Il proposito dell'elaborato è dimostrare come sia possibile porre in connessione all'interno del pensiero platonico due tesi apparentemente molto distanti tra di loro, come l'intellettualismo etico e la nobile menzogna. Infatti dal punto di vista politico, etico ed epistemologico risulta difficile accettare la nobiltà di una menzogna, dal momento che questo atto è principalmente inteso come un inganno nei confronti del prossimo in vista di una vantaggio personale. Il concetto di nobile richiama invece la sfera della bontà d'animo, un comportamento ligio al dovere di uomo e cittadino. Risulta importante quindi sottolineare come la possibilità di una connessione sia data principalmente dall'intendere in modo del tutto originale il concetto di menzogna da parte di Platone, dal momento che egli lascia da parte la concezione tradizionale riguardante il mentire, visto come un tentativo mal celato di ottenere volgari vantaggi personali, ad esempio ricchezze o potere, per giungere ad una definizione basata non sulla malvagità del singolo individuo, bensì sul suo grado di conoscenza. Infatti colui che mente non è un individuo rozzo ed attaccato alla materialità, ma si trasforma in un uomo di profonda cultura ed intelligenza, in grado di discernere senza alcuna remora il bene dal male. Questo risulta essere un passaggio fondamentale all'interno del sistema platonico, dal momento che permette di comprendere sino in fondo la portata della rivoluzione apportata dal filosofo a questo concetto. A questo punto è chiaro il motivo per il quale gli uomini scelti per il governo della città-modello platonica all'interno della Repubblica siano anche gli unici dotati della facoltà di mentire. Costoro sono infatti il frutto del percorso educativo stabilito per i migliori, il cui talento si è rivelato fin dall'infanzia e, per di più, scelti proprio dalla divinità in base alle loro capacità innate. Risulta quindi del tutto impossibile trovare uomini, all'interno della comunità cittadina, migliori dei governanti per quanto riguarda l'educazione e la capacità di gestione della città intera. A costoro, solamente a costoro, è concesso il privilegio di mentire, proprio perché eccellenti e conoscitori del bene più alto. Senza questa conoscenza infatti i governanti cadrebbero facilmente, vista la grandezza del loro potere, nella tentazione di mentire per accrescere i propri benefici personali. Questo tuttavia non è possibile, proprio grazie all'educazione ricevuta e ai talenti innati visti dalla divinità nel momento della scelta del compito da svolgere all'interno della comunità. Tuttavia l'interesse di Platone riguardo alla menzogna non si esaurisce all'interno della Repubblica, bensì si allarga ad un'altra opera platonica, ovvero l'Ippia minore. In questo dialogo Socrate tenta di convincere Ippia riguardo la nobiltà della menzogna, ovvero come in realtà a mentire non sia l'uomo ignorante e sprovvisto dei mezzi adeguati per giungere alla conoscenza, ma l'uomo colto ed intelligente, dotato di un profondo senso critico ed in grado di raggiungere il bene. Ippia rifiuta la visione proposta da Socrate, essendo attaccato alla tradizionale condanna della menzogna come atto spregevole, e il dialogo si conclude in modo aporetico. Tuttavia ciò non impedisce di trovare le profonde ed evidenti connessioni presenti tra le due opere, rendendo chiaro come il modello di menzogna proposto in entrambe sostanzialmente coincida.
La nobile menzogna di Platone tra Repubblica ed Ippia minore
PRINA, GIANLUCA
2017/2018
Abstract
Il proposito dell'elaborato è dimostrare come sia possibile porre in connessione all'interno del pensiero platonico due tesi apparentemente molto distanti tra di loro, come l'intellettualismo etico e la nobile menzogna. Infatti dal punto di vista politico, etico ed epistemologico risulta difficile accettare la nobiltà di una menzogna, dal momento che questo atto è principalmente inteso come un inganno nei confronti del prossimo in vista di una vantaggio personale. Il concetto di nobile richiama invece la sfera della bontà d'animo, un comportamento ligio al dovere di uomo e cittadino. Risulta importante quindi sottolineare come la possibilità di una connessione sia data principalmente dall'intendere in modo del tutto originale il concetto di menzogna da parte di Platone, dal momento che egli lascia da parte la concezione tradizionale riguardante il mentire, visto come un tentativo mal celato di ottenere volgari vantaggi personali, ad esempio ricchezze o potere, per giungere ad una definizione basata non sulla malvagità del singolo individuo, bensì sul suo grado di conoscenza. Infatti colui che mente non è un individuo rozzo ed attaccato alla materialità, ma si trasforma in un uomo di profonda cultura ed intelligenza, in grado di discernere senza alcuna remora il bene dal male. Questo risulta essere un passaggio fondamentale all'interno del sistema platonico, dal momento che permette di comprendere sino in fondo la portata della rivoluzione apportata dal filosofo a questo concetto. A questo punto è chiaro il motivo per il quale gli uomini scelti per il governo della città-modello platonica all'interno della Repubblica siano anche gli unici dotati della facoltà di mentire. Costoro sono infatti il frutto del percorso educativo stabilito per i migliori, il cui talento si è rivelato fin dall'infanzia e, per di più, scelti proprio dalla divinità in base alle loro capacità innate. Risulta quindi del tutto impossibile trovare uomini, all'interno della comunità cittadina, migliori dei governanti per quanto riguarda l'educazione e la capacità di gestione della città intera. A costoro, solamente a costoro, è concesso il privilegio di mentire, proprio perché eccellenti e conoscitori del bene più alto. Senza questa conoscenza infatti i governanti cadrebbero facilmente, vista la grandezza del loro potere, nella tentazione di mentire per accrescere i propri benefici personali. Questo tuttavia non è possibile, proprio grazie all'educazione ricevuta e ai talenti innati visti dalla divinità nel momento della scelta del compito da svolgere all'interno della comunità. Tuttavia l'interesse di Platone riguardo alla menzogna non si esaurisce all'interno della Repubblica, bensì si allarga ad un'altra opera platonica, ovvero l'Ippia minore. In questo dialogo Socrate tenta di convincere Ippia riguardo la nobiltà della menzogna, ovvero come in realtà a mentire non sia l'uomo ignorante e sprovvisto dei mezzi adeguati per giungere alla conoscenza, ma l'uomo colto ed intelligente, dotato di un profondo senso critico ed in grado di raggiungere il bene. Ippia rifiuta la visione proposta da Socrate, essendo attaccato alla tradizionale condanna della menzogna come atto spregevole, e il dialogo si conclude in modo aporetico. Tuttavia ciò non impedisce di trovare le profonde ed evidenti connessioni presenti tra le due opere, rendendo chiaro come il modello di menzogna proposto in entrambe sostanzialmente coincida.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/92235