L'accesa disputa tra i fautori della pianificazione economica all'interno di un regime collettivistico e gli oppositori liberali critici circa la sua possibile attuazione rappresenta uno dei temi principali del dibattito economico novecentesco, il quale si sviluppa in un periodo storico particolarmente propizio per la dottrina socialista, che acquisisce una sempre maggiore visibilità sul piano internazionale grazie agli avvenimenti della Rivoluzione Russa nel 1917 e l'affermazione di molteplici regimi collettivistici in Asia, Sud America e Africa. All'interno di questi paesi viene avviato un processo di pianificazione economica da parte delle autorità governative finalizzato ad incrementare il benessere dei cittadini tramite una redistribuzione più equa delle risorse e dei redditi, superando la logica dei sistemi economici capitalisti fondati sullo sfruttamento della manodopera e la massimizzazione egoistica del profitto. I teorici del socialismo ritengono che soltanto lo Stato possa porre rimedio a così gravi problematiche tramite un processo di appropriazione delle risorse naturali e dei mezzi di produzione, che diventando parte della proprietà pubblica vengono definitivamente sottratti alla dimensione speculativa degli scambi commerciali tra individui. In regime di economia pianificata lo Stato limita la facoltà discrezionale degli individui, prendendo le redini dell'attività imprenditoriale e relegando la libertà decisionale dei cittadini alle scelte relative ai beni di consumo prodotti o all'occupazione da svolgere sempre che non pregiudichino il raggiungimento degli obiettivi prefissati per l'intera collettività. Lo scopo della tesi consiste nella volontà di indagare e comprendere le diverse argomentazioni che hanno visto contrapporsi nel corso del Novecento alcuni tra i più importanti economisti circa la possibilità di realizzare tramite gli strumenti offerti dalla gestione centralizzata della sfera economica gli obiettivi individuati in fase di redazione del piano in termini di equità ed utilità sociale. In questa sede non vi è l'intenzione di fornire un giudizio di valore circa le idee politiche dei socialisti o circa la preferibilità delle condizioni di vita in una società fondata sui principi del collettivismo, bensì di analizzare le strategie proposte dai fautori della pianificazione e le obiezioni avanzate dai suoi detrattori per poter fornire una valutazione in termini economici circa le possibilità di applicazione di un tale impianto metodologico e dei risultati conseguibili. In particolare nel corso della dissertazione verranno trattate le principali teorie elaborate dagli economisti di ispirazione socialista, confrontandole secondo una sequenza dialogica con le critiche avanzate dai pensatori liberali, i quali rivendicano la superiorità del meccanismo di libero mercato presente nei sistemi capitalisti e che in condizioni di concorrenza perfetta consente un virtuoso ed equilibrato interscambio tra domanda e offerta.

La pianificazione economica nei regimi collettivistici: un'analisi critica del dibattito novecentesco.

RAVIOLA, DAVIDE
2016/2017

Abstract

L'accesa disputa tra i fautori della pianificazione economica all'interno di un regime collettivistico e gli oppositori liberali critici circa la sua possibile attuazione rappresenta uno dei temi principali del dibattito economico novecentesco, il quale si sviluppa in un periodo storico particolarmente propizio per la dottrina socialista, che acquisisce una sempre maggiore visibilità sul piano internazionale grazie agli avvenimenti della Rivoluzione Russa nel 1917 e l'affermazione di molteplici regimi collettivistici in Asia, Sud America e Africa. All'interno di questi paesi viene avviato un processo di pianificazione economica da parte delle autorità governative finalizzato ad incrementare il benessere dei cittadini tramite una redistribuzione più equa delle risorse e dei redditi, superando la logica dei sistemi economici capitalisti fondati sullo sfruttamento della manodopera e la massimizzazione egoistica del profitto. I teorici del socialismo ritengono che soltanto lo Stato possa porre rimedio a così gravi problematiche tramite un processo di appropriazione delle risorse naturali e dei mezzi di produzione, che diventando parte della proprietà pubblica vengono definitivamente sottratti alla dimensione speculativa degli scambi commerciali tra individui. In regime di economia pianificata lo Stato limita la facoltà discrezionale degli individui, prendendo le redini dell'attività imprenditoriale e relegando la libertà decisionale dei cittadini alle scelte relative ai beni di consumo prodotti o all'occupazione da svolgere sempre che non pregiudichino il raggiungimento degli obiettivi prefissati per l'intera collettività. Lo scopo della tesi consiste nella volontà di indagare e comprendere le diverse argomentazioni che hanno visto contrapporsi nel corso del Novecento alcuni tra i più importanti economisti circa la possibilità di realizzare tramite gli strumenti offerti dalla gestione centralizzata della sfera economica gli obiettivi individuati in fase di redazione del piano in termini di equità ed utilità sociale. In questa sede non vi è l'intenzione di fornire un giudizio di valore circa le idee politiche dei socialisti o circa la preferibilità delle condizioni di vita in una società fondata sui principi del collettivismo, bensì di analizzare le strategie proposte dai fautori della pianificazione e le obiezioni avanzate dai suoi detrattori per poter fornire una valutazione in termini economici circa le possibilità di applicazione di un tale impianto metodologico e dei risultati conseguibili. In particolare nel corso della dissertazione verranno trattate le principali teorie elaborate dagli economisti di ispirazione socialista, confrontandole secondo una sequenza dialogica con le critiche avanzate dai pensatori liberali, i quali rivendicano la superiorità del meccanismo di libero mercato presente nei sistemi capitalisti e che in condizioni di concorrenza perfetta consente un virtuoso ed equilibrato interscambio tra domanda e offerta.
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