This paper is the result of an experimental research implemented in the area of Turin during the year 2017-2018. The study focuses on the role of dwelling for people who joined the Social Housing project initiated by Compagnia di San Paolo, aimed at individuals who live in the Lorusso e Cotugno Penitentiary in Turin. The choice of these individuals is motivated by the attempt to suggest social housing as a form of reintegration for inmates. The research is treated through semi-structured interviews with people who revolve around two kinds of dwelling. On one hand the inmates, the educators and UEPE social workers of Turin's penitentiary; on the other the residents of selected social housing facilities, the structures' organisers and the promoters of the social housing project sponsored by Compagnia di San Paolo. The interviews revealed that the role of housing goes beyond the physical organisation of dwelling: it also facilitates the freedom of self-determination, the process of creating relationships and individual freedom. Housing is a human right and a fundamental place for the development of one's identity, which in turn is the result of the internal organisation of a home, the relationships that sprout within and around the home, and the processes of formation of the home itself. At the same time the research shows how the absence of a home undermines the individual's stability and well-being, and how this is a prominent issue for the inmates of Turin's penitentiary. This lack not only deprives some people of their rights, but also strongly affects the development process of these individuals' personality and identity. There also appears to be an substantial institutional flaw regarding this topic, since the professionals responsible of the inmates' re-education do not deal with the solution of this issue in legal, practical and ideologic terms. For these professionals housing does not hold an educative value nor it represents a tool to prevent the risk of committing new crimes once the inmates are released from prison. According to experts this void is sporadically filled by volunteering; However this option presents many limits and obstacles and it often proposes inadequate, sometime decrepit housing solutions which become a branch of the prison's organisation in the worst cases. The results of the research highlight how a prison produces marginalisation also because of the people it attracts and that revolve around the penitentiary itself. However retabling forms of marginality does nothing but tightening the stranglehold of penalisation and worsening the gap between the included and the excluded of our society. Nevertheless many interviews revealed the inmates' necessity, once released from prison, to create or re-establish a social network that they could not maintain during the years of reclusion. Finally the research highlights that the new housing formats examined contribute to the construction of this social capital on one hand, and lessen the risk of recidivity for ex-inmates on the other.
L'elaborato è il frutto di una ricerca sperimentale effettuata sul territorio torinese durante l'anno 2017/2018 e ha come tema il ruolo dell'abitare per le persone che hanno aderito al progetto del Social Housing proposto dalla compagnia San Paolo e per le persone che abitano nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. La scelta di tali individui è motivata dal tentativo di proporre il Social housing come forma di reinserimento per le persone recluse. La ricerca è stata svolta tramite interviste semi-strutturate somministrate a tutti gli individui che ruotano attorno a due esempi abitatavi: da una parte le persone recluse nel carcere di Torino, gli educatori e gli assistenti sociali dell'Uepe; dall'altra, gli abitanti di alcune esperienze di Social Housing, gli organizzatori delle singole strutture e del bando di housing sociale erogato dalla compagnia San Paolo. Durante le interviste è emerso quanto la casa abbia un ruolo che vada oltre la strutturazione fisica dell'abitazione e che quindi coinvolge la libertà di autodeterminazione, di tessere relazioni sociali e la libertà individuale. La casa è un diritto umano ed emerge quale luogo fondamentale per la creazione della propria identità, a sua volta frutto dell'organizzazione interna dell'abitazione, delle relazioni che si tessono all'interno e intorno alla casa, e dei processi di creazione della dimora stessa. Al contempo si è potuto evidenziare quanto l'assenza di una casa mini la stabilità e il benessere individuale, e quanto quest'assenza sia maggiormente presente nelle persone recluse nel carcere di Torino. Tale mancanza non solo esclude gli individui dal godimento di alcuni diritti ma incide fortemente sulla formazione della propria personalità e identità. Emerge inoltre un grande vuoto istituzionale su questo tema poiché le figure impegnate nella rieducazione del condannato non sono attive nella risoluzione del problema da un punto di vista legale, pratico e ideologico poiché non valutano l'abitare come un veicolo formativo né come uno strumento di protezione dal rischio di una ricomissione delittuosa una volta usciti dal carcere. A detta degli esperti, tale vuoto viene sporadicamente colmato dal volontariato che, tuttavia, non è privo di limiti e difficoltà e propone abitazioni spesso inadeguate, talvolta fatiscenti che, nei casi più gravi, risultano essere una costola dell'organizzazione carceraria. I risultati che emergono dall'indagine evidenziano quanto il carcere sembra essere un produttore di marginalità anche a causa delle persone che riesce ad attirare e che gravitano attorno al penitenziario stesso. La riproposizione, quindi, di forme di marginalità altro non fa che stringere sempre più la morsa soffocante della penalità e con essa la divaricazione tra gli inclusi e gli esclusi di questa società. Cionondimeno, è stata riscontrata da più interviste l'esigenza, una volta usciti dal carcere, di creare, costruire o ricreare una rete sociale che è venuta meno negli anni di reclusione. Infine, la ricerca ha evidenziato che le nuove forme abitative investigate possano, da un lato, contribuire alla costruzione di questo capitale sociale, dall'altro, attenuare il rischio di recidiva degli ex detenuti.
