Il presente lavoro di ricerca si sofferma sull’analisi dell’articolo 36 della Costituzione e della sua relazione con il concetto di salario minimo. Si tratta di un percorso argomentativo che parte dalla nascita dell’articolo stesso e dalle scelte dell’Assemblea Costituente, passa attraverso altre scelte, quelle concrete e contrattuali frutto delle relazioni tra i soggetti operanti nel sistema lavoro, per terminare nella situazione di dibattito odierna. Si tratterà altresì della posizione del legislatore e della sua scelta di non intervenire sui minimi, nonché del ruolo della giurisprudenza che ha, di fatto, garantito l’applicazione dei principi di cui all’art. 36 Cost. Il lavoro è riconosciuto quale valore fondante della Costituzione della Repubblica; tanto che la definizione stessa dell'Italia quale "Repubblica democratica fondata sul lavoro" nasce nella seduta dell'Assemblea Costituente del 22 marzo 1947. Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, in sede di discussione dell'art. 1 sottolineò la stretta relazione tra democrazia e lavoro, alla base del nostro ordinamento: “È necessario in una Carta costituzionale stabilire fin dal principio che, oltre alla democrazia puramente politica, base di un nostro periodo glorioso di civiltà costituzionale, si deve oggi realizzare una democrazia sociale ed economica”. Inizia una nuova fase storica, alla cui base si trovano due concetti: la sovranità popolare, eredità del principio democratico e la aggiunta dell'elemento "lavoro". A questo elemento lavoro però non basta essere il primo valore fondante della Repubblica, per la sua concretizzazione occorrono specificazioni ed elementi aggiuntivi che si presentano in varie forme in diversi articoli della Carta, uno tra tutti l’articolo 36. Attraverso una prima lettura analitica si trovano, in ordine, il principio di proporzionalità tra retribuzione e qualità/quantità del lavoro e il “minimum” salariale, che deve essere in ogni caso garantito. Se questo concetto sembra di facile intuizione, quasi matematico, nelle pagine che seguono verrà approfondito come raggiungere, non solo la proporzionalità, ma anche quel “minimo” al di sotto del quale per il lavoratore non può vivere liberamente e dignitosamente, non sia una mera questione di numeri. Si osserverà il ruolo e le scelte dei sindacati che, tramite i contratti collettivi, hanno, in concreto applicato l’articolo 36 Costituzione. Verranno presentati gli accordi e le scelte sindacali e industriali. Ma in che modo la contrattazione collettiva ha operato? Perché il legislatore si è astenuto? Soprattutto, chi garantisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione "giusta"? Il giudice può intervenire? Si tratta di domande alle quali questa trattazione vuole dare una risposta attraverso un excursus storico-politico-legislativo della nozione di salario minimo, evidenziando come tale concetto si sia evoluto, in relazione ad interpretazioni dottrinali, giurisprudenziali e spesso politiche, differenti e specchio di una società in continuo cambiamento. Vivere liberamente e dignitosamente non è certo riassumibile in una cifra oraria fissa, è un diritto i cui strumenti di garanzia sono mutevoli, poggiano su parametri diversi e sempre nuovi. In conclusione si arriva alla stagione attuale della politica dei redditi e del lavoro nel nostro Paese con cenni al salario minimo legale e al reddito di cittadinanza.

L'articolo 36 della Costituzione e il salario minimo

AVOLIO, DENISE
2021/2022

Abstract

Il presente lavoro di ricerca si sofferma sull’analisi dell’articolo 36 della Costituzione e della sua relazione con il concetto di salario minimo. Si tratta di un percorso argomentativo che parte dalla nascita dell’articolo stesso e dalle scelte dell’Assemblea Costituente, passa attraverso altre scelte, quelle concrete e contrattuali frutto delle relazioni tra i soggetti operanti nel sistema lavoro, per terminare nella situazione di dibattito odierna. Si tratterà altresì della posizione del legislatore e della sua scelta di non intervenire sui minimi, nonché del ruolo della giurisprudenza che ha, di fatto, garantito l’applicazione dei principi di cui all’art. 36 Cost. Il lavoro è riconosciuto quale valore fondante della Costituzione della Repubblica; tanto che la definizione stessa dell'Italia quale "Repubblica democratica fondata sul lavoro" nasce nella seduta dell'Assemblea Costituente del 22 marzo 1947. Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, in sede di discussione dell'art. 1 sottolineò la stretta relazione tra democrazia e lavoro, alla base del nostro ordinamento: “È necessario in una Carta costituzionale stabilire fin dal principio che, oltre alla democrazia puramente politica, base di un nostro periodo glorioso di civiltà costituzionale, si deve oggi realizzare una democrazia sociale ed economica”. Inizia una nuova fase storica, alla cui base si trovano due concetti: la sovranità popolare, eredità del principio democratico e la aggiunta dell'elemento "lavoro". A questo elemento lavoro però non basta essere il primo valore fondante della Repubblica, per la sua concretizzazione occorrono specificazioni ed elementi aggiuntivi che si presentano in varie forme in diversi articoli della Carta, uno tra tutti l’articolo 36. Attraverso una prima lettura analitica si trovano, in ordine, il principio di proporzionalità tra retribuzione e qualità/quantità del lavoro e il “minimum” salariale, che deve essere in ogni caso garantito. Se questo concetto sembra di facile intuizione, quasi matematico, nelle pagine che seguono verrà approfondito come raggiungere, non solo la proporzionalità, ma anche quel “minimo” al di sotto del quale per il lavoratore non può vivere liberamente e dignitosamente, non sia una mera questione di numeri. Si osserverà il ruolo e le scelte dei sindacati che, tramite i contratti collettivi, hanno, in concreto applicato l’articolo 36 Costituzione. Verranno presentati gli accordi e le scelte sindacali e industriali. Ma in che modo la contrattazione collettiva ha operato? Perché il legislatore si è astenuto? Soprattutto, chi garantisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione "giusta"? Il giudice può intervenire? Si tratta di domande alle quali questa trattazione vuole dare una risposta attraverso un excursus storico-politico-legislativo della nozione di salario minimo, evidenziando come tale concetto si sia evoluto, in relazione ad interpretazioni dottrinali, giurisprudenziali e spesso politiche, differenti e specchio di una società in continuo cambiamento. Vivere liberamente e dignitosamente non è certo riassumibile in una cifra oraria fissa, è un diritto i cui strumenti di garanzia sono mutevoli, poggiano su parametri diversi e sempre nuovi. In conclusione si arriva alla stagione attuale della politica dei redditi e del lavoro nel nostro Paese con cenni al salario minimo legale e al reddito di cittadinanza.
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