La definizione di Paracelso è pienamente valida anche ai giorni nostri: qualsiasi veleno può, in particolari dosi, rivelare un medicamento, mentre, teoricamente, qualsiasi sostanza cosiddetta inoffensiva può essere tossica a dosi elevate. E' del tutto evidente che non esistono in natura piante ¿utili¿ o piante ¿dannose¿, ma è l'uso più o meno corretto che ne viene fatto da parte dell'uomo a determinare il grado di pericolosità o utilità di una pianta. Per esempio, il Taxus baccata, o l'Atropa belladonna, sono piante che, con ingestioni accidentali, possono portare alla morte; eppure non moltissimi anni fa, dalle foglie e dalla corteccia del tasso si è estratto il taxolo, dimostratosi molto efficace in diversi tipi di tumore e l'atropina, alcaloide a nucleo tropanico, estratto dalla belladonna è risultata utile in oculistica per la sua azione midriatica ed è un valido antidoto negli avvelenamenti da muscarina (1). Anche piante molto comuni, quali il mughetto e l'oleandro, possono esser letali, poiché contengono glicosidi cardioattivi. Vale la pena poi di ricordare l'avvelenamento generale che colpì i soldati di Napoleone che avevano fatto, con i fusti dritti e slanciati della pianta, degli spiedi per arrostire la selvaggina; il fuoco ¿distillò¿ l'oleandrina che, penetrata nella carne, provocò delle gravi intossicazioni (2). Regina incontrastata fra le piante velenose, è sicuramente la cicuta; appartenente alla famiglia delle Apiaceae, contiene coniina, alcaloide a nucleo pideridinico, la cui quantità mortale va dai 10 ai 30 grammi. Le intossicazioni di cicuta non sempre sono dovute all'ingestione diretta della pianta, ma talvolta al consumo di quaglie selvatiche: le quaglie infatti, possono mangiare i semi di cicuta senza conseguenze, ma intossicare poi coloro che le mangiano (3). L'estratto di aconito è considerato uno dei veleni vegetali più attivi; l'aconitina, alcaloide diterpenico, agisce a dosi bassissime, può provocare avvelenamenti mortali; un grammo di droga fresca (contiene 2-20 mg di aconitine) può portare a morte dopo circa 8 ore. L'incidenza di intossicazione da piante è per fortuna bassa perché la quantità di sostanze tossiche ingerite è generalmente piccola. L'enorme diffusione in questi ultimi 20 anni di prodotti fitoterapici impone però un'attenta considerazione del problema, per la scarsa consapevolezza sul potenziale pericolo di molti di questi preparati (4). Riferimenti bibliografici selezionati 1. Campanini Enrica ¿Ricettario medico di fitoterapia: formulario pratico per medici e farmacisti¿ Tecniche Nuove, 2000 2. Paolo Luzzi ¿Frutti innocui e velenosi del territorio italiano¿ Calderini Edagricole, 2001 3. G. Debuigne ¿Enciclopedia delle piante della salute¿ Gremese editore 2004 4. F. Capasso ¿Farmacognosia¿ Ed. Springer, 2011 Parole Chiave (Key Words) Piante velenose; avvelenamenti; principi attivi tossici
AVVELENAMENTO DA PRODOTTI NATURALI
PACCAGNA, ROBERTA
2011/2012
Abstract
La definizione di Paracelso è pienamente valida anche ai giorni nostri: qualsiasi veleno può, in particolari dosi, rivelare un medicamento, mentre, teoricamente, qualsiasi sostanza cosiddetta inoffensiva può essere tossica a dosi elevate. E' del tutto evidente che non esistono in natura piante ¿utili¿ o piante ¿dannose¿, ma è l'uso più o meno corretto che ne viene fatto da parte dell'uomo a determinare il grado di pericolosità o utilità di una pianta. Per esempio, il Taxus baccata, o l'Atropa belladonna, sono piante che, con ingestioni accidentali, possono portare alla morte; eppure non moltissimi anni fa, dalle foglie e dalla corteccia del tasso si è estratto il taxolo, dimostratosi molto efficace in diversi tipi di tumore e l'atropina, alcaloide a nucleo tropanico, estratto dalla belladonna è risultata utile in oculistica per la sua azione midriatica ed è un valido antidoto negli avvelenamenti da muscarina (1). Anche piante molto comuni, quali il mughetto e l'oleandro, possono esser letali, poiché contengono glicosidi cardioattivi. Vale la pena poi di ricordare l'avvelenamento generale che colpì i soldati di Napoleone che avevano fatto, con i fusti dritti e slanciati della pianta, degli spiedi per arrostire la selvaggina; il fuoco ¿distillò¿ l'oleandrina che, penetrata nella carne, provocò delle gravi intossicazioni (2). Regina incontrastata fra le piante velenose, è sicuramente la cicuta; appartenente alla famiglia delle Apiaceae, contiene coniina, alcaloide a nucleo pideridinico, la cui quantità mortale va dai 10 ai 30 grammi. Le intossicazioni di cicuta non sempre sono dovute all'ingestione diretta della pianta, ma talvolta al consumo di quaglie selvatiche: le quaglie infatti, possono mangiare i semi di cicuta senza conseguenze, ma intossicare poi coloro che le mangiano (3). L'estratto di aconito è considerato uno dei veleni vegetali più attivi; l'aconitina, alcaloide diterpenico, agisce a dosi bassissime, può provocare avvelenamenti mortali; un grammo di droga fresca (contiene 2-20 mg di aconitine) può portare a morte dopo circa 8 ore. L'incidenza di intossicazione da piante è per fortuna bassa perché la quantità di sostanze tossiche ingerite è generalmente piccola. L'enorme diffusione in questi ultimi 20 anni di prodotti fitoterapici impone però un'attenta considerazione del problema, per la scarsa consapevolezza sul potenziale pericolo di molti di questi preparati (4). Riferimenti bibliografici selezionati 1. Campanini Enrica ¿Ricettario medico di fitoterapia: formulario pratico per medici e farmacisti¿ Tecniche Nuove, 2000 2. Paolo Luzzi ¿Frutti innocui e velenosi del territorio italiano¿ Calderini Edagricole, 2001 3. G. Debuigne ¿Enciclopedia delle piante della salute¿ Gremese editore 2004 4. F. Capasso ¿Farmacognosia¿ Ed. Springer, 2011 Parole Chiave (Key Words) Piante velenose; avvelenamenti; principi attivi tossiciFile | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/73292