessuale commessa da parte dei combattenti durante le due guerre del Congo (1996 - 2002) nei confronti di donne e bambine, talvolta anche uomini e soprattutto bambini. Lo stupro viene utilizzato dai soldati (e non solo) come arma per distruggere il nemico, mutilando, schiavizzando e rendendo sterili le sue donne e le sue bambine, e di conseguenza umiliando il nemico stesso per non essere stato in grado di proteggerle. Le conseguenze personali e sociali si manifestano in gravidanze forzate, rinnegazione da parte dei famigliari, diffusione di malattie sessualmente trasmissibili, gravi danni fisici e psicologici. In un Paese in cui la tradizione è un pilastro estremamente importante, essere vittima di stupro comporta uno stigma per la vita. Motivo per cui, oltre alla paura di ritorsioni, la maggior parte delle vittime non denuncia le violenze carnali, rendendo questo uno dei crimini più impuniti. Questa violenza dilagante affonda le sue radici in problematiche condivise nella regione dei Grandi Laghi: una governance inadeguata, l’alto tasso di povertà e la rivalità etnica. La RDC ha però qualcosa in più che la contraddistingue: l’enorme ricchezza che ospita il suo suolo come oro, coltan, cobalto e altri minerali preziosi. Un suolo così ricco ha però anche il suo lato negativo: le risorse attirano l’attività ribelle, la quale intende prendere il controllo dell’estrazione e del commercio di queste per potersi finanziare. Al contempo, i gruppi ribelli distruggono e saccheggiano i villaggi circostanti, perpetrando abusi e violenze di ogni genere. La violenza sessuale, seppur in scala minore, viene perpetrata ancora oggi da parte delle milizie. Il ricorso allo stupro durante i conflitti avviene ormai da centinaia di anni. Nonostante ciò, la legge internazionale lo considera un crimine penalmente perseguibile solo negli ultimi decenni: i Tribunali speciali in ex Jugoslavia (1993) e in Rwanda (1994) sono pionieri di questa nuova tendenza. Gli sforzi della comunità internazionale si manifestano in missioni di peacekeeping, di cui sono venuti alla luce anche i lati oscuri, ma anche di programmi volti al disarmo, alla reintegrazione in società di ex soldati, al supporto dei giovani e all’integrazione della donna nel contesto sociale e politico.
Gender-based violence in conflict scenario: the case of Democratic Republic of Congo
In recent decades, the African Great Lakes region has been affected by serious conflicts that have led to profound humanitarian crises. The region has witnessed massacres, exodus, abuse, enslavement, sexual violence and the recruitment of child soldiers into militias. Sexual crime in conflict settings is the focus of this thesis. The Democratic Republic of Congo (DRC) has been called the ‘rape capital of the world’: there are countless cases of sexual violence committed by combatants during the two Congo wars (1996 - 2002) against women and girls, sometimes also men and especially children. Rape is used by soldiers (and not only) as a weapon to destroy the enemy, mutilating, enslaving and rendering his women and girls sterile, and consequently humiliating the enemy himself for not being able to protect them. The personal and social consequences manifest themselves in forced pregnancies, denial by family members, the spread of sexually transmitted diseases, and severe physical and psychological damage. In a country where tradition is an extremely important pillar, being a rape victim carries a stigma for life. This is why, besides the fear of reprisals, most victims do not report rape, making it one of the most unpunished crimes. This rampant violence has its roots in problems shared by the Great Lakes region: inadequate governance, high poverty rates and ethnic rivalry. However, the DRC has something more that sets it apart: the enormous wealth that its soil harbours such as gold, coltan, cobalt and other precious minerals. Such rich soil also has its downside, however: the resources attract rebel activity, which wants to take control of the extraction and trade of these in order to finance itself. At the same time, rebel groups destroy and plunder the surrounding villages, perpetrating abuse and violence of all kinds. Sexual violence, albeit on a smaller scale, is still perpetrated by militias. The use of rape during conflicts has been going on for hundreds of years. Despite this, international law has only in recent decades considered it a punishable crime: the Special Tribunals in former Yugoslavia (1993) and Rwanda (1994) are pioneers of this new trend. The efforts of the international community manifest themselves in peacekeeping missions, the dark sides of which have also come to light, but also in programmes aimed at disarmament, the reintegration of former soldiers into society, the support of young people and the integration of women into the social and political context.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/9783