L'istituto del concordato in continuità è disciplinato dall'art. 186 bis della Legge Fallimentare (aggiornato con le modifiche apportate dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015 n. 132, dal D.Lgs. 16 novembre 2015 n. 180 e con le ultime modifiche apportate dal D.L. 3 maggio 2016 n. 59, convertito con modifiche, dalla L. 30 giugno 2016, n. 119, entrata in vigore dal 3 luglio 2016). Si tratta di una procedura che trova il suo fondamento nel concordato preventivo, del quale ne ricalca molti aspetti, quali le tempistiche di accesso, le formalità tecniche ed i soggetti interessati, ma che ha alcune peculiarità che la rendono autonoma e che verranno analizzate di seguito. L'obiettivo perseguito dal concordato in continuità è quello del risanamento dell'impresa, individuato anche come il mezzo più efficace per il migliore soddisfacimento dei creditori pregressi (oltre che come soluzione idonea a tutelare i livelli occupazionali e salvaguardare l'integrità degli impianti produttivi).1 Non è quindi un mezzo per arrivare alla sua liquidazione, bensì uno strumento per riassestarne l'equilibrio economico, finanziario o patrimoniale in vista di una prosecuzione dell'operatività. Ne consegue che nel concordato in continuità la par condicio creditorum, principio fondamentale sul quale si basa la normativa fallimentare, può essere parzialmente derogata in favore di una maggior tutela di tutti gli altri soggetti sui quali il concordato ha delle ripercussioni. Ciononostante, resta sullo sfondo la problematica, di rilevante impatto sociale, della salvaguardia dei livelli occupazionali. Tale obiettivo, seppure rilevante, non è stato preso in considerazione dal Legislatore, che ha invece fatto espresso richiamo, nel legittimare la prosecuzione dell'attività dell'impresa in crisi all'interno di una fattispecie tipizzata di concordato preventivo, al rispetto della clausola di migliore soddisfazione dei creditori.2 In un'ottica generale, possiamo quindi affermare che nel concordato in continuità viene ridimensionato il trattamento di favore verso i creditori in favore di una più diffusa attenzione nei confronti di tutti i soggetti portatori di interessi nell'impresa. Tra questi soggetti troviamo i lavoratori, verso i quali tuttavia non sono stati introdotti vantaggi significativi dalla normativa. Dal punto di vista pratico il concordato in continuità può essere di tipo c.d. ¿diretto¿, se è l'imprenditore stesso a proseguire l'attività, o di tipo ¿indiretto¿ nel caso in cui la prosecuzione dell'attività aziendale sia affidata ad un soggetto terzo.3 Nel secondo caso la gestione avviene tramite affitto dell'azienda o di un suo ramo, stipulato successivamente all'ammissione alla procedura di concordato preventivo, ad un soggetto terzo in grado di preservare il valore economico dell'azienda (soprattutto goodwill e intangibles) in vista di una successiva cessione dell'azienda in esercizio.4
Il concordato preventivo con continuità aziendale: analisi della fattispecie e questioni interpretative
GERBOTTO, MANUELA
2016/2017
Abstract
L'istituto del concordato in continuità è disciplinato dall'art. 186 bis della Legge Fallimentare (aggiornato con le modifiche apportate dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015 n. 132, dal D.Lgs. 16 novembre 2015 n. 180 e con le ultime modifiche apportate dal D.L. 3 maggio 2016 n. 59, convertito con modifiche, dalla L. 30 giugno 2016, n. 119, entrata in vigore dal 3 luglio 2016). Si tratta di una procedura che trova il suo fondamento nel concordato preventivo, del quale ne ricalca molti aspetti, quali le tempistiche di accesso, le formalità tecniche ed i soggetti interessati, ma che ha alcune peculiarità che la rendono autonoma e che verranno analizzate di seguito. L'obiettivo perseguito dal concordato in continuità è quello del risanamento dell'impresa, individuato anche come il mezzo più efficace per il migliore soddisfacimento dei creditori pregressi (oltre che come soluzione idonea a tutelare i livelli occupazionali e salvaguardare l'integrità degli impianti produttivi).1 Non è quindi un mezzo per arrivare alla sua liquidazione, bensì uno strumento per riassestarne l'equilibrio economico, finanziario o patrimoniale in vista di una prosecuzione dell'operatività. Ne consegue che nel concordato in continuità la par condicio creditorum, principio fondamentale sul quale si basa la normativa fallimentare, può essere parzialmente derogata in favore di una maggior tutela di tutti gli altri soggetti sui quali il concordato ha delle ripercussioni. Ciononostante, resta sullo sfondo la problematica, di rilevante impatto sociale, della salvaguardia dei livelli occupazionali. Tale obiettivo, seppure rilevante, non è stato preso in considerazione dal Legislatore, che ha invece fatto espresso richiamo, nel legittimare la prosecuzione dell'attività dell'impresa in crisi all'interno di una fattispecie tipizzata di concordato preventivo, al rispetto della clausola di migliore soddisfazione dei creditori.2 In un'ottica generale, possiamo quindi affermare che nel concordato in continuità viene ridimensionato il trattamento di favore verso i creditori in favore di una più diffusa attenzione nei confronti di tutti i soggetti portatori di interessi nell'impresa. Tra questi soggetti troviamo i lavoratori, verso i quali tuttavia non sono stati introdotti vantaggi significativi dalla normativa. Dal punto di vista pratico il concordato in continuità può essere di tipo c.d. ¿diretto¿, se è l'imprenditore stesso a proseguire l'attività, o di tipo ¿indiretto¿ nel caso in cui la prosecuzione dell'attività aziendale sia affidata ad un soggetto terzo.3 Nel secondo caso la gestione avviene tramite affitto dell'azienda o di un suo ramo, stipulato successivamente all'ammissione alla procedura di concordato preventivo, ad un soggetto terzo in grado di preservare il valore economico dell'azienda (soprattutto goodwill e intangibles) in vista di una successiva cessione dell'azienda in esercizio.4File | Dimensione | Formato | |
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