Le acque reflue di cantina sono acque utilizzate per i lavaggi di attrezzature, impianti e locali aziendali nel corso del processo di vinificazione. La loro composizione comprende solidi sospesi, sodio, potassio, magnesio, azoto e fosforo oltre ad altri composti quali acidi organici, zuccheri, residui di disinfettanti, tensioattivi, eccetera. La produzione di acque di cantina è fortemente stagionale e legata alla fase del processo produttivo: i principali picchi si verificano infatti durante la vendemmia, l’imbottigliamento ed i travasi. Di conseguenza, le acque reflue sono caratterizzate da un’elevata variabilità stagionale in termini sia quantitativi, sia qualitativi. Il loro destino finale (scarico in fognatura o in corsi d’acqua superficiali, distribuzione in campo, ...) è legato al rispetto dei limiti imposti dal D.Lgs. 152/06. Con l’obbiettivo di ridurne il carico inquinante, le acque di cantina possono essere sottoposte a trattamenti depurativi che possono prevedere, ad esempio, l’impiego di impianti a fanghi attivi, a biomassa adesa, a filtrazione su membrana, eccetera. Tra le opzioni disponibili, il trattamento in costructed wetlands – comunemente conosciute come impianti di fitodepurazione - sfrutta l’azione combinata di piante acquatiche (macrofite) e microrganismi in grado di ridurne il carico inquinante. A prescindere dalla tipologia costruttiva dell’impianto (a flusso sommerso, a flusso superficiale), quest’ultimo sfrutta la capacità delle macrofite di trasportare ossigeno atmosferico fino alla rizosfera dove agiscono microrganismi aerobi. Le radici delle piante hanno poi il compito di assorbire, in parte o totalmente, i composti derivanti dai processi degradativi operati dalla microflora con un conseguente abbattimento della concentrazione dei composti inquinanti presenti nelle acque trattate. Nell’ambito della presente relazione sono stati esaminati tre casi di studio. I primi due, relativi a due sperimentazioni svolte su impianti di fitodepurazione in Sudafrica, hanno evidenziato che il tempo di permanenza dell’acqua reflua all’interno delle constructed wetlands ha un impatto molto contenuto sull’efficienza del trattamento e che le macrofite più idonee per il trattamento delle acque reflue di cantina sono Phragmites australis, Junus acutus e Typha laitofolia. Il terzo caso studio, condotto in un’azienda vitivinicola ubicata in provincia di Siracusa, ha messo in evidenza che nella quasi totalità dei casi la fitodepurazione è in grado di portare i parametri delle acque reflue di cantina entro i limiti imposti dal D.Lgs. 152/2006 e dal D.M 185/2003. Oltre alla buona capacità depurativa, le constructed wetlands hanno alcuni vantaggi quali i costi d’investimento ridotti ed una richiesta energetica quasi nulla per il loro funzionamento. Inoltre, non richiedono l’impiego di prodotti chimici di sintesi, rendendo di fatto il processo completamente naturale. Per contro, una delle principali criticità, che ne rendono difficile la diffusione, è costituita dalla necessità di ampie superfici per la loro costruzione. Una possibile soluzione a questo problema potrebbe essere, in prospettiva, il ricorso alla selezione genetica finalizzata ad individuare macrofite sempre più efficienti in termini di resistenza ai climi rigidi, a suoli sbilanciati, a funghi e microrganismi patogeni, ma soprattutto con capacità depurative migliori, così da poter ridurre le dimensioni degli impianti.

Utilizzo delle constructed wetlands per il trattamento di acque reflue di cantina

PAOLETTI, LUCA
2020/2021

Abstract

Le acque reflue di cantina sono acque utilizzate per i lavaggi di attrezzature, impianti e locali aziendali nel corso del processo di vinificazione. La loro composizione comprende solidi sospesi, sodio, potassio, magnesio, azoto e fosforo oltre ad altri composti quali acidi organici, zuccheri, residui di disinfettanti, tensioattivi, eccetera. La produzione di acque di cantina è fortemente stagionale e legata alla fase del processo produttivo: i principali picchi si verificano infatti durante la vendemmia, l’imbottigliamento ed i travasi. Di conseguenza, le acque reflue sono caratterizzate da un’elevata variabilità stagionale in termini sia quantitativi, sia qualitativi. Il loro destino finale (scarico in fognatura o in corsi d’acqua superficiali, distribuzione in campo, ...) è legato al rispetto dei limiti imposti dal D.Lgs. 152/06. Con l’obbiettivo di ridurne il carico inquinante, le acque di cantina possono essere sottoposte a trattamenti depurativi che possono prevedere, ad esempio, l’impiego di impianti a fanghi attivi, a biomassa adesa, a filtrazione su membrana, eccetera. Tra le opzioni disponibili, il trattamento in costructed wetlands – comunemente conosciute come impianti di fitodepurazione - sfrutta l’azione combinata di piante acquatiche (macrofite) e microrganismi in grado di ridurne il carico inquinante. A prescindere dalla tipologia costruttiva dell’impianto (a flusso sommerso, a flusso superficiale), quest’ultimo sfrutta la capacità delle macrofite di trasportare ossigeno atmosferico fino alla rizosfera dove agiscono microrganismi aerobi. Le radici delle piante hanno poi il compito di assorbire, in parte o totalmente, i composti derivanti dai processi degradativi operati dalla microflora con un conseguente abbattimento della concentrazione dei composti inquinanti presenti nelle acque trattate. Nell’ambito della presente relazione sono stati esaminati tre casi di studio. I primi due, relativi a due sperimentazioni svolte su impianti di fitodepurazione in Sudafrica, hanno evidenziato che il tempo di permanenza dell’acqua reflua all’interno delle constructed wetlands ha un impatto molto contenuto sull’efficienza del trattamento e che le macrofite più idonee per il trattamento delle acque reflue di cantina sono Phragmites australis, Junus acutus e Typha laitofolia. Il terzo caso studio, condotto in un’azienda vitivinicola ubicata in provincia di Siracusa, ha messo in evidenza che nella quasi totalità dei casi la fitodepurazione è in grado di portare i parametri delle acque reflue di cantina entro i limiti imposti dal D.Lgs. 152/2006 e dal D.M 185/2003. Oltre alla buona capacità depurativa, le constructed wetlands hanno alcuni vantaggi quali i costi d’investimento ridotti ed una richiesta energetica quasi nulla per il loro funzionamento. Inoltre, non richiedono l’impiego di prodotti chimici di sintesi, rendendo di fatto il processo completamente naturale. Per contro, una delle principali criticità, che ne rendono difficile la diffusione, è costituita dalla necessità di ampie superfici per la loro costruzione. Una possibile soluzione a questo problema potrebbe essere, in prospettiva, il ricorso alla selezione genetica finalizzata ad individuare macrofite sempre più efficienti in termini di resistenza ai climi rigidi, a suoli sbilanciati, a funghi e microrganismi patogeni, ma soprattutto con capacità depurative migliori, così da poter ridurre le dimensioni degli impianti.
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