Le regioni montuose sono habitat fortemente stagionali, caratterizzati da una complessa topografia che comporta cambiamenti bruschi su distanze brevi dei principali parametri climatici. I particolari tratti topografici tendono ad amplificare alcune caratteristiche climatiche: è stato osservato che il cambiamento climatico nelle Alpi è più marcato che su scala globale o emisferica; risulta superare i valori medi di circa 1,5°C. In tal senso risulta importante studiare quanto il cambiamento climatico impatti sulle località d’alta quota e come influenzi la biologia e la dinamica di popolazione delle specie alpine. L’aumento delle temperature comporta primavere ed estati anticipate. Ciò impatta inevitabilmente sulle popolazioni dei ruminanti alpini, per cui è stato dimostrato che la disponibilità di risorse alimentari nel periodo estivo, per sostenere l’allattamento e lo svezzamento, gioca un ruolo fondamentale. Adattamenti comportamentali, alle nuove condizioni climatiche, sono stati evidenziati per le popolazioni di camoscio (Rupicapra rupicapra), che hanno reagito riducendo il tempo di foraggiamento ed aumentando sia la velocità dei morsi che quella dei passi quando foraggiavano in aree meno produttive a quote più alte. Al contrario, lo stambecco (Capra ibex) ha risposto al cambiamento spostando le sue aree di foraggiamento verso l’alto, in zone con risorse alimentari di qualità inferiore e, secondariamente, riducendo l’attività complessiva. Tali dati mettono in evidenza la presenza di un trade-off tra termoregolazione e foraggiamento. Nelle popolazioni di cervo (Cervus elaphus) è stato invece ipotizzato che lo stress da calore possa avere effetti sul tasso di crescita dei vitelli. Tale effetto sembra esser dovuto alle condizioni climatiche sperimentate dal vitello durante l’allattamento. Per il capriolo (Capreolus capreolus) il cambiamento climatico ha avuto effetti sulla distribuzione della specie e sul timing dei parti. In seguito ad inverni più miti le zone con copertura nevosa abbondante e persistente, maggior fattor limitante per la specie, si sono ridotte; quindi, gli animali hanno potuto espandere i propri areali oltre il loro limite altitudinale. Le primavere anticipate hanno indotto la specie ad anticipare il periodo delle fecondazioni e dei parti per avere una maggiore sincronizzazione tra la nascita dei capretti e la disponibilità di risorse. Lo scenario più estremo calcolato per la regione delle Alpi indica un aumento della temperatura di 5°C entro il 2100. Il cambiamento climatico determinerà risposte diverse nelle popolazioni in relazione alle loro specifiche esigenze ecologiche; ma la mancanza di sincronizzazione tra il momento di massima disponibilità delle risorse e il picco delle nascite potrebbe avere conseguenze sulla fitness individuale e di popolazione.

Ruminanti selvatici e cambiamento climatico

MOIS, SARA
2020/2021

Abstract

Le regioni montuose sono habitat fortemente stagionali, caratterizzati da una complessa topografia che comporta cambiamenti bruschi su distanze brevi dei principali parametri climatici. I particolari tratti topografici tendono ad amplificare alcune caratteristiche climatiche: è stato osservato che il cambiamento climatico nelle Alpi è più marcato che su scala globale o emisferica; risulta superare i valori medi di circa 1,5°C. In tal senso risulta importante studiare quanto il cambiamento climatico impatti sulle località d’alta quota e come influenzi la biologia e la dinamica di popolazione delle specie alpine. L’aumento delle temperature comporta primavere ed estati anticipate. Ciò impatta inevitabilmente sulle popolazioni dei ruminanti alpini, per cui è stato dimostrato che la disponibilità di risorse alimentari nel periodo estivo, per sostenere l’allattamento e lo svezzamento, gioca un ruolo fondamentale. Adattamenti comportamentali, alle nuove condizioni climatiche, sono stati evidenziati per le popolazioni di camoscio (Rupicapra rupicapra), che hanno reagito riducendo il tempo di foraggiamento ed aumentando sia la velocità dei morsi che quella dei passi quando foraggiavano in aree meno produttive a quote più alte. Al contrario, lo stambecco (Capra ibex) ha risposto al cambiamento spostando le sue aree di foraggiamento verso l’alto, in zone con risorse alimentari di qualità inferiore e, secondariamente, riducendo l’attività complessiva. Tali dati mettono in evidenza la presenza di un trade-off tra termoregolazione e foraggiamento. Nelle popolazioni di cervo (Cervus elaphus) è stato invece ipotizzato che lo stress da calore possa avere effetti sul tasso di crescita dei vitelli. Tale effetto sembra esser dovuto alle condizioni climatiche sperimentate dal vitello durante l’allattamento. Per il capriolo (Capreolus capreolus) il cambiamento climatico ha avuto effetti sulla distribuzione della specie e sul timing dei parti. In seguito ad inverni più miti le zone con copertura nevosa abbondante e persistente, maggior fattor limitante per la specie, si sono ridotte; quindi, gli animali hanno potuto espandere i propri areali oltre il loro limite altitudinale. Le primavere anticipate hanno indotto la specie ad anticipare il periodo delle fecondazioni e dei parti per avere una maggiore sincronizzazione tra la nascita dei capretti e la disponibilità di risorse. Lo scenario più estremo calcolato per la regione delle Alpi indica un aumento della temperatura di 5°C entro il 2100. Il cambiamento climatico determinerà risposte diverse nelle popolazioni in relazione alle loro specifiche esigenze ecologiche; ma la mancanza di sincronizzazione tra il momento di massima disponibilità delle risorse e il picco delle nascite potrebbe avere conseguenze sulla fitness individuale e di popolazione.
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