Nel capitolo 1° si analizzano i lavori dell'Assemblea costituente per scoprire quale spirito e intenti avessero avuto i nostri Padri Costituenti nella redazione dell'art. 9 Cost.Dal dibattito intercorso tra questi ultimi, infatti, emerge che la collocazione stessa dell'art. 9 tra i principi fondamentali del nostro ordinamento non è casuale, ma al contrario è voluta e ricercata.La tutela del paesaggio, infatti, in quanto principio guida dello Stato, assume il valore di limite sia all'interesse economico sia all'interesse proprietario (pubblico e privato). Nel capitolo 2° si segue l'excursus giurisprudenziale della Corte Costituzionale, la quale, con l'obiettivo di fornire una definizione giuridica al termine paesaggio dell'art. 9, abbandona, sin dagli anni ottanta, l'idea estetico-culturale che lo caratterizzava, per giungere ad una concezione estensiva a tal punto da far coincidere la tutela del paesaggio con la tutela dell'ambiente. Il 3° capitolo ha la pretesa di interrogare il Codice Civile e di scoprirne i limiti relativamente alla tutela ambientale. Uno dei limiti è la teoria tradizionale dei beni pubblici, che si presta fin troppo facilmente alla scellerata volontà politica del ¿far cassa¿, dimostrata dalle varie normative che portano e scindere il binomio bene demaniale e indisponibilità.Ed è proprio per evitare che il governo in carica fronteggi le situazioni di crisi facendone pagare il conto esclusivo all'ambiente e alle generazioni future, che la Commissione Rodotà ha proposto un progetto di riforma del libro III del Codice Civile, che incentrato sull'introduzione nel Codice Civile della categoria giuridica del bene comune, risolve i limiti della sistematica codicistica rendendola conforme ai valori costituzionali. Definito che la distruzione ambientale ha alla base ragioni economiche, che portano gli Stati a svendere le risorse ambientali o a permettere a società senza scrupoli di insediarsi sul proprio territorio in cambio di qualche strada e struttura, il capitolo 4° interroga la stessa economia sulla tragedia dei comuni.La teoria economica classica pretende che la tragedia dei comuni dipenda dall'atteggiarsi dell'individuo da homo economicus, ovvero dall'incapacità dello stesso di gestire un bene in condivisione poiché portato ad esternalizzare i costi sugli altri utilizzatori per massimizzarne il profitto.Tale teoria viene però smentita dalla studiosa Ostrom, che procedendo tramite uno studio reale delle azioni collettive, giunge alla definizione di un insieme di principi costitutivi, che pur non potendo essere definiti regole precise, descrivono le condizioni generali in presenza delle quali la gestione collettiva della risorsa evita la tragedia. Ma se l'individuo non è l'autore della tragedia dei comuni, allora chi è l'homo economicus? La trattazione si conclude con l'analisi dell'atteggiamento della Corporation, la quale, priva di principi morali, risponde perfettamente alla figura dell'homo economicus, che abusa dell'ambiente, esternalizzando su terzi i propri costi al fine di massimizzare il proprio profitto. Per evitare la tragedia del bene comune ambiente si auspica che il diritto abbandoni il suo ruolo di componente neutrale di un sistema economico capitalista e persegua prima che sia troppo tardi una rinnovata concezione del regime di legalità che sia fondata sulla giustizia sociale e non sull'efficienza economica.
Il bene comune ambiente
DI BENEDETTO, AURORA ANDREA
2010/2011
Abstract
Nel capitolo 1° si analizzano i lavori dell'Assemblea costituente per scoprire quale spirito e intenti avessero avuto i nostri Padri Costituenti nella redazione dell'art. 9 Cost.Dal dibattito intercorso tra questi ultimi, infatti, emerge che la collocazione stessa dell'art. 9 tra i principi fondamentali del nostro ordinamento non è casuale, ma al contrario è voluta e ricercata.La tutela del paesaggio, infatti, in quanto principio guida dello Stato, assume il valore di limite sia all'interesse economico sia all'interesse proprietario (pubblico e privato). Nel capitolo 2° si segue l'excursus giurisprudenziale della Corte Costituzionale, la quale, con l'obiettivo di fornire una definizione giuridica al termine paesaggio dell'art. 9, abbandona, sin dagli anni ottanta, l'idea estetico-culturale che lo caratterizzava, per giungere ad una concezione estensiva a tal punto da far coincidere la tutela del paesaggio con la tutela dell'ambiente. Il 3° capitolo ha la pretesa di interrogare il Codice Civile e di scoprirne i limiti relativamente alla tutela ambientale. Uno dei limiti è la teoria tradizionale dei beni pubblici, che si presta fin troppo facilmente alla scellerata volontà politica del ¿far cassa¿, dimostrata dalle varie normative che portano e scindere il binomio bene demaniale e indisponibilità.Ed è proprio per evitare che il governo in carica fronteggi le situazioni di crisi facendone pagare il conto esclusivo all'ambiente e alle generazioni future, che la Commissione Rodotà ha proposto un progetto di riforma del libro III del Codice Civile, che incentrato sull'introduzione nel Codice Civile della categoria giuridica del bene comune, risolve i limiti della sistematica codicistica rendendola conforme ai valori costituzionali. Definito che la distruzione ambientale ha alla base ragioni economiche, che portano gli Stati a svendere le risorse ambientali o a permettere a società senza scrupoli di insediarsi sul proprio territorio in cambio di qualche strada e struttura, il capitolo 4° interroga la stessa economia sulla tragedia dei comuni.La teoria economica classica pretende che la tragedia dei comuni dipenda dall'atteggiarsi dell'individuo da homo economicus, ovvero dall'incapacità dello stesso di gestire un bene in condivisione poiché portato ad esternalizzare i costi sugli altri utilizzatori per massimizzarne il profitto.Tale teoria viene però smentita dalla studiosa Ostrom, che procedendo tramite uno studio reale delle azioni collettive, giunge alla definizione di un insieme di principi costitutivi, che pur non potendo essere definiti regole precise, descrivono le condizioni generali in presenza delle quali la gestione collettiva della risorsa evita la tragedia. Ma se l'individuo non è l'autore della tragedia dei comuni, allora chi è l'homo economicus? La trattazione si conclude con l'analisi dell'atteggiamento della Corporation, la quale, priva di principi morali, risponde perfettamente alla figura dell'homo economicus, che abusa dell'ambiente, esternalizzando su terzi i propri costi al fine di massimizzare il proprio profitto. Per evitare la tragedia del bene comune ambiente si auspica che il diritto abbandoni il suo ruolo di componente neutrale di un sistema economico capitalista e persegua prima che sia troppo tardi una rinnovata concezione del regime di legalità che sia fondata sulla giustizia sociale e non sull'efficienza economica.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/74103