La Germania è diventata un modello a livello europeo, se non internazionale, in tema di riforme e competitività e la sua performance economica è apparsa tanto più sorprendente nel contesto della recente crisi finanziaria globale. La riabilitazione del ¿grande malato europeo¿, come il paese veniva definito a fine anni '90, ha impiegato meno di dieci anni. Quale fattore chiave del ¿miracolo tedesco¿ viene spesso indicata l'Agenda 2010, un pacchetto di radicali riforme sociali adottate dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder al fine di rendere l'economia tedesca più flessibile e competitiva. Oltre a una riforma fiscale, l'implementazione dell'Agenda, a partire dal 2003, ha comportato tagli della spesa sociale in campo di previdenza, assistenza sanitaria e soprattutto una drastica riduzione dei sussidi di disoccupazione accompagnata da una deregolamentazione generale del mercato del lavoro, così come previsto dalle cosiddette Hartz reform I-IV, dal nome di Peter Hartz ex membro del consiglio di amministrazione di Volkswagen e presidente della Commissione che le mise a punto. La più rilevante tra le misure previste è stata la fusione fra indennità di disoccupazione e aiuti sociali (a livello di questi ultimi) in un unico sussidio fisso e soggetto a verifiche reddituali, nonché un sostanziale accorciamento della durata degli aiuti (da 32 a 12 o 18 mesi) e criteri più restrittivi per accedervi. A guardare i dati sulla disoccupazione, scesa al 5%, rispetto al 12,6% del 2005 ¿ dato massimo mai registrato dal dopoguerra ¿ accompagnati dal vigore economico del paese pur in un momento di generale recessione, le misure di stampo neoliberale dell'Agenda 2010 sono apparse come l'amara ma necessaria medicina e la ricetta da seguire per tutti i paesi europei. Meno evidenti ed evidenziati, gli effetti collaterali e i costi sociali di questo apparente successo, che in questa sede si cercerà di prendere in considerazione: un indice di rischio povertà particolarmente elevato, tassi di disuguaglianza crescenti, un settore occupazionale a bassa retribuzione tra i più vasti a livello mondiale tra quelli dei paesi industrializzati (proliferazione di mini jobs e midi jobs), l'aumento considerevole del lavoro atipico, una diminuzione dei salari reali che seguono un trend in atto dagli anni '90. L'introduzione delle riforme, giudicate da alcuni il Big Bang dello stato sociale tedesco, è stata accompagnata da un dibattito sulla loro bontà ed esportabilità e ha rinnovato l'interesse per la crisi del modell Deutschland e del capitalismo renano, ovvero dell'economia sociale di mercato contrapposta al modello anglo-sassone liberista. Davanti a quel che appare come un processo dinamico del capitalismo stesso, secondo il sociologo tedesco Wolfang Streeck, le ¿varieties of capitalism¿ perdono di rilevanza. Ecco che in tale prospettiva, la Germania appare un laboratorio interessante dell'evoluzione e del possibile naufragio di un modello sociale europeo. E, ancora ¿se ci sarà un ¿modello europeo¿ socialmente e politicamente imbrigliato e a cosa assomiglierà, dipenderà in gran parte da come evolverà la politica economica tedesca¿. Senza alcuna pretesa di completezza, si cercherà quindi di delineare i contorni di questo mutamento, partendo dal lato oscuro e dai costi sociali dello sviluppo tedesco per poi accennare un allargamento alla prospettiva europea.

Laboratorio Germania. Oltre l'economia sociale di mercato. Uno sguardo critico sull'Agenda 2010 e sull'esportabilità del modello tedesco

CAMPANELLA, CRISTINA CLARA
2014/2015

Abstract

La Germania è diventata un modello a livello europeo, se non internazionale, in tema di riforme e competitività e la sua performance economica è apparsa tanto più sorprendente nel contesto della recente crisi finanziaria globale. La riabilitazione del ¿grande malato europeo¿, come il paese veniva definito a fine anni '90, ha impiegato meno di dieci anni. Quale fattore chiave del ¿miracolo tedesco¿ viene spesso indicata l'Agenda 2010, un pacchetto di radicali riforme sociali adottate dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder al fine di rendere l'economia tedesca più flessibile e competitiva. Oltre a una riforma fiscale, l'implementazione dell'Agenda, a partire dal 2003, ha comportato tagli della spesa sociale in campo di previdenza, assistenza sanitaria e soprattutto una drastica riduzione dei sussidi di disoccupazione accompagnata da una deregolamentazione generale del mercato del lavoro, così come previsto dalle cosiddette Hartz reform I-IV, dal nome di Peter Hartz ex membro del consiglio di amministrazione di Volkswagen e presidente della Commissione che le mise a punto. La più rilevante tra le misure previste è stata la fusione fra indennità di disoccupazione e aiuti sociali (a livello di questi ultimi) in un unico sussidio fisso e soggetto a verifiche reddituali, nonché un sostanziale accorciamento della durata degli aiuti (da 32 a 12 o 18 mesi) e criteri più restrittivi per accedervi. A guardare i dati sulla disoccupazione, scesa al 5%, rispetto al 12,6% del 2005 ¿ dato massimo mai registrato dal dopoguerra ¿ accompagnati dal vigore economico del paese pur in un momento di generale recessione, le misure di stampo neoliberale dell'Agenda 2010 sono apparse come l'amara ma necessaria medicina e la ricetta da seguire per tutti i paesi europei. Meno evidenti ed evidenziati, gli effetti collaterali e i costi sociali di questo apparente successo, che in questa sede si cercerà di prendere in considerazione: un indice di rischio povertà particolarmente elevato, tassi di disuguaglianza crescenti, un settore occupazionale a bassa retribuzione tra i più vasti a livello mondiale tra quelli dei paesi industrializzati (proliferazione di mini jobs e midi jobs), l'aumento considerevole del lavoro atipico, una diminuzione dei salari reali che seguono un trend in atto dagli anni '90. L'introduzione delle riforme, giudicate da alcuni il Big Bang dello stato sociale tedesco, è stata accompagnata da un dibattito sulla loro bontà ed esportabilità e ha rinnovato l'interesse per la crisi del modell Deutschland e del capitalismo renano, ovvero dell'economia sociale di mercato contrapposta al modello anglo-sassone liberista. Davanti a quel che appare come un processo dinamico del capitalismo stesso, secondo il sociologo tedesco Wolfang Streeck, le ¿varieties of capitalism¿ perdono di rilevanza. Ecco che in tale prospettiva, la Germania appare un laboratorio interessante dell'evoluzione e del possibile naufragio di un modello sociale europeo. E, ancora ¿se ci sarà un ¿modello europeo¿ socialmente e politicamente imbrigliato e a cosa assomiglierà, dipenderà in gran parte da come evolverà la politica economica tedesca¿. Senza alcuna pretesa di completezza, si cercherà quindi di delineare i contorni di questo mutamento, partendo dal lato oscuro e dai costi sociali dello sviluppo tedesco per poi accennare un allargamento alla prospettiva europea.
ITA
IMPORT DA TESIONLINE
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
198386_tesi.pdf

non disponibili

Tipologia: Altro materiale allegato
Dimensione 2.26 MB
Formato Adobe PDF
2.26 MB Adobe PDF

I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/76824