Domestic violence represents an important topic of discussion in the contemporary public arena. Although family has always been associated with the image of the safe haven par excellence, for many people the word "home" is linked to an emotional state characterized by constant anxiety and worries. This paper focuses its attention on this phenomenon by circumscribing it within the context of the People's Republic of China, where family abuses represent a critical social problem. Starting from the observation that it is almost impossible to define the concept of domestic violence in an unambiguous way, the different types of abuse are analyzed, the existence of one of which does not exclude the co-existence of others. The phases of development of the regulatory framework for the adoption of policies aimed at protecting women victims of family abuse are also identified, starting from the Beijing Declaration of 1995 up to the enactment of the Law against domestic violence in 2016. The effects of the ADV law, its limits and contradictions are also examined, stressing the importance of activism, and on how much gender difference affects the management of family abuse cases by the police forces in China. Once the position of the PRC has been defined, the procedural aspects of divorce for domestic violence – used by many women as the only expedient to put an end to the abuse suffered – are subsequently described. Specifically, its evolution is analyzed, starting from the enactment of the Marriage Law of 1950, with the emphasis on the institution of judicial mediation and on how this practice is still used by judges to deny divorce petitions, through the citation of some sentences. After demonstrating how much the coronavirus has negatively affected family relations in China, exacerbating a precarious context in itself, the focus shifts to the steps taken by a group of activists who, unable to mobilize because of health restrictions, have launched an online campaign to support all those women forced to live with their attackers. Finally, an investigation is carried out on the introduction of personal safety protection orders and on how, although revolutionary, this instrument has several shortcomings, especially since the victims are called upon to bear the burden of proof to request its implementation. It is also underlined how a more proactive role of the judges is essential to overcome the barrier of the institution of mediation, in the face of greater protection of the victims. The paper concludes with the analysis of a particular case, that of Li Yan, sentenced to death for the murder of her abusive husband, focusing on the international mobilization that led to the commutation of the death penalty, and highlighting the contradictions of a legal system still reluctant to handle domestic violence cases for what they are: a human rights violation and, as such, punishable by law. ​

Il tema della violenza domestica rappresenta un importante argomento di discussione nell’arena pubblica contemporanea. Sebbene la famiglia venga da sempre associata all’immagine del porto sicuro per eccellenza, per molti il termine “casa” è legato a uno stato emotivo caratterizzato da ansia e preoccupazioni costanti. Il presente elaborato pone l’attenzione su tale fenomeno circoscrivendolo all’interno del contesto della Repubblica Popolare Cinese, dove gli abusi famigliari rappresentano un problema sociale critico. Partendo dalla constatazione del fatto che definire in modo univoco il concetto di violenza domestica sia pressocché impossibile, vengono analizzate le diverse tipologie di abuso, la sussistenza di una delle quali non esclude la compresenza di altre. Vengono inoltre identificate le fasi di sviluppo del quadro normativo per l’adozione di politiche volte alla tutela delle donne vittime di maltrattamenti famigliari, partendo dalla Dichiarazione di Pechino del 1995 fino all’emanazione della Legge contro la violenza domestica del 2016. Vengono inoltre presi in esamine gli effetti della legge ADV, i suoi limiti e le sue contraddizioni, ponendo l’accento sull’importanza dell’attivismo, e su quanto la differenza di genere influisca nella gestione dei casi di abusi famigliari da parte delle forze di polizia in Cina. Definita la posizione della RPC, vengono successivamente descritti gli aspetti procedurali del divorzio per violenza domestica, utilizzato da molte donne come unico espediente per mettere fine ai maltrattamenti subiti. Nello specifico, viene analizzata la sua evoluzione a partire dall’emanazione della Legge sul matrimonio del 1950, ponendo l’accento sull’istituto della mediazione giudiziaria e su come tale pratica sia tutt’ora utilizzata dai giudici per negare le petizioni di divorzio, attraverso la citazione di alcune sentenze. Dopo aver dimostrato quanto il coronavirus abbia influito negativamente sui rapporti famigliari in Cina, esacerbando un contesto di per sé precario, l’attenzione si sposta sui passi compiuti da un gruppo di attiviste che, impossibilitate a mobilitarsi a causa delle restrizioni sanitarie, hanno dato vita a una campagna online volta a supportare tutte quelle donne costrette a convivere con i propri aggressori. Infine, viene svolta un’indagine sull’introduzione degli ordini di protezione della sicurezza personale e su come, sebbene rivoluzionario, tale strumento presenti diverse lacune, soprattutto nel momento in cui le vittime vengono chiamate a sopportare l’onere della prova per richiederne l’attuazione. Viene altresì sottolineato come un ruolo più proattivo dei giudici sia fondamentale per superare la barriera dell’istituto della mediazione, a fronte di una maggiore tutela delle vittime. L’elaborato si conclude con l’analisi di un caso in particolare, quello di Li Yan, condannata a morte per l’omicidio del marito violento, ponendo l’attenzione sulla mobilitazione a livello internazionale che ha portato alla commutazione della pena capitale, ed evidenziando le contraddizioni di un sistema giuridico ancora riluttante a gestire i casi di violenza domestica per quello che sono: una violazione dei diritti umani e, in quanto tali, perseguibili penalmente. ​

LA LEGGE CONTRO LA VIOLENZA DOMESTICA: ANALISI DEL FENOMENO DEGLI ABUSI FAMIGLIARI IN RELAZIONE AI PROCEDIMENTI DI DIVORZIO NELLA RPC. ​

