Il termine coscientizzazione è qualcosa in più della semplice presa di coscienza, perché è lo sviluppo critico della presa di coscienza. Molti hanno paura della coscienza critica, la considerano pericolosa, origine di disordine ed anarchia, ma è proprio la coscientizzazione che permette la libertà di espressione, l’emancipazione sociale e l’inserimento dell’individuo come soggetto attivo nel processo storico. Gli stessi oppressi, per usare un termine di Freire e di Boal, hanno paura della libertà e si rifugiano nella sicurezza della loro solita vita, “immersi” nella realtà dell’oppressore, unico modello di umanità che conoscono. Non si parla solo di una presa di coscienza critica come reazione ai regimi militari ed oppressivi, portata avanti da Freire, ma anche di una coscientizzazione che, nei paesi liberi e democratici, combatte forme di oppressione diversa, di autocensura e autolimitazione, non più demandate ad un soggetto esterno come nei regimi, ma presenti nella mente e nei comportamenti delle persone. Non più uno stato militarizzato che influisce sull’esistenza dei cittadini, come nel Sud America di Freire, ma una sorta di controllo interno, un’oppressione di carattere psicologico che ognuno interiorizza e da cui nascono le ossessioni personali quotidiane, che impediscono la vera libertà. Da qui nasce il Teatro dell’Oppresso di Boal. Il lessico del pedagogista e dell’uomo di teatro è lo stesso, si parla di oppressi e di liberazione. Entrambi partono dall’idea che ogni uomo possiede in sé gli strumenti per la risoluzione dei problemi, si tratta solo di trovare le metodologie per avere accesso a queste capacità. Entrambi parlano di liberazione dell’uomo, attuando un metodo che non consegna delle risposte, ma che attraverso il dialogo attiva dei processi che portano alla coscientizzazione, cioè al chiarimento dell’uomo a se stesso, la visione chiara della propria realtà, del proprio essere al mondo. È un ambito di pensiero che si ricollega anche ad altri grandi pedagogisti del passato, come Dewey, a livello internazionale e don Milani nelle scuole degli ultimi, per la loro valorizzazione massima dell’educando come soggetto creativo e come persona umana vista nella sua dignità e nella sua capacità di essere consapevole. La coscientizzazione è anche intesa come cura. Si pensi alle esperienze di teatro sociale di Gabriele Vacis, in cui si crea un circuito di comunicazione che viene messo al servizio della conoscenza di sé e degli altri, arrivando ad essere“presenti a se stessi”. Oppure si pensi allo psicodramma di Moreno, in cui il valore terapeutico del teatro riproduce il conflitto tra persona e realtà e diventa liberazione, scioglimento dei blocchi, riattivazione di energie nascoste e coscientizzazione, presa di coscienza critica su se stessi.

LA COSCIENTIZZAZIONE COME STRUMENTO DI CURA E DI EMANCIPAZIONE NELLA PEDAGOGIA E NEL TEATRO SOCIALE

OLIVERO, DENISE
2021/2022

Abstract

Il termine coscientizzazione è qualcosa in più della semplice presa di coscienza, perché è lo sviluppo critico della presa di coscienza. Molti hanno paura della coscienza critica, la considerano pericolosa, origine di disordine ed anarchia, ma è proprio la coscientizzazione che permette la libertà di espressione, l’emancipazione sociale e l’inserimento dell’individuo come soggetto attivo nel processo storico. Gli stessi oppressi, per usare un termine di Freire e di Boal, hanno paura della libertà e si rifugiano nella sicurezza della loro solita vita, “immersi” nella realtà dell’oppressore, unico modello di umanità che conoscono. Non si parla solo di una presa di coscienza critica come reazione ai regimi militari ed oppressivi, portata avanti da Freire, ma anche di una coscientizzazione che, nei paesi liberi e democratici, combatte forme di oppressione diversa, di autocensura e autolimitazione, non più demandate ad un soggetto esterno come nei regimi, ma presenti nella mente e nei comportamenti delle persone. Non più uno stato militarizzato che influisce sull’esistenza dei cittadini, come nel Sud America di Freire, ma una sorta di controllo interno, un’oppressione di carattere psicologico che ognuno interiorizza e da cui nascono le ossessioni personali quotidiane, che impediscono la vera libertà. Da qui nasce il Teatro dell’Oppresso di Boal. Il lessico del pedagogista e dell’uomo di teatro è lo stesso, si parla di oppressi e di liberazione. Entrambi partono dall’idea che ogni uomo possiede in sé gli strumenti per la risoluzione dei problemi, si tratta solo di trovare le metodologie per avere accesso a queste capacità. Entrambi parlano di liberazione dell’uomo, attuando un metodo che non consegna delle risposte, ma che attraverso il dialogo attiva dei processi che portano alla coscientizzazione, cioè al chiarimento dell’uomo a se stesso, la visione chiara della propria realtà, del proprio essere al mondo. È un ambito di pensiero che si ricollega anche ad altri grandi pedagogisti del passato, come Dewey, a livello internazionale e don Milani nelle scuole degli ultimi, per la loro valorizzazione massima dell’educando come soggetto creativo e come persona umana vista nella sua dignità e nella sua capacità di essere consapevole. La coscientizzazione è anche intesa come cura. Si pensi alle esperienze di teatro sociale di Gabriele Vacis, in cui si crea un circuito di comunicazione che viene messo al servizio della conoscenza di sé e degli altri, arrivando ad essere“presenti a se stessi”. Oppure si pensi allo psicodramma di Moreno, in cui il valore terapeutico del teatro riproduce il conflitto tra persona e realtà e diventa liberazione, scioglimento dei blocchi, riattivazione di energie nascoste e coscientizzazione, presa di coscienza critica su se stessi.
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