Nelle pagine successive si procederà all’analisi del delitto previsto dall’articolo 646 cod. pen: il reato di appropriazione indebita. Doverosa ai fini di una completa trattazione è la parentesi storica. Sin dalla più antica forma di legislazione — il codice di Hammurabi — le appropriazioni erano disciplinate nell'alveo della fattispecie furtiva. Una importante novità si ha soltanto diversi secoli più tardi nelle varie legislazioni germaniche. Invero, si iniziò a distinguere tra furtum proprium e furtum improprium, in relazione alla violazione ovvero all’assenza di violazione della altrui sfera possessoria. Si dirà poi della legislazione rivoluzionaria francese e della sua notevole influenza sulla legislazione pre–unitaria nostrana e si giungerà all’ulteriore separazione della fattispecie de qua da altre fattispecie criminose, in particolar modo dalla truffa in virtù della distinzione concernente l’origine del possesso. Da quest’ultima separazione la fattispecie di appropriazione indebita ha raggiunto una figura autonoma di reato attraverso una lenta e faticosa elaborazione. Così come disciplinata dal codice penale odierno, la norma relativa al reato de quo offre diversi e doverosi spunti di ragionamento. Prima tra tutti è la riflessione sul concetto polisemantico e polifunzionale di possesso ai fini penalistici. Dal tentativo di elaborare e definire una nozione penalistica di possesso, secondo le direttive del Nuvolone, deriva una particolare attenzione al rapporto tra la fattispecie de qua e quella furtiva. I due reati presentano diversi elementi di discrimen. Il maggiore degno di nota è sicuramente rappresentato dal binomio «assenza–presenza» di una signoria di fatto sulla res in base ad un pregresso rapporto giuridico con la persona offesa. Ulteriori aspetti differenziali rappresentati a titolo esemplificativo dalla condotta, dall’oggetto giuridico e dal diverso trattamento sanzionatorio permettono di affermare una sostanziale incompatibilità tra le figure de quibus, nonostante la linea potenzialmente labile ed effimera che divide loro. L’analisi dell’elemento oggettivo e l’elemento soggettivo del delitto de quo, secondo la teoria bipartita, metterà alla luce diversi contrasti dottrinali e giurisprudenziali che ancora caratterizzano la struttura della fattispecie, rendendola tutt’altro che pacifica. Ne costituiscono esempio la fissazione del momento consumativo del reato, da cui deriva la discussione circa la configurabilità o meno del tentativo, la condotta c.d. d’uso e la fattispecie del possesso c.d. sprangato. Seguirà una indagine circa il rapporto con altre figure criminose, quali, tra le altre, il peculato, la truffa e la novella infedeltà patrimoniale, di cui all’articolo 2634 cod. civ.. Non mancheranno, infine, parentesi comparatistiche, in particolar modo con l’ordinamento francese, e il suo abus de confiance, e quello spagnolo e la sua dicotomia concernente i reati di apropiación indebita e di administración desleal.
L'appropriazione indebita
BAVA, GIULIA
2020/2021
Abstract
Nelle pagine successive si procederà all’analisi del delitto previsto dall’articolo 646 cod. pen: il reato di appropriazione indebita. Doverosa ai fini di una completa trattazione è la parentesi storica. Sin dalla più antica forma di legislazione — il codice di Hammurabi — le appropriazioni erano disciplinate nell'alveo della fattispecie furtiva. Una importante novità si ha soltanto diversi secoli più tardi nelle varie legislazioni germaniche. Invero, si iniziò a distinguere tra furtum proprium e furtum improprium, in relazione alla violazione ovvero all’assenza di violazione della altrui sfera possessoria. Si dirà poi della legislazione rivoluzionaria francese e della sua notevole influenza sulla legislazione pre–unitaria nostrana e si giungerà all’ulteriore separazione della fattispecie de qua da altre fattispecie criminose, in particolar modo dalla truffa in virtù della distinzione concernente l’origine del possesso. Da quest’ultima separazione la fattispecie di appropriazione indebita ha raggiunto una figura autonoma di reato attraverso una lenta e faticosa elaborazione. Così come disciplinata dal codice penale odierno, la norma relativa al reato de quo offre diversi e doverosi spunti di ragionamento. Prima tra tutti è la riflessione sul concetto polisemantico e polifunzionale di possesso ai fini penalistici. Dal tentativo di elaborare e definire una nozione penalistica di possesso, secondo le direttive del Nuvolone, deriva una particolare attenzione al rapporto tra la fattispecie de qua e quella furtiva. I due reati presentano diversi elementi di discrimen. Il maggiore degno di nota è sicuramente rappresentato dal binomio «assenza–presenza» di una signoria di fatto sulla res in base ad un pregresso rapporto giuridico con la persona offesa. Ulteriori aspetti differenziali rappresentati a titolo esemplificativo dalla condotta, dall’oggetto giuridico e dal diverso trattamento sanzionatorio permettono di affermare una sostanziale incompatibilità tra le figure de quibus, nonostante la linea potenzialmente labile ed effimera che divide loro. L’analisi dell’elemento oggettivo e l’elemento soggettivo del delitto de quo, secondo la teoria bipartita, metterà alla luce diversi contrasti dottrinali e giurisprudenziali che ancora caratterizzano la struttura della fattispecie, rendendola tutt’altro che pacifica. Ne costituiscono esempio la fissazione del momento consumativo del reato, da cui deriva la discussione circa la configurabilità o meno del tentativo, la condotta c.d. d’uso e la fattispecie del possesso c.d. sprangato. Seguirà una indagine circa il rapporto con altre figure criminose, quali, tra le altre, il peculato, la truffa e la novella infedeltà patrimoniale, di cui all’articolo 2634 cod. civ.. Non mancheranno, infine, parentesi comparatistiche, in particolar modo con l’ordinamento francese, e il suo abus de confiance, e quello spagnolo e la sua dicotomia concernente i reati di apropiación indebita e di administración desleal.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/81143