The origin of the Italian word "arazzo" (tapestry) is linked to the name of the French town Arras, whose tapestries during the Middle Age were renowned for their quality and refinement. During the Middle Age tapestries were used not only for their aesthetic function but also to insulate castle walls during cold winter months and maintain the temperature stable in vast rooms. These impressive wall ornaments depict narrative scenes of various nature, both holy and secular, including floral, zoological, or heraldic compositions. Recipients of these artworks were wealthy buyers that would show the tapestries in their palaces as a symbol of their status. Whilst not being destined to the large public, for long time the tapestry has been considered a minor art or language, this is witnessed as well from the semantic reduction of the same word that defines it: the word "arazzo"(tapestry) outlines in an undertone the medium, associating metonymically it to only one of its components, the place of origin and spread. Only in the XX century tapestries abandon their marginal role as wall ornaments to become properly protagonists of exhibitions. The aim of this work is to investigate how and when the exhibition method turned tapestries from marginal functional items to art pieces, conveying them the same value and status of works of art. Tapestry will be considered as an artistic and communicative expression, starting from its origin, tracing the main points in its evolution. The first chapter offers, in addition to a detailed description of the differences in weaving related to the technique with high heddle, in which a vertical loom is used, and the low heddle technique, in which the loom is horizontal, brief historical notes on the history of tapestry. The main production and diffusion centres in France and Italy are discussed, starting from the most important manufacturing places in the European landscape, the Italian production is then analysed in detail, focusing on tapestries from the manufacture of Turin and their exposition in different exhibitions during the XX century. These exhibitions effectively declared their status as works of art. The first exhibition to be analysed is The Exhibition of the Piedmontese Baroque in 1937. This exhibition was designed and curated by Vittorio Viale. Whilst only a limited number of pieces has been exposed, this exhibition is considered the first step towards Viale's aim, a "unity of the Arts" Viale's desire to present the Piedmontese Baroque season combining painting, sculpture, architecture and minor arts. The next exhibition to be analysed is the true nucleus of the thesis, "The Piedmontese Baroque Exhibition" held in Turin in 1963: this chapter offers a descriptive list of the tapestries displayed, accompanied by details on their manufacturing and focusing on the exhibiting choices taken by Viale, highlighting the differences versus the exhibition in 1937. The narrative value of tapestry will be analysed in light of the new exhibition methods: tapestry, arising to key element of the display and being presented in sequential scenes, becomes a work of art capable of telling tales to the modern observers. Thousands of decorated and intertwined threads reaching to our days like graphic novels, bearing stories of long-gone times. To evaluate if and to which extent the exhibiting method introduced in 1963 influenced the following displays or if it is to be considered as a single case standing on its own, following exhibitions of tapestries of the Savoy House will be taken into consideration. In the analysis will be included as well notes on contemporary exhibitions.
L’origine della parola arazzo deriva dal nome della città francese di Arras, i cui arazzi, nel Medioevo, erano famosi per la qualità e la raffinatezza. In quel periodo, gli arazzi, oltre che per il loro aspetto estetico, erano molto utili per isolare le mura dei castelli nei freddi mesi invernali e mantenere ad una temperatura accettabile le grandi sale. Questi imponenti paramenti murali rappresentavano scene narrative sacre o profane o composizioni vegetali, zoologiche o araldiche. Destinatari di tali opere erano acquirenti facoltosi che potevano esporli nelle proprie dimore ad emblema del loro status. Pur non essendo di certo un prodotto riservato a grandi masse, l'arazzo è stato a lungo considerato un'arte o un linguaggio minore: ciò è testimoniato anche dalla riduzione semantica messa in atto dal termine che lo definisce: la parola arazzo, infatti, declina in chiave minore il medium, associandolo metonimicamente ad una sola delle sue componenti (il luogo in cui si è diffuso). Soltanto nel XX secolo gli arazzi lasciano il ruolo marginale di paramenti murari per diventare protagonisti della scena espositiva. Questo lavoro si propone di indagare come e quando il modo di esporre ha trasformato gli arazzi da oggetti funzionali, ma marginali, in oggetti artistici conferendo loro la stessa importanza e dignità di opere d’arte: si prenderà in considerazione l'arazzo come espressione artistica e comunicativa, partendo dalle sue origini per ricostruire i momenti salienti della sua evoluzione. Il primo capitolo si propone una descrizione dettagliata delle differenze di tessitura in relazione alla tecnica ad alto liccio, in cui viene usato un telaio verticale, e a quella a basso liccio, in cui il telaio è orizzontale e si riportano brevi cenni storici sulla storia degli arazzi. Si illustrano, inoltre, i maggiori centri di produzione e diffusione in Francia e in Italia: partendo da quelli che sono i luoghi più importanti del panorama europeo, si arriva all'Italia con l'obiettivo di focalizzarsi sugli arazzi della Manifattura torinese e sulle loro esposizioni in varie mostre del XX secolo che ne hanno, di fatto, decretato lo stato di opere d’arte. In primo luogo, si affronterà la Mostra del Barocco Piemontese del 1937, ideata e curata da Vittorio Viale: pur avendo esposto un numero limitato di pezzi, è considerata il primo passo verso quell’”unità delle arti” a cui mirava Viale, che voleva far conoscere la stagione del Barocco piemontese fondendo pittura, scultura, architettura e arti minori. Si passa, poi, al nucleo del lavoro ovvero la mostra Barocco Piemontese tenutasi a Torino nel 1963: il capitolo presenterà un elenco descrittivo degli arazzi esposti in quell’occasione, corredato da dettagli sulla loro produzione e si focalizzerà l’attenzione sulla scelta espositiva fatta da Viale sottolineando le differenze con la mostra del 1937. Particolare rilievo verrà riservato al valore narrativo dell'arazzo rafforzato dalle modalità espositive: diventando elemento centrale della mostra e presentandosi in scene sequenziali, l'arazzo diventa un'opera d'arte che attraverso le immagini, racconta storie a chi osserva. Migliaia di fili decorati e intrecciati che arrivano sino ai giorni nostri come moderne graphic novel, testimoni parlanti di un tempo passato. Per valutare se il metodo espositivo introdotto nel ’63 ha avuto conseguenze nelle esposizioni successive oppure è stato un caso isolato e senza eredità, si farà riferimento a mostre posteriori durante le quali sono stati esposti alcuni arazzi della collezione sabauda. Si concluderà l'analisi con alcuni cenni alle esposizioni odierne e con i commenti finali.
