Il coinvolgimento del minore, come fonte di prova, nel processo penale ordinario suscita numerose questioni relativamente all¿individuazione di modalità d¿acquisizione delle dichiarazioni del giovane teste che, da un lato, tutelino la sua personalità ancora in via di formazione dai traumi che potrebbero potenzialmente derivare dal contatto del minore col processo, e che, al contempo, assicurino l¿attendibilità del contributo conoscitivo di questi. In questo lavoro mi sono proposta di analizzare i principali istituti processuali predisposti dal legislatore allo scopo: è emerso un quadro normativo lacunoso, disomogeneo e caotico. Modalità specifiche di garanzia (vedi ad esempio, l¿audizione protetta ex art. 398 comma 5 bis c.p.p. e l¿incidente probatorio speciale ex art. 392 comma 1 bis c.p.p.) sono state, infatti, rivolte solo a determinate categorie di minori e riservate solo ad alcuni mezzi di prova, compiendo così delle distinzioni spesso prive di una solida ratio giustificatrice. Senza contare, poi, le numerose incertezze interpretative derivanti da una tecnica legislativa poco accurata. Si ritiene, dunque, necessaria una rivisitazione globale della disciplina che assicuri una tutela generalizzata al minore coinvolto nel processo, indipendentemente dalla fase processuale in cui avviene tale coinvolgimento, dall¿età del teste o dal reato per cui si sta procedendo. D¿altronde, la predisposizione di garanzie adeguate per il minore è fondamentale al fine di consegnare al giudice della decisione dichiarazioni che possano essere ritenute attendibili. Il minore, anche in tenera età, può essere un testimone credibile al pari di un adulto. Tuttavia, a causa della sua forte suggestionabilità, deve essere approcciato con tecniche d¿intervista adeguate e da soggetti che abbiano la necessaria preparazione, altrimenti il rischio che i suoi ricordi siano inquinati da condizionamenti esterni, dovuti alla pressione su di lui esercitata da soggetti autorevoli, o interni, conseguenti alla scarsa capacità del giovane teste di distinguere verità e mendacio, è troppo alto per poter fondare sulle sue dichiarazioni un giudizio di colpevolezza. Tutto ciò ha portato spesso la giurisprudenza a corroborare quanto affermato dal minore con riscontri esterni, sul modello di quanto avviene per le testimonianza del coimputato nel medesimo reato (ex art. 192 comma 3 c.p.p.). Non si condivide, però, del tutto tale impostazione. E¿ vero, infatti, che una conferma esterna di quanto dichiarato dal teste minore può essere opportuna in casi particolarmente delicati: si pensi all¿ipotesi di minori vittime del reato o coinvolti in reati particolarmente scabrosi come quelli a sfondo sessuale. E¿, però, dubbio che si possano accostare e trattare in modo analogo situazioni tanto lontane tra loro, come lo sono l¿ipotesi delle dichiarazioni rese dall¿imputato nel medesimo reato e il caso del minore coinvolto nel processo penale.
Il contributo probatorio del minore nel processo ordinario.
BILUCAGLIA, ALESSIA
2009/2010
Abstract
Il coinvolgimento del minore, come fonte di prova, nel processo penale ordinario suscita numerose questioni relativamente all¿individuazione di modalità d¿acquisizione delle dichiarazioni del giovane teste che, da un lato, tutelino la sua personalità ancora in via di formazione dai traumi che potrebbero potenzialmente derivare dal contatto del minore col processo, e che, al contempo, assicurino l¿attendibilità del contributo conoscitivo di questi. In questo lavoro mi sono proposta di analizzare i principali istituti processuali predisposti dal legislatore allo scopo: è emerso un quadro normativo lacunoso, disomogeneo e caotico. Modalità specifiche di garanzia (vedi ad esempio, l¿audizione protetta ex art. 398 comma 5 bis c.p.p. e l¿incidente probatorio speciale ex art. 392 comma 1 bis c.p.p.) sono state, infatti, rivolte solo a determinate categorie di minori e riservate solo ad alcuni mezzi di prova, compiendo così delle distinzioni spesso prive di una solida ratio giustificatrice. Senza contare, poi, le numerose incertezze interpretative derivanti da una tecnica legislativa poco accurata. Si ritiene, dunque, necessaria una rivisitazione globale della disciplina che assicuri una tutela generalizzata al minore coinvolto nel processo, indipendentemente dalla fase processuale in cui avviene tale coinvolgimento, dall¿età del teste o dal reato per cui si sta procedendo. D¿altronde, la predisposizione di garanzie adeguate per il minore è fondamentale al fine di consegnare al giudice della decisione dichiarazioni che possano essere ritenute attendibili. Il minore, anche in tenera età, può essere un testimone credibile al pari di un adulto. Tuttavia, a causa della sua forte suggestionabilità, deve essere approcciato con tecniche d¿intervista adeguate e da soggetti che abbiano la necessaria preparazione, altrimenti il rischio che i suoi ricordi siano inquinati da condizionamenti esterni, dovuti alla pressione su di lui esercitata da soggetti autorevoli, o interni, conseguenti alla scarsa capacità del giovane teste di distinguere verità e mendacio, è troppo alto per poter fondare sulle sue dichiarazioni un giudizio di colpevolezza. Tutto ciò ha portato spesso la giurisprudenza a corroborare quanto affermato dal minore con riscontri esterni, sul modello di quanto avviene per le testimonianza del coimputato nel medesimo reato (ex art. 192 comma 3 c.p.p.). Non si condivide, però, del tutto tale impostazione. E¿ vero, infatti, che una conferma esterna di quanto dichiarato dal teste minore può essere opportuna in casi particolarmente delicati: si pensi all¿ipotesi di minori vittime del reato o coinvolti in reati particolarmente scabrosi come quelli a sfondo sessuale. E¿, però, dubbio che si possano accostare e trattare in modo analogo situazioni tanto lontane tra loro, come lo sono l¿ipotesi delle dichiarazioni rese dall¿imputato nel medesimo reato e il caso del minore coinvolto nel processo penale.File | Dimensione | Formato | |
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