L’esigenza di trovare un’alternativa ai solventi derivati dal petrolio o comunque inquinanti, tossici, cancerogeni e pericolosi in quanto spesso infiammabili e volatili, ha le sue origini proprio alla luce dell’impatto ambientale che hanno i processi chimici e l’emissione di inquinanti xenobiotici nella biosfera. Queste emissioni, a prescindere dalla loro origine (trasporti, riscaldamento domestico, processi di sintesi industriale, trattamento dei rifiuti, ecc.), influiscono sui processi biogeochimici che regolano l’intero ecosistema terrestre. Proprio da questa necessità nasce il concetto di “Green Chemistry”, che consiste in un approccio multidisciplinare che mira a ridurre e prevenire l’impatto ambientale dovuto non solo ai processi, ma anche ai prodotti dell’industria chimica. Il termine, coniato per la prima volta da Paul T. Anastas e John C. Warner nel 1998, si basa su 12 principi che possono essere riassunti in quattro assunti: massimizzare la quantità di reagenti convertiti nel prodotto desiderato; usare reagenti sicuri sia dal punto di vista ambientale che per la salute umana; massimizzare l’efficienza energetica dei processi; evitare di produrre reflui e sottoprodotti indesiderati. Negli ultimi decenni, quindi, numerose ricerche scientifiche si sono concentrate sullo sviluppo di nuovi sistemi e metodologie di sintesi che potessero sostituire i solventi più comunemente utilizzati. A partire dal 2003, una nuova classe di solventi ha ricevuto molta attenzione nella ricerca scientifica in quanto solventi che rispondono a molti dei 12 principi della Green Chemistry, essendo questi sicuri (non infiammabili e a bassissima volatilità), potenzialmente non inquinanti, non tossici, facili da sintetizzare e, molti di essi, economici. Questi solventi prendono il nome di Deep Eutectic Solvents (DES) e sono in realtà costituiti da una miscela di composti donatori di legami idrogeno (HBD) e accettori di legami idrogeno (HBA) in rapporti molari specifici, tali da generare un valore significativamente inferiore del punto di fusione reale rispetto a quello della miscela eutettica ideale. Oltre alle caratteristiche di solventi green la grande attenzione che queste miscele hanno conquistato è dovuta anche al loro potenziale come sistemi in grado di instaurare numerose e complesse interazioni a seconda delle proprietà dei composti che vengono utilizzati per sintetizzarle. In questo elaborato verranno dapprima riportate le caratteristiche generali dei DES, le loro diverse classificazioni e le applicazioni in ambito chimico di questa classe di miscele. Successivamente si proverà a riportare non solo quelle che sono le strutture e le proprietà chimico-fisiche dei DES, comprese attraverso l’utilizzo della “Hole Theory” e del network supramolecolare di legami idrogeno che si instaura nei DES, ma anche le lacune teoriche che ancora esistono attorno a queste miscele. Nel capitolo finale sarà possibile osservare come, anche tramite le indagini sulle proprietà chimico-fisiche, l’utilizzo dei DES possa essere sfruttato per processi di sintesi asimmetrica organocatalizzata. In particolare verranno considerate una reazione di addizione coniugata a composti α,β-carbonilici in presenza di un DES come co-catalizzatore e una reazione di Friedel-Crafts in cui viene utilizzato un DES chirale come ambiente di reazione e catalizzatore stesso.
Deep Eutectic Systems: proprietà e potenziali applicazioni nei processi di sintesi asimmetrica organocatalizzata
PLANCHER, MATTIA
2021/2022
Abstract
L’esigenza di trovare un’alternativa ai solventi derivati dal petrolio o comunque inquinanti, tossici, cancerogeni e pericolosi in quanto spesso infiammabili e volatili, ha le sue origini proprio alla luce dell’impatto ambientale che hanno i processi chimici e l’emissione di inquinanti xenobiotici nella biosfera. Queste emissioni, a prescindere dalla loro origine (trasporti, riscaldamento domestico, processi di sintesi industriale, trattamento dei rifiuti, ecc.), influiscono sui processi biogeochimici che regolano l’intero ecosistema terrestre. Proprio da questa necessità nasce il concetto di “Green Chemistry”, che consiste in un approccio multidisciplinare che mira a ridurre e prevenire l’impatto ambientale dovuto non solo ai processi, ma anche ai prodotti dell’industria chimica. Il termine, coniato per la prima volta da Paul T. Anastas e John C. Warner nel 1998, si basa su 12 principi che possono essere riassunti in quattro assunti: massimizzare la quantità di reagenti convertiti nel prodotto desiderato; usare reagenti sicuri sia dal punto di vista ambientale che per la salute umana; massimizzare l’efficienza energetica dei processi; evitare di produrre reflui e sottoprodotti indesiderati. Negli ultimi decenni, quindi, numerose ricerche scientifiche si sono concentrate sullo sviluppo di nuovi sistemi e metodologie di sintesi che potessero sostituire i solventi più comunemente utilizzati. A partire dal 2003, una nuova classe di solventi ha ricevuto molta attenzione nella ricerca scientifica in quanto solventi che rispondono a molti dei 12 principi della Green Chemistry, essendo questi sicuri (non infiammabili e a bassissima volatilità), potenzialmente non inquinanti, non tossici, facili da sintetizzare e, molti di essi, economici. Questi solventi prendono il nome di Deep Eutectic Solvents (DES) e sono in realtà costituiti da una miscela di composti donatori di legami idrogeno (HBD) e accettori di legami idrogeno (HBA) in rapporti molari specifici, tali da generare un valore significativamente inferiore del punto di fusione reale rispetto a quello della miscela eutettica ideale. Oltre alle caratteristiche di solventi green la grande attenzione che queste miscele hanno conquistato è dovuta anche al loro potenziale come sistemi in grado di instaurare numerose e complesse interazioni a seconda delle proprietà dei composti che vengono utilizzati per sintetizzarle. In questo elaborato verranno dapprima riportate le caratteristiche generali dei DES, le loro diverse classificazioni e le applicazioni in ambito chimico di questa classe di miscele. Successivamente si proverà a riportare non solo quelle che sono le strutture e le proprietà chimico-fisiche dei DES, comprese attraverso l’utilizzo della “Hole Theory” e del network supramolecolare di legami idrogeno che si instaura nei DES, ma anche le lacune teoriche che ancora esistono attorno a queste miscele. Nel capitolo finale sarà possibile osservare come, anche tramite le indagini sulle proprietà chimico-fisiche, l’utilizzo dei DES possa essere sfruttato per processi di sintesi asimmetrica organocatalizzata. In particolare verranno considerate una reazione di addizione coniugata a composti α,β-carbonilici in presenza di un DES come co-catalizzatore e una reazione di Friedel-Crafts in cui viene utilizzato un DES chirale come ambiente di reazione e catalizzatore stesso.File | Dimensione | Formato | |
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