La questione dell’animalità è rimasta a lungo sullo sfondo della riflessione filosofica. A partire dalla modernità, l’esclusione degli animali non umani dalla soggettività ha avuto conseguenze anche sulle questioni morali e giuridiche. Il pensiero femminista, mettendo in discussione il soggetto egemone nella filosofia occidentale e moderna, si inserisce in questa prospettiva, mostrando la parzialità e il posizionamento del modello di umano paradigmatico. L’ecofemminsimo mette in luce la correlazione tra l’oppressione femminile e quella della natura. Viene criticato il falso universalismo del soggetto maschile, che costruisce la propria identità su una logica dualistica che oppone il maschile al femminile, l’umano al non umano, la cultura alla natura. La logica fallologocentrica pone al centro una soggettività che si presenta come neutrale, rendendo le differenze di genere – e non solo – un fattore di discriminazione, occultando le stesse differenze sotto il concetto di soggetto universale. La ragione e il linguaggio sono stati interpretati come prerogative umane e hanno legittimato lo sfruttamento animale. La razionalità del soggetto affonda le sue radici nel dualismo cartesiano, che ha trasformato la dimensione corporea in pura materia, separata dall’identità dell’individuo. A partire da questa concezione del corpo, l’animale è ridotto a carne. La connotazione culturale del consumo di carne è analizzata da Carol Adams, che osserva come l’oggettificazione e la frammentazione dei corpi accomuni l’esperienza femminile e quella animale. Nella società patriarcale, il consumo di carne riflette una struttura di dominio, sacrificio e incorporazione dell’altro. La decostruzione del soggetto della metafisica, limitato ai confini della sola umanità, sembra un passaggio necessario per poter affrontare la questione dell’animale in filosofia. Alle teorie antispeciste e femministe incentrate sull’ampliamento dei diritti, si può contrapporre un concetto di responsabilità verso il vivente in generale, che precede tanto l’etica quanto il diritto. La responsabilità si indirizza all’altro senza categorizzarlo: all’animale in generale, la fenomenologia di Derrida sostituisce un’attenzione nei confronti del vivente singolare, del “chi” dell’altro da cui ognuno è interpellato. Il pensiero femminista di Butler e Haraway si inserisce in questa prospettiva decostruttiva. La sostanzialità, l’universalità e l’identità a sé vengono messe in crisi a favore di una concezione plurale delle soggettività, che supera la tradizione metafisica e umanistica. Il pensiero postumanista recupera infatti la dimensione della finitezza e della corporeità, che la tradizione cartesiana ha subordinato alla razionalità. Da un punto di vista etico, la responsabilità nei confronti dell’altro sembra richiedere una nuova interpretazione dell’etica della cura, in cui il superamento della concezione individualista porta a una visione relazionale del sé. La relazione mette al centro dell’etica la singolarità dell’altro, riabilita la dimensione patica ed empatica, la sfera delle emozioni e il rapporto pre-teoretico all’altro, prima che sia definito come uomo. In questo orizzonte, la parola e il volto dell’altro rappresentano la fuoriuscita dalle categorizzazioni moderne e astratte che hanno cancellato la corporeità, l’emotività, la femminilità e l’animalità dal discorso filosofico.

Corpi decostruiti. Una teoria femminista e antispecista del soggetto postumano

DELL'OSTE, ELENA
2021/2022

Abstract

La questione dell’animalità è rimasta a lungo sullo sfondo della riflessione filosofica. A partire dalla modernità, l’esclusione degli animali non umani dalla soggettività ha avuto conseguenze anche sulle questioni morali e giuridiche. Il pensiero femminista, mettendo in discussione il soggetto egemone nella filosofia occidentale e moderna, si inserisce in questa prospettiva, mostrando la parzialità e il posizionamento del modello di umano paradigmatico. L’ecofemminsimo mette in luce la correlazione tra l’oppressione femminile e quella della natura. Viene criticato il falso universalismo del soggetto maschile, che costruisce la propria identità su una logica dualistica che oppone il maschile al femminile, l’umano al non umano, la cultura alla natura. La logica fallologocentrica pone al centro una soggettività che si presenta come neutrale, rendendo le differenze di genere – e non solo – un fattore di discriminazione, occultando le stesse differenze sotto il concetto di soggetto universale. La ragione e il linguaggio sono stati interpretati come prerogative umane e hanno legittimato lo sfruttamento animale. La razionalità del soggetto affonda le sue radici nel dualismo cartesiano, che ha trasformato la dimensione corporea in pura materia, separata dall’identità dell’individuo. A partire da questa concezione del corpo, l’animale è ridotto a carne. La connotazione culturale del consumo di carne è analizzata da Carol Adams, che osserva come l’oggettificazione e la frammentazione dei corpi accomuni l’esperienza femminile e quella animale. Nella società patriarcale, il consumo di carne riflette una struttura di dominio, sacrificio e incorporazione dell’altro. La decostruzione del soggetto della metafisica, limitato ai confini della sola umanità, sembra un passaggio necessario per poter affrontare la questione dell’animale in filosofia. Alle teorie antispeciste e femministe incentrate sull’ampliamento dei diritti, si può contrapporre un concetto di responsabilità verso il vivente in generale, che precede tanto l’etica quanto il diritto. La responsabilità si indirizza all’altro senza categorizzarlo: all’animale in generale, la fenomenologia di Derrida sostituisce un’attenzione nei confronti del vivente singolare, del “chi” dell’altro da cui ognuno è interpellato. Il pensiero femminista di Butler e Haraway si inserisce in questa prospettiva decostruttiva. La sostanzialità, l’universalità e l’identità a sé vengono messe in crisi a favore di una concezione plurale delle soggettività, che supera la tradizione metafisica e umanistica. Il pensiero postumanista recupera infatti la dimensione della finitezza e della corporeità, che la tradizione cartesiana ha subordinato alla razionalità. Da un punto di vista etico, la responsabilità nei confronti dell’altro sembra richiedere una nuova interpretazione dell’etica della cura, in cui il superamento della concezione individualista porta a una visione relazionale del sé. La relazione mette al centro dell’etica la singolarità dell’altro, riabilita la dimensione patica ed empatica, la sfera delle emozioni e il rapporto pre-teoretico all’altro, prima che sia definito come uomo. In questo orizzonte, la parola e il volto dell’altro rappresentano la fuoriuscita dalle categorizzazioni moderne e astratte che hanno cancellato la corporeità, l’emotività, la femminilità e l’animalità dal discorso filosofico.
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