La cartografia produce rappresentazioni dello spazio terrestre, la cui natura, tuttavia, non è mai neutrale. Ogni volta che si decide, per motivi politici, economici, scientifici o commerciali, di raffigurare la realtà su un supporto materiale, vari fattori concorrono a rendere tale rappresentazione parziale e soggettiva. Alcuni, legati all’ignoranza di chi la produce, altri, soggetti alle ontologie di chi la redige e ai valori e alle funzioni che attribuisce a quello spazio, altri ancora, sottesi a manipolarla. La cartografia critica, associando sapere cartografico e potere, mira a spostare l’attenzione dallo studio della carta alle relazioni di potere e alle ideologie che si celano, più o meno evidentemente, dietro la sua redazione (Harley, 1989). I primi studi critici, sviluppati dagli anni ’80 in poi, analizzavano l’ontologia di una mappa, ossia il suo essere in quanto tale (Casti, 2013); più recentemente, alcuni studiosi hanno iniziato ad identificare una natura ontogenetica delle carte, vale a dire il loro trasformarsi nel tempo (Dodge et al., 2007). Quest’ultima teoria permette di includere, nella cartografia, pratiche spaziali quali la contro-mappatura e la mappatura partecipativa, strumenti che promuovono il cambiamento nell'appropriazione, nella produzione e nell'uso delle mappe (Herlihy, 2003). Nella nuova prospettiva, le carte possono essere utilizzate come forma di resistenza e affrancamento dalle rappresentazioni cartografiche ufficiali (Peluso, 1995), sfruttando metodi partecipativi che valorizzino le conoscenze e le ontologie locali (Correia, 2007). Con questa ricerca, mi propongo dapprima di indagare le prospettive critiche della cartografia, per dimostrare come il potere o un’ideologia influenzino una mappa e possano legittimare uno status quo, facendolo apparire neutrale, o naturale; successivamente, introdotte le pratiche della contro-mappatura e della mappatura partecipativa, di comprendere se, oltre a strumenti di attivismo e resistenza, esse possano produrre cambiamenti politici concreti, favorevoli alla reclamazione di terre e alla loro gestione da parte dei soggetti interessati. Per verificarlo, introdurrò il caso studio scelto, ossia la mappatura partecipativa nelle comunità indigene che abitano le foreste dello Stato di Acre, in Brasile. Indagherò l’origine dell’iniziativa, la metodologia applicata, il coinvolgimento e le percezioni dei partecipanti, le relazioni con il potere amministrativo, gli effetti positivi ottenuti e le criticità riscontrate. Infine, per rispondere alla domanda di ricerca che guida questa tesi, valuterò gli effetti che le contro-mappe indigene hanno sortito sul piano politico: hanno aiutato le popolazioni indigene a rivendicare la gestione dei territori?
Cartografia critica e contro-mappatura Mappatura partecipativa nelle comunità indigene di Acre, Brasile
PIRANI, EDOARDO
2020/2021
Abstract
La cartografia produce rappresentazioni dello spazio terrestre, la cui natura, tuttavia, non è mai neutrale. Ogni volta che si decide, per motivi politici, economici, scientifici o commerciali, di raffigurare la realtà su un supporto materiale, vari fattori concorrono a rendere tale rappresentazione parziale e soggettiva. Alcuni, legati all’ignoranza di chi la produce, altri, soggetti alle ontologie di chi la redige e ai valori e alle funzioni che attribuisce a quello spazio, altri ancora, sottesi a manipolarla. La cartografia critica, associando sapere cartografico e potere, mira a spostare l’attenzione dallo studio della carta alle relazioni di potere e alle ideologie che si celano, più o meno evidentemente, dietro la sua redazione (Harley, 1989). I primi studi critici, sviluppati dagli anni ’80 in poi, analizzavano l’ontologia di una mappa, ossia il suo essere in quanto tale (Casti, 2013); più recentemente, alcuni studiosi hanno iniziato ad identificare una natura ontogenetica delle carte, vale a dire il loro trasformarsi nel tempo (Dodge et al., 2007). Quest’ultima teoria permette di includere, nella cartografia, pratiche spaziali quali la contro-mappatura e la mappatura partecipativa, strumenti che promuovono il cambiamento nell'appropriazione, nella produzione e nell'uso delle mappe (Herlihy, 2003). Nella nuova prospettiva, le carte possono essere utilizzate come forma di resistenza e affrancamento dalle rappresentazioni cartografiche ufficiali (Peluso, 1995), sfruttando metodi partecipativi che valorizzino le conoscenze e le ontologie locali (Correia, 2007). Con questa ricerca, mi propongo dapprima di indagare le prospettive critiche della cartografia, per dimostrare come il potere o un’ideologia influenzino una mappa e possano legittimare uno status quo, facendolo apparire neutrale, o naturale; successivamente, introdotte le pratiche della contro-mappatura e della mappatura partecipativa, di comprendere se, oltre a strumenti di attivismo e resistenza, esse possano produrre cambiamenti politici concreti, favorevoli alla reclamazione di terre e alla loro gestione da parte dei soggetti interessati. Per verificarlo, introdurrò il caso studio scelto, ossia la mappatura partecipativa nelle comunità indigene che abitano le foreste dello Stato di Acre, in Brasile. Indagherò l’origine dell’iniziativa, la metodologia applicata, il coinvolgimento e le percezioni dei partecipanti, le relazioni con il potere amministrativo, gli effetti positivi ottenuti e le criticità riscontrate. Infine, per rispondere alla domanda di ricerca che guida questa tesi, valuterò gli effetti che le contro-mappe indigene hanno sortito sul piano politico: hanno aiutato le popolazioni indigene a rivendicare la gestione dei territori?File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/78774