Social intelligence is a key feature of human beings, and sociality represents the primary engine of our phylogenetic development and survival. Among all the complex social behaviors, prosociality is possibly the most striking one, as it shows how we often adopt behaviors which privilege others over ourselves, despite this being counterintuitive in a utilitarian sense. For these reasons, prosocial tendencies represent a central component of human coexistence and have been deeply investigated. Many factors significantly shape the social decision-making process, and a considerable amount of them has been broadly studied. However, some of these have still not received enough attention, and canonical experimental settings often ignore crucial contextual factors, such as the effort required to benefit others. Indeed, in real life, every prosocial choice comes with a certain effort level required to be acted, whether cognitive, physical or of another nature. Here, we designed an experimental paradigm to investigate the effects of different levels of cognitive effort on the willingness to engage in prosocial behaviors. We quantified the effort exerted by measuring the number of either less- or more-demanding cognitive tasks participants were willing to complete to allocate resources to either themselves or another person (a confederate) sitting in front of them. We investigated the effects of cognitive effort on social decisions both at the behavioral level, by recording the reaction time (RTs) of our participants, and at the neural level through the analysis of two ERPs’ time intervals, N2 and P3, early neural signatures of prosocial motivation. As expected, at the behavioral level, we observed lower RTs when subjects decided to engage in a costly task to obtain benefits for themselves or a stranger. Also, surprisingly, we found no other effects of effort required on neither decision time nor the amount of effort exerted for oneself or for another person. Nevertheless, adding the gender as a variable, we observed some significant differences in the willing to exert effort for the confederate, with males that engaged in effortful tasks to gain resources for the confederate more frequently than for themselves. However, this difference could be also due to the confederate’s gender, that was always a female for our experiment. Future investigation of all the possible participant/confederate’s gender combinations will help us to better understand any possible effect of gender on social decision-making. From the EEG data analysis, instead, we found an effect of the effort required by the tasks. Here, when we considered the participant’s gender, we observed various modulations of our signal in the time intervals of N2 and P3. Regarding N2, we did not observe a true peak of this component, probably because of the confederate’s physical presence, that has been previously observed to suppress this component in social decision-making. Anyway, some expected differences in this time interval were found, especially in male subjects. For what concerns P3, instead, we observed few modulations of the signal in all the conditions. In particular, an unexpected higher amplitude for negative choices for the other in the difficult condition compared to positive choices in the same condition was observed. Future extensions of our sample and improvements of our paradigm will help us understand some controversial results both at the behavioral and neural level.
Il comportamento sociale è una parte essenziale della coesistenza umana. Fra i vari comportamenti sociali, la prosocialità è probabilmente il più sorprendente, mostrando come scegliamo spesso comportamenti che privilegiano gli altri rispetto a noi stessi. Per queste ragioni, le tendenze prosociali sono state ampiamente investigate nel corso degli anni. Sono molti i fattori in grado di influenzare il processo di social decision-making presi in considerazione in numerosi studi. Alcuni di essi non hanno però ancora ricevuto sufficiente attenzione e i setting sperimentali tradizionali spesso ignorano tali fattori contestuali cruciali, come l’impegno richiesto per generare benefici per gli altri. Infatti, nella vita quotidiana, ogni scelta prosociale porta con sé un certo livello di impegno richiesto per poter essere messa in atto, sia esso cognitivo, fisico o di altra natura. Qui, abbiamo progettato un paradigma sperimentale per indagare gli effetti di differenti livelli di impegno cognitivo sulla volontà di comportarsi prosocialmente. Abbiamo quantificato l’impegno esercitato misurando il numero di compiti cognitivi di difficoltà bassa o alta che i partecipanti erano disposti a completare per generare risorse per sé o per un’altra persona (il confederato) seduta di fronte a loro. Abbiamo analizzato gli effetti dell’impegno cognitivo sulle decisioni sociali sia a livello comportamentale, registrando i tempi di risposta (RT), sia a livello neurale, attraverso l’analisi degli intervalli temporali di due ERP, N2 e P3, indicatori neurali precoci della motivazione prosociale. Come ci aspettavamo, a livello comportamentale, abbiamo osservato RT più bassi quando i soggetti decidono di impegnarsi in un compito costoso per ottenere benefici per sé o per un estraneo. Inaspettatamente, non abbiamo trovato altri effetti dell’impegno richiesto né sui tempi di risposta né sulla quantità di impegno esercitato per sé o per l’altro. Tuttavia, aggiungendo il genere come variabile, abbiamo osservato che i maschi che accettavano di svolgere compiti costosi per guadagnare risorse per l’latro più frequentemente che per sé stessi. Questa differenza potrebbe però essere dovuta anche al genere del confederato, che era sempre una donna nel nostro esperimento. Future indagini su tutte le possibili combinazioni del genere di partecipante e confederato aiuteranno a capire meglio l’influenza del genere sul social decision-making. Nei dati EEG, invece, abbiamo osservato un effetto dell’impegno richiesto dai compiti. Qui, considerando il genere del partecipante, abbiamo riscontrato differenti modulazioni del segnale EEG negli intervalli temporali di N2 e P3. Per N2, non abbiamo osservato nessun picco di tale componente, probabilmente per via della presenza fisica del confederato, che è stato precedentemente osservato essere in grado di sopprimere tale componente. Tuttavia, alcune differenze significative in questo intervallo temporale sono state osservate, in particolare per i maschi. Per quanto riguarda P3, invece, abbiamo osservato poche modulazioni del segnale in tutte le condizioni. In particolare, abbiamo riscontrato un’inaspettata maggiore ampiezza per le scelte negative per l’altro nella condizione difficile rispetto alle scelte positive. Un futuro ampliamento del campione e miglioramenti del paradigma potranno aiutare a comprendere alcuni risultati controversi riscontrati nei nostri dati a livello comportamentale e neurale.
