2+2=5: fake news o alternative fact?

In 2017 Kellyanne Conway, the Senior Couselor to the President of the United States Donald Trump, the day after the inauguration of the latter, pursued by a journalist for some erroneous information provided by the press secretary of the White House, replies that they are not fake news, but alternative facts. When those words are pronounced, the name of a writer and one of his works, almost seventy years old, comes back dangerously in vogue. This is 1984, the dystopian novel written by George Orwell. The work indicated some procedures that had to do with the possible truth and, to make it possible, the Big Brother, that is the eye of the Party, started from language. So here is the point of the discussion: by controlling language it is possible to control thought. As human beings, the reasoning we are driven to do about things arises from the fact that we know a way to name them. From the moment language is twisted and manipulated, words stop having a given meaning that allows us to associate it with a thought and so, if there is no way to say something, there is no way to think about it. This is the modus operandi that many governments have adopted throughout their history, transforming torture into an alternative way of conducting investigations or genocides in ethnic cleansing and almost overcoming the fantasy of a book the Orwellian mottos in which slavery becomes work and the lies, as stated by Kellyanne Conwell, alternative truth. If these intentions hit the mark, then is it possible that 2 + 2 could make 5? This is the main question of the dissertation. Through the analysis of sociological and linguistic documents concerning both the historical context, with consequent public opinion, and the studies of authors and intellectuals on the theme of fake news and information, focusing above all on this century and the last one, it has been possible to have a general picture of the ways and means used to disseminate useful information not so much for those who benefit from it, as for those who convey it, with a careful eye on the active role of politics in all this. Finally, to arrive at evaluating which tools are available to those who have to analyze information and news with an interface, being first of all able to recognize the different types of disease that surround it and subsequent two possible concrete responses to these phenomena, bearing in mind the fundamental context of the network, which is currently impossible to ignore. In conclusion, although the question from which all the research arises is more like a provocation than a question in the strict sense, from the analysis of the results that we intend to present, it will be clear that, with the will to pursuit the truth through study, information and adherence to facts, 2 + 2 = 5 will never be an alternative interpretation of the facts, but only a false reinterpretation of the truth.

Nel 2017 Kellyanne Conway, la consigliera del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il giorno dopo l’insediamento di quest’ultimo, incalzata da un giornalista per alcune informazioni erronee fornite dal segretario stampa della Casa Bianca, risponde che quelle non sono fake news, ma fatti alternativi. Alla pronuncia di quelle parole, il nome di uno scrittore e di una sua opera, vecchia di quasi settant’anni, torna pericolosamente in auge. Si tratta di 1984, il romanzo distopico scritto da George Orwell. Nell’opera, l’autore indicava alcuni procedimenti che avevano a che fare con la manipolazione della verità e, perché ciò fosse possibile, il Grande Fratello, ossia l’occhio del Partito, partiva dal linguaggio. Ecco quindi il punto della discussione: controllando il linguaggio è possibile controllare il pensiero. In quanto esseri umani, i ragionamenti che siamo spinti a fare sulle cose nascono dal fatto che noi conosciamo un modo per nominarle. Dal momento in cui il linguaggio viene stravolto e manipolato, le parole smettono di avere un dato significato che ci permette di associarlo con un pensiero e così, se non esiste il modo per dire qualcosa, non esiste neppure un modo per pensarlo. Questo è il modus operandi che molti governi hanno adottato nel corso della propria storia, trasformando la tortura in un alternativo modo di condurre le indagini o i genocidi in pulizie etniche e quasi risultano superare la fantasia di un libro i motti orwelliani in cui la schiavitù diventa lavoro e le bugie, come dichiarato da Kellyanne Conwell, verità alternative. Se questi propositi colpiscono nel segno, allora è possibile che 2+2 possa fare 5? Questa è la domanda portante della dissertazione. Attraverso l’analisi di documenti sociologici e linguistici riguardanti sia il contesto storico, con conseguente risposta dell’opinione pubblica, sia gli studi di autori e intellettuali riguardo al tema delle fake news e dell’informazione, concentrandosi soprattutto su questo secolo e quello scorso, è stato possibile tracciare un quadro generale sui modi e i mezzi utilizzati per diffondere notizie utili non tanto per chi ne fruisce, quanto per chi le veicola, con un occhio attento sul ruolo attivo della politica in tutto ciò. Per arrivare, infine, a valutare quali siano gli strumenti a disposizione di chi deve analizzare le informazioni e le notizie con cui si interfaccia, essendo in primis in grado di riconoscere i diversi tipi di cattiva informazione che lo circondano e successivamente due possibili risposte concrete a questi fenomeni, tenendo presente il contesto fondamentale della rete, ad oggi impossibile da ignorare. In conclusione, nonostante la domanda da cui scaturisce tutta la ricerca sia da intendersi più come una provocazione che un quesito in senso stretto, dall’analisi dei dati e dagli strumenti presentati, apparirà evidente che, con la volontà di perseguire il vero attraverso lo studio, l’informazione e l’aderenza ai fatti, 2+2=5 non potrà mai essere una un’interpretazione alternativa dei fatti, ma solo una reinterpretazione falsa della verità.