Il presente lavoro intende muovere le proprie considerazioni dalla fondamentale opera di decostruzione delle epistemologie dominanti di epoca moderna inaugurata dalla corrente degli studi postcoloniali. Dopo una breve ricognizione dei cardini del pensiero postcoloniale, anche da una prospettiva strettamente pedagogica, la trattazione prosegue con l'introduzione del concetto di decolonialità come possibile argine alla deriva iperintellettualistica che il postcolonialismo ha dimostrato per vari aspetti di subire. Attraverso le parole soprattutto di Rachele Borghi e bell hooks (ma passando per l'analisi del linguaggio straight di Monique Wittig, e il riferimento ad alcune istanze proposte da Paulo Freire nel suo pedagogia do oprimido), viene proposta una visione del margine (in quanto territorio occupato da chi, per varie ragioni, subisce lo stigma dell'alterità) come spazio di sperimentabilità radicale che, tra l'altro, si inscrive spontaneamente in un orizzonte di pratica formativa. Nell'ultimo capitolo, per riflettere su quali possano effettivamente essere considerate tattiche di marginalità 'situate' soprattutto in ambito (contro)culturale, viene introdotta l'idea di Atlantico nero per come sviluppata da Paul Gilroy nell'opera omonima, e muovendo dal concetto di blackness come elemento cruciale su cui basare una ricostruzione del soggetto contemporaneo, si giunge all'introduzione del duo electro di Detroit Drexciya (e più in generale di quello che Kodwo Eshun chiama futurismo sonico) come vera e propria macchina del ritmo capace, tramite l'uso della fredda tecnologia, di costruire mondi paralleli da cui, sulla falsa riga della guerra sonica di cui Steve Goodman, opporre una critica 'pratica' alle strutture di dominio.

Educarsi al margine. Contro-pratiche di (dis)torsione (de)formativa

VALFRE', ANDREA
2020/2021

Abstract

Il presente lavoro intende muovere le proprie considerazioni dalla fondamentale opera di decostruzione delle epistemologie dominanti di epoca moderna inaugurata dalla corrente degli studi postcoloniali. Dopo una breve ricognizione dei cardini del pensiero postcoloniale, anche da una prospettiva strettamente pedagogica, la trattazione prosegue con l'introduzione del concetto di decolonialità come possibile argine alla deriva iperintellettualistica che il postcolonialismo ha dimostrato per vari aspetti di subire. Attraverso le parole soprattutto di Rachele Borghi e bell hooks (ma passando per l'analisi del linguaggio straight di Monique Wittig, e il riferimento ad alcune istanze proposte da Paulo Freire nel suo pedagogia do oprimido), viene proposta una visione del margine (in quanto territorio occupato da chi, per varie ragioni, subisce lo stigma dell'alterità) come spazio di sperimentabilità radicale che, tra l'altro, si inscrive spontaneamente in un orizzonte di pratica formativa. Nell'ultimo capitolo, per riflettere su quali possano effettivamente essere considerate tattiche di marginalità 'situate' soprattutto in ambito (contro)culturale, viene introdotta l'idea di Atlantico nero per come sviluppata da Paul Gilroy nell'opera omonima, e muovendo dal concetto di blackness come elemento cruciale su cui basare una ricostruzione del soggetto contemporaneo, si giunge all'introduzione del duo electro di Detroit Drexciya (e più in generale di quello che Kodwo Eshun chiama futurismo sonico) come vera e propria macchina del ritmo capace, tramite l'uso della fredda tecnologia, di costruire mondi paralleli da cui, sulla falsa riga della guerra sonica di cui Steve Goodman, opporre una critica 'pratica' alle strutture di dominio.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/80046