La crescita demografica della città di Torino negli anni della migrazione interna non è bilanciata da uno sviluppo altrettanto rapido dell'edilizia e dei servizi. La condizione abitativa dei ceti popolari, e in particolare della popolazione immigrata, è estremamente critica: più della metà degli appartamenti ad essa destinati sono degradati, sovraffollati e inadeguati dal punto di vista igienico, il prezzo degli affitti è estremamente alto e arriva ad incidere in misura superiore al 40% del salario. L'Istituto Autonomo Case Popolari, pur nell'insufficienza del suo intervento, costruisce ogni anno migliaia di vani da cedere in locazione o a riscatto. La produzione si concentra sul modello di quartiere ¿organico e autosufficiente¿: grandi complessi di edifici da realizzarsi in aree a basso costo all'estrema periferia dell'area urbana. Attraverso l'analisi di un caso di studio, il complesso Iacp di corso Taranto, edificato tra il 1965 e il 1967 in una delle zone del Peep sulla base della l. 167/1962, costituito da 23 edifici di 7 e 10 piani, è un esempio di questa concezione e delle problematiche connesse alla sua realizzazione. La posizione, l'alta densità abitativa, il rapido deterioramento degli stabili, la totale assenza di servizi e la carenza di collegamenti con il resto della città e con gli insediamenti produttivi, dove gran parte dei residenti (maschi) lavora, amplificano meccanismi di emarginazione e esclusione e rischiano di rendere questi complessi delle sorta di dormitori per la riproduzione della forza lavoro. Allo stesso tempo, il quartiere è, fin dalla sua costruzione, teatro di importanti mobilitazioni degli assegnatari per rivendicare servizi essenziali, da quelli scolastici, ai trasporti, a centri sportivi e di aggregazione, fino alla difesa del verde pubblico e di un parco giochi per bambini. Gli abitanti sperimentano forme di auto-organizzazione basate su pratiche assembleari, sul rifiuto della delega e sulla partecipazione diretta dei cittadini: forme di cittadinanza attiva da contrapporre a meccanismi di esclusione e ghettizzazione. Attraverso l'analisi di questo specifico caso di studio, la tesi si propone di mettere in luce una serie di aspetti: i problemi e le carenze dell'intervento pubblico nell'affrontare l'emergenza abitativa, il passaggio dalla pianificazione alla effettiva costruzione del complesso, la composizione sociale dei nuclei assegnatari e i loro percorsi migratori, fino alla rinegoziazione dello spazio fisico e dei modelli di gestione dei quartieri e della città da parte degli inquilini, nel più generale clima del Sessantotto studentesco e dell'Autunno caldo in fabbrica.

Abitare i margini. Corso Taranto: il quartiere, gli abitanti, le lotte (1967-1973)

NOVARO, GIULIA
2017/2018

Abstract

La crescita demografica della città di Torino negli anni della migrazione interna non è bilanciata da uno sviluppo altrettanto rapido dell'edilizia e dei servizi. La condizione abitativa dei ceti popolari, e in particolare della popolazione immigrata, è estremamente critica: più della metà degli appartamenti ad essa destinati sono degradati, sovraffollati e inadeguati dal punto di vista igienico, il prezzo degli affitti è estremamente alto e arriva ad incidere in misura superiore al 40% del salario. L'Istituto Autonomo Case Popolari, pur nell'insufficienza del suo intervento, costruisce ogni anno migliaia di vani da cedere in locazione o a riscatto. La produzione si concentra sul modello di quartiere ¿organico e autosufficiente¿: grandi complessi di edifici da realizzarsi in aree a basso costo all'estrema periferia dell'area urbana. Attraverso l'analisi di un caso di studio, il complesso Iacp di corso Taranto, edificato tra il 1965 e il 1967 in una delle zone del Peep sulla base della l. 167/1962, costituito da 23 edifici di 7 e 10 piani, è un esempio di questa concezione e delle problematiche connesse alla sua realizzazione. La posizione, l'alta densità abitativa, il rapido deterioramento degli stabili, la totale assenza di servizi e la carenza di collegamenti con il resto della città e con gli insediamenti produttivi, dove gran parte dei residenti (maschi) lavora, amplificano meccanismi di emarginazione e esclusione e rischiano di rendere questi complessi delle sorta di dormitori per la riproduzione della forza lavoro. Allo stesso tempo, il quartiere è, fin dalla sua costruzione, teatro di importanti mobilitazioni degli assegnatari per rivendicare servizi essenziali, da quelli scolastici, ai trasporti, a centri sportivi e di aggregazione, fino alla difesa del verde pubblico e di un parco giochi per bambini. Gli abitanti sperimentano forme di auto-organizzazione basate su pratiche assembleari, sul rifiuto della delega e sulla partecipazione diretta dei cittadini: forme di cittadinanza attiva da contrapporre a meccanismi di esclusione e ghettizzazione. Attraverso l'analisi di questo specifico caso di studio, la tesi si propone di mettere in luce una serie di aspetti: i problemi e le carenze dell'intervento pubblico nell'affrontare l'emergenza abitativa, il passaggio dalla pianificazione alla effettiva costruzione del complesso, la composizione sociale dei nuclei assegnatari e i loro percorsi migratori, fino alla rinegoziazione dello spazio fisico e dei modelli di gestione dei quartieri e della città da parte degli inquilini, nel più generale clima del Sessantotto studentesco e dell'Autunno caldo in fabbrica.
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