L’influenza dell’impegno cognitivo sulla preferenza prosociale: uno studio pilota con ERP
VALVO, ALESSANDRO
2021/2022
Abstract
Il comportamento sociale è una parte essenziale della coesistenza umana. Fra i vari comportamenti sociali, la prosocialità è probabilmente il più sorprendente, mostrando come scegliamo spesso comportamenti che privilegiano gli altri rispetto a noi stessi. Per queste ragioni, le tendenze prosociali sono state ampiamente investigate nel corso degli anni. Sono molti i fattori in grado di influenzare il processo di social decision-making presi in considerazione in numerosi studi. Alcuni di essi non hanno però ancora ricevuto sufficiente attenzione e i setting sperimentali tradizionali spesso ignorano tali fattori contestuali cruciali, come l’impegno richiesto per generare benefici per gli altri. Infatti, nella vita quotidiana, ogni scelta prosociale porta con sé un certo livello di impegno richiesto per poter essere messa in atto, sia esso cognitivo, fisico o di altra natura. Qui, abbiamo progettato un paradigma sperimentale per indagare gli effetti di differenti livelli di impegno cognitivo sulla volontà di comportarsi prosocialmente. Abbiamo quantificato l’impegno esercitato misurando il numero di compiti cognitivi di difficoltà bassa o alta che i partecipanti erano disposti a completare per generare risorse per sé o per un’altra persona (il confederato) seduta di fronte a loro. Abbiamo analizzato gli effetti dell’impegno cognitivo sulle decisioni sociali sia a livello comportamentale, registrando i tempi di risposta (RT), sia a livello neurale, attraverso l’analisi degli intervalli temporali di due ERP, N2 e P3, indicatori neurali precoci della motivazione prosociale. Come ci aspettavamo, a livello comportamentale, abbiamo osservato RT più bassi quando i soggetti decidono di impegnarsi in un compito costoso per ottenere benefici per sé o per un estraneo. Inaspettatamente, non abbiamo trovato altri effetti dell’impegno richiesto né sui tempi di risposta né sulla quantità di impegno esercitato per sé o per l’altro. Tuttavia, aggiungendo il genere come variabile, abbiamo osservato che i maschi che accettavano di svolgere compiti costosi per guadagnare risorse per l’latro più frequentemente che per sé stessi. Questa differenza potrebbe però essere dovuta anche al genere del confederato, che era sempre una donna nel nostro esperimento. Future indagini su tutte le possibili combinazioni del genere di partecipante e confederato aiuteranno a capire meglio l’influenza del genere sul social decision-making. Nei dati EEG, invece, abbiamo osservato un effetto dell’impegno richiesto dai compiti. Qui, considerando il genere del partecipante, abbiamo riscontrato differenti modulazioni del segnale EEG negli intervalli temporali di N2 e P3. Per N2, non abbiamo osservato nessun picco di tale componente, probabilmente per via della presenza fisica del confederato, che è stato precedentemente osservato essere in grado di sopprimere tale componente. Tuttavia, alcune differenze significative in questo intervallo temporale sono state osservate, in particolare per i maschi. Per quanto riguarda P3, invece, abbiamo osservato poche modulazioni del segnale in tutte le condizioni. In particolare, abbiamo riscontrato un’inaspettata maggiore ampiezza per le scelte negative per l’altro nella condizione difficile rispetto alle scelte positive. Un futuro ampliamento del campione e miglioramenti del paradigma potranno aiutare a comprendere alcuni risultati controversi riscontrati nei nostri dati a livello comportamentale e neurale.File | Dimensione | Formato | |
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