ARAZZI SABAUDI. Da paramenti a opere d’arte.
QUARCHIONI, CAMILLA
2021/2022
Abstract
L’origine della parola arazzo deriva dal nome della città francese di Arras, i cui arazzi, nel Medioevo, erano famosi per la qualità e la raffinatezza. In quel periodo, gli arazzi, oltre che per il loro aspetto estetico, erano molto utili per isolare le mura dei castelli nei freddi mesi invernali e mantenere ad una temperatura accettabile le grandi sale. Questi imponenti paramenti murali rappresentavano scene narrative sacre o profane o composizioni vegetali, zoologiche o araldiche. Destinatari di tali opere erano acquirenti facoltosi che potevano esporli nelle proprie dimore ad emblema del loro status. Pur non essendo di certo un prodotto riservato a grandi masse, l'arazzo è stato a lungo considerato un'arte o un linguaggio minore: ciò è testimoniato anche dalla riduzione semantica messa in atto dal termine che lo definisce: la parola arazzo, infatti, declina in chiave minore il medium, associandolo metonimicamente ad una sola delle sue componenti (il luogo in cui si è diffuso). Soltanto nel XX secolo gli arazzi lasciano il ruolo marginale di paramenti murari per diventare protagonisti della scena espositiva. Questo lavoro si propone di indagare come e quando il modo di esporre ha trasformato gli arazzi da oggetti funzionali, ma marginali, in oggetti artistici conferendo loro la stessa importanza e dignità di opere d’arte: si prenderà in considerazione l'arazzo come espressione artistica e comunicativa, partendo dalle sue origini per ricostruire i momenti salienti della sua evoluzione. Il primo capitolo si propone una descrizione dettagliata delle differenze di tessitura in relazione alla tecnica ad alto liccio, in cui viene usato un telaio verticale, e a quella a basso liccio, in cui il telaio è orizzontale e si riportano brevi cenni storici sulla storia degli arazzi. Si illustrano, inoltre, i maggiori centri di produzione e diffusione in Francia e in Italia: partendo da quelli che sono i luoghi più importanti del panorama europeo, si arriva all'Italia con l'obiettivo di focalizzarsi sugli arazzi della Manifattura torinese e sulle loro esposizioni in varie mostre del XX secolo che ne hanno, di fatto, decretato lo stato di opere d’arte. In primo luogo, si affronterà la Mostra del Barocco Piemontese del 1937, ideata e curata da Vittorio Viale: pur avendo esposto un numero limitato di pezzi, è considerata il primo passo verso quell’”unità delle arti” a cui mirava Viale, che voleva far conoscere la stagione del Barocco piemontese fondendo pittura, scultura, architettura e arti minori. Si passa, poi, al nucleo del lavoro ovvero la mostra Barocco Piemontese tenutasi a Torino nel 1963: il capitolo presenterà un elenco descrittivo degli arazzi esposti in quell’occasione, corredato da dettagli sulla loro produzione e si focalizzerà l’attenzione sulla scelta espositiva fatta da Viale sottolineando le differenze con la mostra del 1937. Particolare rilievo verrà riservato al valore narrativo dell'arazzo rafforzato dalle modalità espositive: diventando elemento centrale della mostra e presentandosi in scene sequenziali, l'arazzo diventa un'opera d'arte che attraverso le immagini, racconta storie a chi osserva. Migliaia di fili decorati e intrecciati che arrivano sino ai giorni nostri come moderne graphic novel, testimoni parlanti di un tempo passato. Per valutare se il metodo espositivo introdotto nel ’63 ha avuto conseguenze nelle esposizioni successive oppure è stato un caso isolato e senza eredità, si farà riferimento a mostre posteriori durante le quali sono stati esposti alcuni arazzi della collezione sabauda. Si concluderà l'analisi con alcuni cenni alle esposizioni odierne e con i commenti finali.File | Dimensione | Formato | |
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