La lingua non è solo un insieme di parole, ma è un mezzo attraverso il quale gli esseri umani si costruiscono in quanto esseri sociali e imparano a definire sé stessi in quanto individui e membri di gruppi sociali. Gli stereotipi e le rappresentazioni collettive fungono da punto di partenza per la discriminazione e l’esclusione, così facendo il linguaggio d’odio si rende veicolo principale di tali comportamenti, assumendo forme disparate e contribuendo a complicare il processo della sua identificazione e a rafforzare la disparità di potere di autorappresentazione esistente tra gruppo dominante e le minoranze. L’obiettivo di questo elaborato è quello di riflettere sul rapporto esistente tra lingua e potere nel mantenimento della capacità di autorappresentazione e rappresentazione dell’Altro da parte dei gruppi dominanti da una parte, e come strumento di autodefinizione, sovversione e rivalsa per i membri delle minoranze (etniche) dall’altra. Inoltre, a questo proposito, si riflette sulla possibilità che il politicamente corretto (di cui si mette in discussione l’accusa di censura), in stretta connessione col fenomeno dell’hate speech, limiti gli effetti erosivi di quest’ultimo e contribuisca a dare voce all’Altro. Per rispondere alla domanda di ricerca, è stata svolta un’analisi qualitativa su un corpus di testi selezionati arbitrariamente e organizzati in una griglia dopo essere stati sottoposti ad alcuni criteri, attraverso i quali è stato possibile identificare la linea di confine tra linguaggio d’odio e politicamente (s)corretto. L’analisi ha mostrato come i contenuti offensivi possano essere veicolati sia da forme insultanti (PS) sia da forme non insultanti (PC) e che il carattere denigratorio dell’HS può essere rivalutato attraverso la messa in atto dei fenomeni di riappropriazione da parte delle minoranze etniche.
Lingua e potere: rappresentazione dell'Altro, riappropriazione del linguaggio d'odio e politicamente (s)corretto
BORDIGNON, BEATRICE
2021/2022
Abstract
La lingua non è solo un insieme di parole, ma è un mezzo attraverso il quale gli esseri umani si costruiscono in quanto esseri sociali e imparano a definire sé stessi in quanto individui e membri di gruppi sociali. Gli stereotipi e le rappresentazioni collettive fungono da punto di partenza per la discriminazione e l’esclusione, così facendo il linguaggio d’odio si rende veicolo principale di tali comportamenti, assumendo forme disparate e contribuendo a complicare il processo della sua identificazione e a rafforzare la disparità di potere di autorappresentazione esistente tra gruppo dominante e le minoranze. L’obiettivo di questo elaborato è quello di riflettere sul rapporto esistente tra lingua e potere nel mantenimento della capacità di autorappresentazione e rappresentazione dell’Altro da parte dei gruppi dominanti da una parte, e come strumento di autodefinizione, sovversione e rivalsa per i membri delle minoranze (etniche) dall’altra. Inoltre, a questo proposito, si riflette sulla possibilità che il politicamente corretto (di cui si mette in discussione l’accusa di censura), in stretta connessione col fenomeno dell’hate speech, limiti gli effetti erosivi di quest’ultimo e contribuisca a dare voce all’Altro. Per rispondere alla domanda di ricerca, è stata svolta un’analisi qualitativa su un corpus di testi selezionati arbitrariamente e organizzati in una griglia dopo essere stati sottoposti ad alcuni criteri, attraverso i quali è stato possibile identificare la linea di confine tra linguaggio d’odio e politicamente (s)corretto. L’analisi ha mostrato come i contenuti offensivi possano essere veicolati sia da forme insultanti (PS) sia da forme non insultanti (PC) e che il carattere denigratorio dell’HS può essere rivalutato attraverso la messa in atto dei fenomeni di riappropriazione da parte delle minoranze etniche.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/87144