Abitare la soglia: una ricerca tra carcere e comunità
PINTO, MARINA
2017/2018
Abstract
L'elaborato è il frutto di una ricerca sperimentale effettuata sul territorio torinese durante l'anno 2017/2018 e ha come tema il ruolo dell'abitare per le persone che hanno aderito al progetto del Social Housing proposto dalla compagnia San Paolo e per le persone che abitano nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. La scelta di tali individui è motivata dal tentativo di proporre il Social housing come forma di reinserimento per le persone recluse. La ricerca è stata svolta tramite interviste semi-strutturate somministrate a tutti gli individui che ruotano attorno a due esempi abitatavi: da una parte le persone recluse nel carcere di Torino, gli educatori e gli assistenti sociali dell'Uepe; dall'altra, gli abitanti di alcune esperienze di Social Housing, gli organizzatori delle singole strutture e del bando di housing sociale erogato dalla compagnia San Paolo. Durante le interviste è emerso quanto la casa abbia un ruolo che vada oltre la strutturazione fisica dell'abitazione e che quindi coinvolge la libertà di autodeterminazione, di tessere relazioni sociali e la libertà individuale. La casa è un diritto umano ed emerge quale luogo fondamentale per la creazione della propria identità, a sua volta frutto dell'organizzazione interna dell'abitazione, delle relazioni che si tessono all'interno e intorno alla casa, e dei processi di creazione della dimora stessa. Al contempo si è potuto evidenziare quanto l'assenza di una casa mini la stabilità e il benessere individuale, e quanto quest'assenza sia maggiormente presente nelle persone recluse nel carcere di Torino. Tale mancanza non solo esclude gli individui dal godimento di alcuni diritti ma incide fortemente sulla formazione della propria personalità e identità. Emerge inoltre un grande vuoto istituzionale su questo tema poiché le figure impegnate nella rieducazione del condannato non sono attive nella risoluzione del problema da un punto di vista legale, pratico e ideologico poiché non valutano l'abitare come un veicolo formativo né come uno strumento di protezione dal rischio di una ricomissione delittuosa una volta usciti dal carcere. A detta degli esperti, tale vuoto viene sporadicamente colmato dal volontariato che, tuttavia, non è privo di limiti e difficoltà e propone abitazioni spesso inadeguate, talvolta fatiscenti che, nei casi più gravi, risultano essere una costola dell'organizzazione carceraria. I risultati che emergono dall'indagine evidenziano quanto il carcere sembra essere un produttore di marginalità anche a causa delle persone che riesce ad attirare e che gravitano attorno al penitenziario stesso. La riproposizione, quindi, di forme di marginalità altro non fa che stringere sempre più la morsa soffocante della penalità e con essa la divaricazione tra gli inclusi e gli esclusi di questa società. Cionondimeno, è stata riscontrata da più interviste l'esigenza, una volta usciti dal carcere, di creare, costruire o ricreare una rete sociale che è venuta meno negli anni di reclusione. Infine, la ricerca ha evidenziato che le nuove forme abitative investigate possano, da un lato, contribuire alla costruzione di questo capitale sociale, dall'altro, attenuare il rischio di recidiva degli ex detenuti.File | Dimensione | Formato | |
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