L'idea di questa ricerca, nasce dalla mia personale esperienza di tirocinio svolto presso la casa di fuga del Gruppo Abele, nella quale, tuttora sto effettuando il Servizio Civile Nazionale. Particolare attenzione è stata prestata al rito juju, oggi connesso al fenomeno della tratta degli esseri umani. Questa pratica, molto diffusa, viene utilizzata dall'organizzazione criminale, al fine di mantenere un rigido controllo sulle donne. Recentemente vi è maggiore consapevolezza del lavoro che molte connazionali svolgono in Italia, ma a volte il miraggio di un lavoro in un luogo diverso dalla patria, spinge molte ragazze a partire, pur avendo poche certezze. A tal proposito il governo nigeriano ha promosso delle campagne di informazione di massa, per sensibilizzare e per denunciare il fenomeno della prostituzione forzata. Mi sono soffermata sulle varie fasi che scandiscono il fenomeno della tratta, dal reclutamento, la contrazione del debito, il viaggio, la vita sulla strada, alla richiesta di aiuto. Molte di loro, sono ragazze arrivate da sole in Italia, senza alcun parente o conoscente, se non la madame. Prima di partire vengono sottoposte a dei riti vodoo, che hanno lo scopo di tenerle legate psicologicamente all'organizzazione criminale. Sono ragazze vulnerabili, in fuga da violenze e povertà, che credono di poter riscattarsi. Ma quello che non sanno è ciò che le aspetta nel paese di destinazione, vivono in case gestite dalle madame e non hanno alcun contatto se non con i clienti. Vivono una vita di sottomissioni, motivo per cui è molto spesso difficile convincerle a chiedere aiuto. È stato sviluppato il tema della consapevolezza spirituale e culturale delle ragazze, attraverso le loro storie, raccolte durante la mia ricerca sul campo. La capitalizzazione del corpo femminile decodificata nell'ambito delle migrazioni, solleva questioni specifiche: lo sfruttamento di forza lavoro rappresentato come sfruttamento del corpo femminile. Tutto ciò invita ad una riflessione di carattere globale sulle relazioni di genere e sulla loro organizzazione nello scenario simbolico di culture differenti. L'operatore sociale si trova spesso a dover modulare il proprio intervento sulla base della credenza o meno della donna, circa il juju. È capitato che le donne, dopo l'inserimento in una comunità o comunque all'interno di un percorso di protezione e reintegrazione sociale, abbiano esternato il loro malessere interno, attraverso dolori fisici. Sono donne che stremate dalla loro condizione di vita, chiedono aiuto, ma non appena entrano in comunità, vengono assalite dai pensieri, dal giuramento alle possibili conseguenze del juju. Vengono fatti molti rimandi al voodoo, nel raccontare la propria esperienza migratoria. Si crea una catena invisibile, dovuta al rito, che le rende soggiogate ai propri sfruttatori, senza riuscire a chiedere aiuto. Durante i giuramenti fatti in patria, prima di partire, viene chiesto loro di non raccontare nulla a nessuno circa il rito, ed è forse per questo motivo che fanno così fatica a parlarne, anche dopo l'inserimento in un percorso di protezione. Recentemente la situazione appare in evoluzione, chi emigra, lo fa in giovane età, e spesso non possiede un bagaglio culturale e spirituale tipico della propria tradizione: raccontano di non aver paura delle conseguenze del giuramento fatto nel proprio paese e ne parlano in modo più ¿leggero¿.
Il rituale juju e le donne vittime di tratta: una catena invisibile
MACALUSO, LUANA
2016/2017
Abstract
L'idea di questa ricerca, nasce dalla mia personale esperienza di tirocinio svolto presso la casa di fuga del Gruppo Abele, nella quale, tuttora sto effettuando il Servizio Civile Nazionale. Particolare attenzione è stata prestata al rito juju, oggi connesso al fenomeno della tratta degli esseri umani. Questa pratica, molto diffusa, viene utilizzata dall'organizzazione criminale, al fine di mantenere un rigido controllo sulle donne. Recentemente vi è maggiore consapevolezza del lavoro che molte connazionali svolgono in Italia, ma a volte il miraggio di un lavoro in un luogo diverso dalla patria, spinge molte ragazze a partire, pur avendo poche certezze. A tal proposito il governo nigeriano ha promosso delle campagne di informazione di massa, per sensibilizzare e per denunciare il fenomeno della prostituzione forzata. Mi sono soffermata sulle varie fasi che scandiscono il fenomeno della tratta, dal reclutamento, la contrazione del debito, il viaggio, la vita sulla strada, alla richiesta di aiuto. Molte di loro, sono ragazze arrivate da sole in Italia, senza alcun parente o conoscente, se non la madame. Prima di partire vengono sottoposte a dei riti vodoo, che hanno lo scopo di tenerle legate psicologicamente all'organizzazione criminale. Sono ragazze vulnerabili, in fuga da violenze e povertà, che credono di poter riscattarsi. Ma quello che non sanno è ciò che le aspetta nel paese di destinazione, vivono in case gestite dalle madame e non hanno alcun contatto se non con i clienti. Vivono una vita di sottomissioni, motivo per cui è molto spesso difficile convincerle a chiedere aiuto. È stato sviluppato il tema della consapevolezza spirituale e culturale delle ragazze, attraverso le loro storie, raccolte durante la mia ricerca sul campo. La capitalizzazione del corpo femminile decodificata nell'ambito delle migrazioni, solleva questioni specifiche: lo sfruttamento di forza lavoro rappresentato come sfruttamento del corpo femminile. Tutto ciò invita ad una riflessione di carattere globale sulle relazioni di genere e sulla loro organizzazione nello scenario simbolico di culture differenti. L'operatore sociale si trova spesso a dover modulare il proprio intervento sulla base della credenza o meno della donna, circa il juju. È capitato che le donne, dopo l'inserimento in una comunità o comunque all'interno di un percorso di protezione e reintegrazione sociale, abbiano esternato il loro malessere interno, attraverso dolori fisici. Sono donne che stremate dalla loro condizione di vita, chiedono aiuto, ma non appena entrano in comunità, vengono assalite dai pensieri, dal giuramento alle possibili conseguenze del juju. Vengono fatti molti rimandi al voodoo, nel raccontare la propria esperienza migratoria. Si crea una catena invisibile, dovuta al rito, che le rende soggiogate ai propri sfruttatori, senza riuscire a chiedere aiuto. Durante i giuramenti fatti in patria, prima di partire, viene chiesto loro di non raccontare nulla a nessuno circa il rito, ed è forse per questo motivo che fanno così fatica a parlarne, anche dopo l'inserimento in un percorso di protezione. Recentemente la situazione appare in evoluzione, chi emigra, lo fa in giovane età, e spesso non possiede un bagaglio culturale e spirituale tipico della propria tradizione: raccontano di non aver paura delle conseguenze del giuramento fatto nel proprio paese e ne parlano in modo più ¿leggero¿.File | Dimensione | Formato | |
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