Vibrio parahaemolyticus è un batterio marino Gram-negativo che appartiene alla famiglia dei Vibrionaceae. E’ un batterio anaerobio facoltativo e alofilo. Esso è un patogeno alimentare, soprattutto presente nel territorio asiatico; è stato identificato per la prima volta come agente eziologico nel 1950 da Tsunesaburo Fujino. Questo batterio rientra a far parte delle principali cause nell’uomo di gastroenteriti, causate dal consumo di frutti di mare crudi o mal cotti. L’esordio dell’infezione è legato alla produzione da parte di V. parahaemolyticus di diversi fattori di virulenza, tra cui l’emolisina diretta termostabile (TDH), l’emolisina correlata al TDH (TRH) e due sistemi di secrezione di tipo III, T3SS1 e T3SS2. T3SS1 è coinvolto principalmente nella citotossicità, mentre T3SS2 nell’enterotossicità. L’adesione ai tessuti dell’ospite e la formazione del biofilm, vengono agevolate dall’emoagglutinina sensibile al mannosio(MSHA), dalla pilina PilA, dalla proteina GbpA e dalla molecola di adesione multivalente-7 (MAM-7). In generale, si sostiene che il recente aumento delle temperature delle acque superficiali stia promuovendo in modo significativo la crescita di V. parahemolyticus, la produzione dei fattori di patogenicità e la costruzione di biofilm. Inoltre, la diffusione sempre più marcata delle microplastiche nei mari, permette al batterio di usarle come vettori per raggiungere l’uomo passando tramite i molluschi, come ad esempio vongole e cozze. V. paraharmolyticus, essendo continuamente sottoposto a stress ambientale, ha sviluppato diversi sistemi di adattamento. Per quanto riguarda lo stress salino, il batterio utilizza la lisina decarbossilasi e il regolatore RpoS per sopravvivere al meglio in condizioni acide. Il meccanismo di adattamento che offre forse più vantaggi a V. parahaemolyticus è la formazione di biofilm, permessa da diversi regolatori, tra cui QsvR, ToxR, CpsR, OxyR, il processo c- di GMP e il rilevamento del quorum sensing. Inoltre, a causa del continuo abuso di antibiotici nell’industria marina e agricola, il batterio ha sviluppato una forte resistenza agli antibiotici. Per ridurre al minimo il rischio che l’infezione da V. parahemolyticus si diffonda, è necessario perfezionare le tecniche utili a monitorarne la presenza nel cibo (es: vongole e cozze) e la crescita. In particolare, vengono utilizzati terreni selettivi forniti di una certa percentuale di NaCl e vari brodi di arricchimento, tra cui l’acqua peptonica alcalina (APW) e il brodo di polimixina di sale (SPB). Per rilevare la densità di cellule di V. parahaemolyticus vitali si usa il metodo del numero più probabile, che si basa sulla valutazione del numero di CFU (Colony Forming Units) da parte del piastramento di diverse diluizioni delle soluzioni cellulari. La tecnica molecolare largamente usata per identificare il batterio è la reazione a catena della polimerasi (PCR), che permette di sequenziare i geni marker la cui sequenza permette il riconoscimento del batterio. Complessivamente, è prioritario innanzitutto salvaguardare l’ambiente marino tenendo sotto controllo l’aumento della temperatura superficiale e l’inquinamento da plastica. In secondo luogo, invece, è necessario ridurre il rischio di malattia nell’uomo stabilendo delle misure epidemiologiche accurate e implementare l’uso dei probiotici, affinché si riduca l’uso degli antibiotici.

Effetto delle variazioni ambientali su Vibrio parahaemolyticus, un batterio acquatico patogeno per l’uomo.

DIPIETRO, SARA
2021/2022

Abstract

Vibrio parahaemolyticus è un batterio marino Gram-negativo che appartiene alla famiglia dei Vibrionaceae. E’ un batterio anaerobio facoltativo e alofilo. Esso è un patogeno alimentare, soprattutto presente nel territorio asiatico; è stato identificato per la prima volta come agente eziologico nel 1950 da Tsunesaburo Fujino. Questo batterio rientra a far parte delle principali cause nell’uomo di gastroenteriti, causate dal consumo di frutti di mare crudi o mal cotti. L’esordio dell’infezione è legato alla produzione da parte di V. parahaemolyticus di diversi fattori di virulenza, tra cui l’emolisina diretta termostabile (TDH), l’emolisina correlata al TDH (TRH) e due sistemi di secrezione di tipo III, T3SS1 e T3SS2. T3SS1 è coinvolto principalmente nella citotossicità, mentre T3SS2 nell’enterotossicità. L’adesione ai tessuti dell’ospite e la formazione del biofilm, vengono agevolate dall’emoagglutinina sensibile al mannosio(MSHA), dalla pilina PilA, dalla proteina GbpA e dalla molecola di adesione multivalente-7 (MAM-7). In generale, si sostiene che il recente aumento delle temperature delle acque superficiali stia promuovendo in modo significativo la crescita di V. parahemolyticus, la produzione dei fattori di patogenicità e la costruzione di biofilm. Inoltre, la diffusione sempre più marcata delle microplastiche nei mari, permette al batterio di usarle come vettori per raggiungere l’uomo passando tramite i molluschi, come ad esempio vongole e cozze. V. paraharmolyticus, essendo continuamente sottoposto a stress ambientale, ha sviluppato diversi sistemi di adattamento. Per quanto riguarda lo stress salino, il batterio utilizza la lisina decarbossilasi e il regolatore RpoS per sopravvivere al meglio in condizioni acide. Il meccanismo di adattamento che offre forse più vantaggi a V. parahaemolyticus è la formazione di biofilm, permessa da diversi regolatori, tra cui QsvR, ToxR, CpsR, OxyR, il processo c- di GMP e il rilevamento del quorum sensing. Inoltre, a causa del continuo abuso di antibiotici nell’industria marina e agricola, il batterio ha sviluppato una forte resistenza agli antibiotici. Per ridurre al minimo il rischio che l’infezione da V. parahemolyticus si diffonda, è necessario perfezionare le tecniche utili a monitorarne la presenza nel cibo (es: vongole e cozze) e la crescita. In particolare, vengono utilizzati terreni selettivi forniti di una certa percentuale di NaCl e vari brodi di arricchimento, tra cui l’acqua peptonica alcalina (APW) e il brodo di polimixina di sale (SPB). Per rilevare la densità di cellule di V. parahaemolyticus vitali si usa il metodo del numero più probabile, che si basa sulla valutazione del numero di CFU (Colony Forming Units) da parte del piastramento di diverse diluizioni delle soluzioni cellulari. La tecnica molecolare largamente usata per identificare il batterio è la reazione a catena della polimerasi (PCR), che permette di sequenziare i geni marker la cui sequenza permette il riconoscimento del batterio. Complessivamente, è prioritario innanzitutto salvaguardare l’ambiente marino tenendo sotto controllo l’aumento della temperatura superficiale e l’inquinamento da plastica. In secondo luogo, invece, è necessario ridurre il rischio di malattia nell’uomo stabilendo delle misure epidemiologiche accurate e implementare l’uso dei probiotici, affinché si riduca l’uso degli antibiotici.
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