«Parlare della scuola e pensare di avere qualcosa di nuovo e interessante da dire potrebbe essere, al tempo stesso, una sfida impossibile, un esercizio inutile o una pretesa azzardata», così esordisce Giulia Maria Cavaletto nel libro ¿Questioni di classe¿. Ed è quello che sarebbe portato a pensare chiunque. Questo perché della scuola se n'è già parlato, se ne parla, e se ne parlerà ancora tanto, e non solo a livello nazionale ma anche comunitario e mondiale. Ma nonostante possa sembrare un argomento statico, eclissato nel tempo, riserva ancora oggi delle novità. La stessa Cavaletto nell'introduzione asserisce che ciascuna delle autrici riflette utilizzando una particolare lente che è influenzata in particolar modo da una diversa appartenenza generazionale: le meno giovani, infatti, hanno vissuto una scuola che si raccoglieva compatta attorno alle regole della selezione precoce (già a undici anni si doveva decidere se continuare gli studi o avviarsi al lavoro) e della chiusura selettiva dell'Università. La scuola allora era un centro esclusivo dei processi di formazione delle élites. Una scuola in cui i genitori ancora delegavano, senza discutere e senza partecipare, la formazione dei loro figli. Al contrario, le ricercatrici più giovani che accompagnano la Cavaletto hanno conosciuto un'altra scuola: non più l'istituzione scuola ma gli istituti scolastici, i quali sperimentano ininterrottamente nuove proposte formative coinvolgendo, al contrario di neanche troppi anni addietro, gli studenti stessi ma anche le famiglie, gli insegnanti e i dirigenti scolastici. Una scuola che rappresentava una possibilità aperta a tutti, almeno nelle intenzioni. La scuola in cui viene introdotto il tempo pieno, i laboratori, le attività di orientamento per aiutare gli studenti e le loro famiglie nel delicato compito di scegliere come proseguire oltre la scuola media inferiore. Era la scuola nella quale si inizia a percepire l'importanza di imparate una lingua straniera. Ma soprattutto, è la scuola dove le classi sociali si mescolavano, secondo un'apparente democratizzazione delle opportunità. Si presenta quindi come una scuola completamente diversa, quasi diametralmente opposta, da quella inizialmente presentata ed è a sua volta mutata rispetto a quella di oggi. Una riflessione, dunque, su come cogliere simultaneamente ciò che è rimasto intatto e i cambiamenti avvenuti non c'è dubbio che celi risvolti inaspettati. Nel crogiolo di variabili esperibili dal tema ¿Scuola¿, un occhio di riguardo occorre apporlo alla pluralità di matrice culturale e sociale che porta inevitabilmente a disuguaglianze. I sociologi, e non solo, studiando i meccanismi attraverso i quali le origini sociali influenzano le scelte e i risultati scolastici, hanno infatti riconosciuto alla scuola il ruolo, tra le più importanti istituzioni, di veicolo della riproduzione delle disuguaglianze. Ciò induce a riflettere sulle ragioni della persistenza di fattori ascrittivi nell'influenzare i due fattori sopracitati. Grazie alla disponibilità di ampie basi dati comparative, si possono operare delle comparazioni tra vari paesi nella persistenza di questi meccanismi. In quest'ottica, l'Italia risulta essere una roccaforte della correlazione tra origini sociali, risultati scolastici e livello di istruzione. Ad esempio, in Italia il 15% dei giovani tra i 18 e i 24 anni abbandona la scuola prima di aver raggiunto una qualifica o un diploma. Perché? E come e perché viene fatta la scelta su se e dove proseguite gli studi? A questi interrogativi si cercherà di dare risposta nelle pagine seguenti. Ovviamente uno dei punti principali che fondano l'importanza di studi inerenti a questo genere di tematiche è il lavoro, soprattutto in tempi come questi in cui la disoccupazione giovanile ha superato i livelli di allarme.
Dalla scuola all'università: dialogo sull'influenza del patrimonio culturale nella scuola di oggi.
