Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una profonda trasformazione nella società con un’intensificazione del protagonismo dei governi centrali in relazione alle dinamiche di attuazione dei processi decisionali e alla concreta implementazione delle politiche pubbliche. L’affermarsi “di un modello di democrazia immediata e centralizzata” ha stimolato un crescente processo di disintermediazione politica che ha reso particolarmente insicuro l’esercizio delle libertà e la tutela dei diritti costituzionali. Come è però solito verificarsi nei periodi più critici, la convergenza tra esigenze ideali e necessità pratiche determina una forte volontà di cambiamento politico. Questo è quanto accaduto anche in Italia dove la natura totalizzante dell’emergenza legata alla diffusione della pandemia da Coronavirus ha avuto una profonda ripercussione sul già precario equilibrio tra i diversi livelli istituzionali, riportando nuovamente alla luce molteplici problematiche di carattere strutturale. Tra queste, la questione del rapporto dialettico tra governo centrale e autonomie regionali si è andata progressivamente caratterizzando come una condizione di assoluta incertezza ed è stata prima facie indicata come una tra le cause scatenanti del rallentamento della risposta alla crisi pandemica. Tornare però a discutere nuovamente del tema del regionalismo, dell’effettiva sussistenza di presupposti che ne giustifichino l’attuale e sofferta esistenza e finanche di prospettive condivise per l’immediato futuro potrebbe apparire come un esercizio meramente formale e accademico. Tuttavia, i numerosi interrogativi emersi a fronte dell’emergenza sanitaria in atto, sembrano ancora una volta spingere nella direzione di un inevitabile ripensamento delle relazioni intercorrenti tra Stato e Regioni, innescando però nuovi paradigmi e modelli di sviluppo che siano effettivamente in grado di superare le disfunzioni del sistema vigente e appaiano funzionali ad affrontare le sfide che il futuro ci pone davanti. Soltanto attraverso la valorizzazione dell’autonomia territoriale, all’interno della cornice della differenziazione regionale, e allo stesso tempo con il consolidamento degli strumenti della cooperazione interistituzionale e la partecipazione delle Regioni ai circuiti decisionali centrali si possono implementare le condizioni utili a promuovere processi di condivisione armonica che garantiscano una tenuta unitaria in un ordinamento caratterizzato costituzionalmente dal pluralismo territoriale. Tuttavia, al fine di rifuggire l’ipotesi di un eventuale tentativo di delineare un’autonomia rinnovata e teoricamente necessaria, ma “praticamente irrealizzabile per difetto di condizioni culturali e politico-istituzionale richieste per la sua affermazione”, occorre prendere atto della necessità di rilanciare lo strumento della sussidiarietà quale passaggio “necessario per consolidare l’assetto delle risorse democratiche a disposizione dell’ordinamento repubblicano”.A tal proposito, il principio di sussidiarietà, in virtù della sua potenzialità di ricollegarsi alla questione della sovranità popolare, sembra essere idoneo ad aprire spazi notevoli per la libertà d’azione delle varie forze del paese, permettendo, specie a quelle ‘subordinate’, di gestire direttamente i propri interessi e dare vita ad equilibri e a complessi istituzionali più ‘razionali e funzionanti’, nella prospettiva di realizzare il progetto costituzionale di un’uguaglianza sostanziale.

Il futuro del regionalismo italiano tra sussidiarietà e differenziazione

FERRARO, FRANCESCO
2020/2021

Abstract

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una profonda trasformazione nella società con un’intensificazione del protagonismo dei governi centrali in relazione alle dinamiche di attuazione dei processi decisionali e alla concreta implementazione delle politiche pubbliche. L’affermarsi “di un modello di democrazia immediata e centralizzata” ha stimolato un crescente processo di disintermediazione politica che ha reso particolarmente insicuro l’esercizio delle libertà e la tutela dei diritti costituzionali. Come è però solito verificarsi nei periodi più critici, la convergenza tra esigenze ideali e necessità pratiche determina una forte volontà di cambiamento politico. Questo è quanto accaduto anche in Italia dove la natura totalizzante dell’emergenza legata alla diffusione della pandemia da Coronavirus ha avuto una profonda ripercussione sul già precario equilibrio tra i diversi livelli istituzionali, riportando nuovamente alla luce molteplici problematiche di carattere strutturale. Tra queste, la questione del rapporto dialettico tra governo centrale e autonomie regionali si è andata progressivamente caratterizzando come una condizione di assoluta incertezza ed è stata prima facie indicata come una tra le cause scatenanti del rallentamento della risposta alla crisi pandemica. Tornare però a discutere nuovamente del tema del regionalismo, dell’effettiva sussistenza di presupposti che ne giustifichino l’attuale e sofferta esistenza e finanche di prospettive condivise per l’immediato futuro potrebbe apparire come un esercizio meramente formale e accademico. Tuttavia, i numerosi interrogativi emersi a fronte dell’emergenza sanitaria in atto, sembrano ancora una volta spingere nella direzione di un inevitabile ripensamento delle relazioni intercorrenti tra Stato e Regioni, innescando però nuovi paradigmi e modelli di sviluppo che siano effettivamente in grado di superare le disfunzioni del sistema vigente e appaiano funzionali ad affrontare le sfide che il futuro ci pone davanti. Soltanto attraverso la valorizzazione dell’autonomia territoriale, all’interno della cornice della differenziazione regionale, e allo stesso tempo con il consolidamento degli strumenti della cooperazione interistituzionale e la partecipazione delle Regioni ai circuiti decisionali centrali si possono implementare le condizioni utili a promuovere processi di condivisione armonica che garantiscano una tenuta unitaria in un ordinamento caratterizzato costituzionalmente dal pluralismo territoriale. Tuttavia, al fine di rifuggire l’ipotesi di un eventuale tentativo di delineare un’autonomia rinnovata e teoricamente necessaria, ma “praticamente irrealizzabile per difetto di condizioni culturali e politico-istituzionale richieste per la sua affermazione”, occorre prendere atto della necessità di rilanciare lo strumento della sussidiarietà quale passaggio “necessario per consolidare l’assetto delle risorse democratiche a disposizione dell’ordinamento repubblicano”.A tal proposito, il principio di sussidiarietà, in virtù della sua potenzialità di ricollegarsi alla questione della sovranità popolare, sembra essere idoneo ad aprire spazi notevoli per la libertà d’azione delle varie forze del paese, permettendo, specie a quelle ‘subordinate’, di gestire direttamente i propri interessi e dare vita ad equilibri e a complessi istituzionali più ‘razionali e funzionanti’, nella prospettiva di realizzare il progetto costituzionale di un’uguaglianza sostanziale.
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