La mia tesi prende in esame il volgarizzamento leopardiano del Manuale di Epitteto, un testo che ha conosciuto una enorme fortuna attraverso i secoli, aperto com'era alle fruizioni più diverse. Nel mio lavoro metto in evidenza l'interesse di Leopardi per un testo che egli non lesse come un «libretto dei pensieri», ma un «prontuario per l'azione», per il taglio pragmatico che possedeva, per l'aspetto pratico della dottrina, una sorta di guida al vivere. La mia tesi si struttura in sette capitoli: il primo (Leopardi filologo e l'antico), di tipo introduttivo e generale, riprende, sulla scorta di Timpanaro, il tema della modernità di Leopardi filologo, e riflette sul senso dell'antico in Leopardi. Il secondo, il terzo e il quarto (rispettivamente Il Manuale di Epitteto come «operetta morale», Leopardi e i volgarizzamenti di testi antichi, Le traduzioni del Manuale di Epitteto), dopo una rapida rassegna dei progetti editoriali di traduzioni dal greco, costituiscono un tentativo di individuare una semantica del tradurre, la ratio che sta dietro alla traduzione, dalla scelta delle singole parole alla sintassi del periodo. Ho anche radunato e commentato le riflessioni di Leopardi, di straordinaria modernità, sulla difficoltà del riprodurre il valore espressivo che le parole hanno nella lingua originaria, sulla fallacia del criterio di equivalenza. Ho pure radunato e commentato alcune delle più notevoli riflessioni leopardiane sul ruolo dell'antico nella modernità, e sulla lingua italiana, particolarmente adatta secondo Leopardi a piegarsi alla traduzione del greco, la cui «venustà» e bellezza soltanto la lingua italiana letteraria è più adatta ad avvicinare. I restanti capitoli (Leopardi e la lingua greca, Lingua e stile della traduzione del Manuale e Il manoscritto autografo e le varianti di mano di Leopardi), di stampo più filologico-linguistico, si soffermano ancora sul rapporto di Leopardi con la lingua greca, e mostrano come per Leopardi l'antico è una categoria unitaria e pervasiva, per certi aspetti onnicomprensiva. Ampio spazio ho dedicato allo studio della lingua del volgarizzamento, caratterizzata da una scelta linguistica molto articolata, che accoglie un moderato arcaismo e forme sostenute che si mescolano con toni quotidiani e distesi, secondo un modo già adottato nelle coeve Operette morali. Ancora maggiore lo spazio ho dedicato all'analisi delle varianti di mano del Leopardi sul ms. autografo conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Leopardi, dalle quali non è facile trarre conclusioni di ordine generale o sistematico. Nel lavoro di censimento delle varianti, ho tuttavia potuto individuare tratti che mi sembrano ricorrenti, costanti, anche se a volte difficilmente catalogabili e giustificabili. Ho potuto comunque rilevare la soppressione o attenuazione delle forme arcaiche o più antiquate e letterarie, ma altrettanto spesso il passaggio inverso, dalla forma più corrente a quella più anticheggiante. Del tutto indipendenti dalla bibliografia da me consultata sono alcune mie brevi osservazioni sull'attenzione tutta leopardiana per la fonia, per i legami sonori, quando nella traduzione Leopardi va alla ricerca di varianti ritmiche. Alcune volte la scelta di una variante sembra dovuta alla ricerca così leopardiana di una maggiore indeterminatezza, altre volte a un'esigenza di maggiore specificità, altre ancora alla scelta di un verbo più 'filosofico', mentale, appartenente alla sfera del ragionamento.
«Un Epitteto a mio modo». Il «Manuale» di Epitteto e la traduzione di Giacomo Leopardi
BECCARIA, GIULIA
2014/2015
Abstract
La mia tesi prende in esame il volgarizzamento leopardiano del Manuale di Epitteto, un testo che ha conosciuto una enorme fortuna attraverso i secoli, aperto com'era alle fruizioni più diverse. Nel mio lavoro metto in evidenza l'interesse di Leopardi per un testo che egli non lesse come un «libretto dei pensieri», ma un «prontuario per l'azione», per il taglio pragmatico che possedeva, per l'aspetto pratico della dottrina, una sorta di guida al vivere. La mia tesi si struttura in sette capitoli: il primo (Leopardi filologo e l'antico), di tipo introduttivo e generale, riprende, sulla scorta di Timpanaro, il tema della modernità di Leopardi filologo, e riflette sul senso dell'antico in Leopardi. Il secondo, il terzo e il quarto (rispettivamente Il Manuale di Epitteto come «operetta morale», Leopardi e i volgarizzamenti di testi antichi, Le traduzioni del Manuale di Epitteto), dopo una rapida rassegna dei progetti editoriali di traduzioni dal greco, costituiscono un tentativo di individuare una semantica del tradurre, la ratio che sta dietro alla traduzione, dalla scelta delle singole parole alla sintassi del periodo. Ho anche radunato e commentato le riflessioni di Leopardi, di straordinaria modernità, sulla difficoltà del riprodurre il valore espressivo che le parole hanno nella lingua originaria, sulla fallacia del criterio di equivalenza. Ho pure radunato e commentato alcune delle più notevoli riflessioni leopardiane sul ruolo dell'antico nella modernità, e sulla lingua italiana, particolarmente adatta secondo Leopardi a piegarsi alla traduzione del greco, la cui «venustà» e bellezza soltanto la lingua italiana letteraria è più adatta ad avvicinare. I restanti capitoli (Leopardi e la lingua greca, Lingua e stile della traduzione del Manuale e Il manoscritto autografo e le varianti di mano di Leopardi), di stampo più filologico-linguistico, si soffermano ancora sul rapporto di Leopardi con la lingua greca, e mostrano come per Leopardi l'antico è una categoria unitaria e pervasiva, per certi aspetti onnicomprensiva. Ampio spazio ho dedicato allo studio della lingua del volgarizzamento, caratterizzata da una scelta linguistica molto articolata, che accoglie un moderato arcaismo e forme sostenute che si mescolano con toni quotidiani e distesi, secondo un modo già adottato nelle coeve Operette morali. Ancora maggiore lo spazio ho dedicato all'analisi delle varianti di mano del Leopardi sul ms. autografo conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Leopardi, dalle quali non è facile trarre conclusioni di ordine generale o sistematico. Nel lavoro di censimento delle varianti, ho tuttavia potuto individuare tratti che mi sembrano ricorrenti, costanti, anche se a volte difficilmente catalogabili e giustificabili. Ho potuto comunque rilevare la soppressione o attenuazione delle forme arcaiche o più antiquate e letterarie, ma altrettanto spesso il passaggio inverso, dalla forma più corrente a quella più anticheggiante. Del tutto indipendenti dalla bibliografia da me consultata sono alcune mie brevi osservazioni sull'attenzione tutta leopardiana per la fonia, per i legami sonori, quando nella traduzione Leopardi va alla ricerca di varianti ritmiche. Alcune volte la scelta di una variante sembra dovuta alla ricerca così leopardiana di una maggiore indeterminatezza, altre volte a un'esigenza di maggiore specificità, altre ancora alla scelta di un verbo più 'filosofico', mentale, appartenente alla sfera del ragionamento.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/78544