VENNERI, NADIA
2021/2022

Abstract

Il tema della violenza domestica rappresenta un importante argomento di discussione nell’arena pubblica contemporanea. Sebbene la famiglia venga da sempre associata all’immagine del porto sicuro per eccellenza, per molti il termine “casa” è legato a uno stato emotivo caratterizzato da ansia e preoccupazioni costanti. Il presente elaborato pone l’attenzione su tale fenomeno circoscrivendolo all’interno del contesto della Repubblica Popolare Cinese, dove gli abusi famigliari rappresentano un problema sociale critico. Partendo dalla constatazione del fatto che definire in modo univoco il concetto di violenza domestica sia pressocché impossibile, vengono analizzate le diverse tipologie di abuso, la sussistenza di una delle quali non esclude la compresenza di altre. Vengono inoltre identificate le fasi di sviluppo del quadro normativo per l’adozione di politiche volte alla tutela delle donne vittime di maltrattamenti famigliari, partendo dalla Dichiarazione di Pechino del 1995 fino all’emanazione della Legge contro la violenza domestica del 2016. Vengono inoltre presi in esamine gli effetti della legge ADV, i suoi limiti e le sue contraddizioni, ponendo l’accento sull’importanza dell’attivismo, e su quanto la differenza di genere influisca nella gestione dei casi di abusi famigliari da parte delle forze di polizia in Cina. Definita la posizione della RPC, vengono successivamente descritti gli aspetti procedurali del divorzio per violenza domestica, utilizzato da molte donne come unico espediente per mettere fine ai maltrattamenti subiti. Nello specifico, viene analizzata la sua evoluzione a partire dall’emanazione della Legge sul matrimonio del 1950, ponendo l’accento sull’istituto della mediazione giudiziaria e su come tale pratica sia tutt’ora utilizzata dai giudici per negare le petizioni di divorzio, attraverso la citazione di alcune sentenze. Dopo aver dimostrato quanto il coronavirus abbia influito negativamente sui rapporti famigliari in Cina, esacerbando un contesto di per sé precario, l’attenzione si sposta sui passi compiuti da un gruppo di attiviste che, impossibilitate a mobilitarsi a causa delle restrizioni sanitarie, hanno dato vita a una campagna online volta a supportare tutte quelle donne costrette a convivere con i propri aggressori. Infine, viene svolta un’indagine sull’introduzione degli ordini di protezione della sicurezza personale e su come, sebbene rivoluzionario, tale strumento presenti diverse lacune, soprattutto nel momento in cui le vittime vengono chiamate a sopportare l’onere della prova per richiederne l’attuazione. Viene altresì sottolineato come un ruolo più proattivo dei giudici sia fondamentale per superare la barriera dell’istituto della mediazione, a fronte di una maggiore tutela delle vittime. L’elaborato si conclude con l’analisi di un caso in particolare, quello di Li Yan, condannata a morte per l’omicidio del marito violento, ponendo l’attenzione sulla mobilitazione a livello internazionale che ha portato alla commutazione della pena capitale, ed evidenziando le contraddizioni di un sistema giuridico ancora riluttante a gestire i casi di violenza domestica per quello che sono: una violazione dei diritti umani e, in quanto tali, perseguibili penalmente. ​
ITA
Domestic violence represents an important topic of discussion in the contemporary public arena. Although family has always been associated with the image of the safe haven par excellence, for many people the word "home" is linked to an emotional state characterized by constant anxiety and worries. This paper focuses its attention on this phenomenon by circumscribing it within the context of the People's Republic of China, where family abuses represent a critical social problem. Starting from the observation that it is almost impossible to define the concept of domestic violence in an unambiguous way, the different types of abuse are analyzed, the existence of one of which does not exclude the co-existence of others. The phases of development of the regulatory framework for the adoption of policies aimed at protecting women victims of family abuse are also identified, starting from the Beijing Declaration of 1995 up to the enactment of the Law against domestic violence in 2016. The effects of the ADV law, its limits and contradictions are also examined, stressing the importance of activism, and on how much gender difference affects the management of family abuse cases by the police forces in China. Once the position of the PRC has been defined, the procedural aspects of divorce for domestic violence – used by many women as the only expedient to put an end to the abuse suffered – are subsequently described. Specifically, its evolution is analyzed, starting from the enactment of the Marriage Law of 1950, with the emphasis on the institution of judicial mediation and on how this practice is still used by judges to deny divorce petitions, through the citation of some sentences. After demonstrating how much the coronavirus has negatively affected family relations in China, exacerbating a precarious context in itself, the focus shifts to the steps taken by a group of activists who, unable to mobilize because of health restrictions, have launched an online campaign to support all those women forced to live with their attackers. Finally, an investigation is carried out on the introduction of personal safety protection orders and on how, although revolutionary, this instrument has several shortcomings, especially since the victims are called upon to bear the burden of proof to request its implementation. It is also underlined how a more proactive role of the judges is essential to overcome the barrier of the institution of mediation, in the face of greater protection of the victims. The paper concludes with the analysis of a particular case, that of Li Yan, sentenced to death for the murder of her abusive husband, focusing on the international mobilization that led to the commutation of the death penalty, and highlighting the contradictions of a legal system still reluctant to handle domestic violence cases for what they are: a human rights violation and, as such, punishable by law. ​
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