BRUNO, ROBERTA
2016/2017
Abstract
«Parlare della scuola e pensare di avere qualcosa di nuovo e interessante da dire potrebbe essere, al tempo stesso, una sfida impossibile, un esercizio inutile o una pretesa azzardata», così esordisce Giulia Maria Cavaletto nel libro ¿Questioni di classe¿. Ed è quello che sarebbe portato a pensare chiunque. Questo perché della scuola se n'è già parlato, se ne parla, e se ne parlerà ancora tanto, e non solo a livello nazionale ma anche comunitario e mondiale. Ma nonostante possa sembrare un argomento statico, eclissato nel tempo, riserva ancora oggi delle novità. La stessa Cavaletto nell'introduzione asserisce che ciascuna delle autrici riflette utilizzando una particolare lente che è influenzata in particolar modo da una diversa appartenenza generazionale: le meno giovani, infatti, hanno vissuto una scuola che si raccoglieva compatta attorno alle regole della selezione precoce (già a undici anni si doveva decidere se continuare gli studi o avviarsi al lavoro) e della chiusura selettiva dell'Università. La scuola allora era un centro esclusivo dei processi di formazione delle élites. Una scuola in cui i genitori ancora delegavano, senza discutere e senza partecipare, la formazione dei loro figli. Al contrario, le ricercatrici più giovani che accompagnano la Cavaletto hanno conosciuto un'altra scuola: non più l'istituzione scuola ma gli istituti scolastici, i quali sperimentano ininterrottamente nuove proposte formative coinvolgendo, al contrario di neanche troppi anni addietro, gli studenti stessi ma anche le famiglie, gli insegnanti e i dirigenti scolastici. Una scuola che rappresentava una possibilità aperta a tutti, almeno nelle intenzioni. La scuola in cui viene introdotto il tempo pieno, i laboratori, le attività di orientamento per aiutare gli studenti e le loro famiglie nel delicato compito di scegliere come proseguire oltre la scuola media inferiore. Era la scuola nella quale si inizia a percepire l'importanza di imparate una lingua straniera. Ma soprattutto, è la scuola dove le classi sociali si mescolavano, secondo un'apparente democratizzazione delle opportunità. Si presenta quindi come una scuola completamente diversa, quasi diametralmente opposta, da quella inizialmente presentata ed è a sua volta mutata rispetto a quella di oggi. Una riflessione, dunque, su come cogliere simultaneamente ciò che è rimasto intatto e i cambiamenti avvenuti non c'è dubbio che celi risvolti inaspettati. Nel crogiolo di variabili esperibili dal tema ¿Scuola¿, un occhio di riguardo occorre apporlo alla pluralità di matrice culturale e sociale che porta inevitabilmente a disuguaglianze. I sociologi, e non solo, studiando i meccanismi attraverso i quali le origini sociali influenzano le scelte e i risultati scolastici, hanno infatti riconosciuto alla scuola il ruolo, tra le più importanti istituzioni, di veicolo della riproduzione delle disuguaglianze. Ciò induce a riflettere sulle ragioni della persistenza di fattori ascrittivi nell'influenzare i due fattori sopracitati. Grazie alla disponibilità di ampie basi dati comparative, si possono operare delle comparazioni tra vari paesi nella persistenza di questi meccanismi. In quest'ottica, l'Italia risulta essere una roccaforte della correlazione tra origini sociali, risultati scolastici e livello di istruzione. Ad esempio, in Italia il 15% dei giovani tra i 18 e i 24 anni abbandona la scuola prima di aver raggiunto una qualifica o un diploma. Perché? E come e perché viene fatta la scelta su se e dove proseguite gli studi? A questi interrogativi si cercherà di dare risposta nelle pagine seguenti. Ovviamente uno dei punti principali che fondano l'importanza di studi inerenti a questo genere di tematiche è il lavoro, soprattutto in tempi come questi in cui la disoccupazione giovanile ha superato i livelli di allarme.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/91321