The work presented in this document covers gender language with the purpose to bring additional contributions to recent studies that show the importance of the topic. The work starts with the distinction between “gender” and “sex” not only to highlight the biological component but also the social and cultural female and male identity. The study revolves around studying when a man and a woman speak and even after years of women achieving more indipendence still many male terms are present in media, public administration and in every day language. In order to help improve the current situation, the work presented here deeply analyzes some common terms like the asterisk at the end of words as well as the “schwa”. Nevertheless, I have also reflected on the practice of marking female surnames with the definite article, or outlining a female professional figure with a masculine noun, which the Public Administration or the European Parliament have been avoiding since 2008 but which, however, scholars such as Lepschy have always considered superfluous in the face of the enormous achievements that women have obtained and that it will certainly not be the language to discredit. Given all the findings presented here there is a need for social and cultural changes that can start with simple guidelines to provoke some deep thinking in order to continue with a more sex neutral language that can help bring more equality between men and women.
Ho deciso di analizzare e trattare la questione del sessismo linguistico con il proposito di offrire un ulteriore contributo agli studi di genere che stanno trovando, nella nostra contemporaneità, la loro massima espressione. Sono partita dall’imprescindibile distinzione fra i vocaboli ‘genere’ e ‘sesso’ per valorizzare non solo la componente biologica ma soprattutto costruzione socio-culturale di una precisa identità individuale maschile o femminile. Ho cercato di comprendere come la lingua muti quando parla un uomo o una donna e ho riscontrato come, a fronte di anni di emancipazione femminile, resistano impercettibili venature maschiliste nella lingua italiana, presenti nei media, nelle amministrazioni pubbliche e nei repertori linguistici quotidiani dei parlanti. Al fine di ovviare al maschile marcato, dunque, ho analizzato alcuni espedienti grafici come l’asterisco in finale di parola e lo schwa. Nondimeno, ho riflettuto anche sulla pratica di marcare i cognomi femminili con l’articolo determinativo, oppure delineare una figura professionale femminile con un sostantivo maschile, che La Pubblica Amministrazione o il Parlamento Europeo evitano già dal 2008 ma che, tuttavia, studiosi come Lepschy hanno da sempre ritenuto superfluo a fronte delle enormi conquiste che le donne hanno ottenuto e che non sarà certamente la lingua a screditare. A fronte di tale cornice descrittiva, ho concluso che, non essendo possibile calare delle regole dall’alto senza un pregresso radicale cambiamento socio-culturale, sia utile iniziare con delle semplici linee guida che possano fornire spunti di riflessione vivaci ed attuali per un impiego sempre meno sessista della lingua.
Lingua e sessismo: alcune prospettive sugli stereotipi del linguaggio di genere
MANAVELLA, MICHELA
2020/2021
Abstract
Ho deciso di analizzare e trattare la questione del sessismo linguistico con il proposito di offrire un ulteriore contributo agli studi di genere che stanno trovando, nella nostra contemporaneità, la loro massima espressione. Sono partita dall’imprescindibile distinzione fra i vocaboli ‘genere’ e ‘sesso’ per valorizzare non solo la componente biologica ma soprattutto costruzione socio-culturale di una precisa identità individuale maschile o femminile. Ho cercato di comprendere come la lingua muti quando parla un uomo o una donna e ho riscontrato come, a fronte di anni di emancipazione femminile, resistano impercettibili venature maschiliste nella lingua italiana, presenti nei media, nelle amministrazioni pubbliche e nei repertori linguistici quotidiani dei parlanti. Al fine di ovviare al maschile marcato, dunque, ho analizzato alcuni espedienti grafici come l’asterisco in finale di parola e lo schwa. Nondimeno, ho riflettuto anche sulla pratica di marcare i cognomi femminili con l’articolo determinativo, oppure delineare una figura professionale femminile con un sostantivo maschile, che La Pubblica Amministrazione o il Parlamento Europeo evitano già dal 2008 ma che, tuttavia, studiosi come Lepschy hanno da sempre ritenuto superfluo a fronte delle enormi conquiste che le donne hanno ottenuto e che non sarà certamente la lingua a screditare. A fronte di tale cornice descrittiva, ho concluso che, non essendo possibile calare delle regole dall’alto senza un pregresso radicale cambiamento socio-culturale, sia utile iniziare con delle semplici linee guida che possano fornire spunti di riflessione vivaci ed attuali per un impiego sempre meno sessista della lingua.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/79943