Melanoma, a malignant tumor that comes from melanocyte, is the most aggressive form of skin cancer; although it represents only the 4% of all types of skin cancer, it is correlated with about 80% of skin cancer-related deaths. About 50-60% of patients with melanoma presents a specific mutation on the BRAF gene; in the mutant pigmented cells, in fact, the codified protein presents an acid glutamic residue instead of a valine at the position 600 and, so, this mutation is called V600E. The valine substitution with other aminoacids at the position 600 (V600K, V600D or V600R), instead, is definitely less frequent (1). Selective BRAF inhibitors were then developed and, respectively in 2011 and 2013, vemurafenib and dabrafenib were introduced into therapy, approved in monotherapy for the treatment of adult patients with inoperable or metastatic melanoma with BRAF V600 mutations. These drugs link to the ATP binding site of the mutated BRAF protein blocking the MAPK signaling pathway and, therefore, they inhibit cell proliferation. Both vemurafenib and dabrafenib in monotherapy showed an increase of the progression-free survival, in patients with metastatic melanoma with BRAF mutations, respectively of 5,3 and 6,7 months. The most common adverse events developed after the treatment with these drugs are skin toxicity (mainly the development of squamous cell carcinoma, keratoacanthoma, hyperkeratosis), fatigue, arthralgias (2). About 10-15% of patients with BRAF mutations never respond to BRAF inhibitors therapy and those who respond show again sign of disease progression after 6-8 month of treatment. This is due, in the first case, to an intrinsical/primary resistance associated with pre-existing molecular characteristics, on the second case to the development of an acquired/secondary resistance due to treatment. A possible strategy to overcome resistance could be the combination of these drugs with MEK inhibitors, like trametinib in association with dabrafenib or cobimetinib in association with vemurafenib. BRAF mutations have been identified, not only in melanoma, but also in colorectal cancer, non-small cell lung cancer, thyroid cancer, multiple myeloma, Langerhans cell histiocytosis, Erdheim-Chester disease. Recent basket study with BRAF inhibitors in the treatment of different tumor had shown an improvement of symptoms and a regression of the disease, especially in those patients with non-small cell lung cancer, Langerhans cell histiocytosis and Erdheim-Chester disease that were treated with vemurafenib and in melanoma patients with brain metastases treated with dabrafenib, revealing possible future uses of these drugs (3). 1) Davies H. et al. Mutations of the BRAF gene in human cancer. Nature . 2002; 417: 949-954 2) Flaherty K.T. et al. Inhibition of mutated, activated BRAF in metastatic melanoma. The New England journal of medicine. 2010; 363: 809-819 3) Long G.V. et al. Combined BRAF and MEK inhibition versus BRAF inhibition alone in melanoma. The New England journal of medicine. 2014; 371: 1877-1888
Il melanoma, tumore maligno che origina dal melanocita, rappresenta la forma più aggressiva di tumore cutaneo; anche se rappresenta solo il 4% di tutti i tipi di tumori della pelle, è responsabile di circa l'80% dei decessi per cancro della pelle. Circa il 50-60% dei pazienti con melanoma presenta una mutazione specifica a carico del gene BRAF; nelle cellule pigmentanti mutate, infatti, la proteina codificata da questo gene presenta in posizione 600 un residuo di acido glutammico al posto di una valina e, per questo, la mutazione è denominata V600E. La sostituzione della valina con altri aminoacidi in posizione 600 (V600K, V600D o V600R), invece, è decisamente meno frequente (1). Sono quindi stati sviluppati inibitori selettivi di BRAF e, rispettivamente nel 2011 e nel 2013, sono stati introdotti in terapia il vemurafenib e il dabrafenib, approvati in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti con melanoma inoperabile o metastatico positivi alla mutazione di BRAF V600. Questi farmaci sono in grado di legarsi al sito di legame per l'ATP della proteina BRAF mutata e di bloccare la via di segnale delle MAPK e, di conseguenza, di inibire la proliferazione cellulare. Dagli studi clinici emerge come sia il vemurafenib che il dabrafenib in monoterapia siano in grado di aumentare la sopravvivenza libera da progressione (PFS) in pazienti con melanoma metastatico con mutazioni di BRAF, rispettivamente, di 5,3 e 6,7 mesi. I principali eventi avversi sviluppati in seguito al trattamento con questi farmaci sono tossicità cutanea (principalmente lo sviluppo di carcinoma cutaneo a cellule squamose, cheratoacantoma, ipercheratosi), affaticamento, artralgie (2). Circa il 10-15% dei pazienti con mutazioni di BRAF non risponde alla terapia con inibitori di BRAF e i pazienti che invece inizialmente rispondono mostrano nuovamente segni di progressione tumorale dopo 6-8 mesi di trattamento. Questo è dovuto nel primo caso a una resistenza intrinseca/primaria associata a caratteristiche molecolari preesistenti, nel secondo caso allo sviluppo di una resistenza acquisita/secondaria al trattamento. Una possibile strategia terapeutica per superare questo problema potrebbe essere la combinazione di questi farmaci con inibitori di MEK, come il trametinib in associazione al dabrafenib o il cobimetinib in associazione al vemurafenib. Le mutazioni di BRAF sono state identificate, oltre che nel melanoma, in diversi tipi di tumori, tra cui il cancro del colon-retto, il carcinoma polmonare non a piccole cellule, il carcinoma papillare della tiroide, il mieloma multiplo, l'istiocitosi a cellule di Langerhans, la malattia di Erdheim-Chester. Recenti basket study con inibitori di BRAF nel trattamento di diverse forme tumorali hanno mostrato un miglioramento dei sintomi e una regressione della malattia, soprattutto nei pazienti con carcinoma polmonare, malattia di Erdheim-Chester e istiocitosi a cellule di Langerhans trattati con vemurafenib e nei pazienti con metastasi cerebrali derivate da melanoma trattati con dabrafenib, lasciando quindi intravedere possibili futuri utilizzi di questi farmaci (3). 1) Davies H. et al. Mutations of the BRAF gene in human cancer. Nature . 2002; 417: 949-954 2) Flaherty K.T. et al. Inhibition of mutated, activated BRAF in metastatic melanoma. The New England journal of medicine. 2010; 363: 809-819 3) Long G.V. et al. Combined BRAF and MEK inhibition versus BRAF inhibition alone in melanoma. The New England journal of medicine. 2014; 371: 1877-1888
Inibitori di BRAF: attuale impiego clinico e prospettive future
BOZZALLA, SARA
2015/2016
Abstract
Il melanoma, tumore maligno che origina dal melanocita, rappresenta la forma più aggressiva di tumore cutaneo; anche se rappresenta solo il 4% di tutti i tipi di tumori della pelle, è responsabile di circa l'80% dei decessi per cancro della pelle. Circa il 50-60% dei pazienti con melanoma presenta una mutazione specifica a carico del gene BRAF; nelle cellule pigmentanti mutate, infatti, la proteina codificata da questo gene presenta in posizione 600 un residuo di acido glutammico al posto di una valina e, per questo, la mutazione è denominata V600E. La sostituzione della valina con altri aminoacidi in posizione 600 (V600K, V600D o V600R), invece, è decisamente meno frequente (1). Sono quindi stati sviluppati inibitori selettivi di BRAF e, rispettivamente nel 2011 e nel 2013, sono stati introdotti in terapia il vemurafenib e il dabrafenib, approvati in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti con melanoma inoperabile o metastatico positivi alla mutazione di BRAF V600. Questi farmaci sono in grado di legarsi al sito di legame per l'ATP della proteina BRAF mutata e di bloccare la via di segnale delle MAPK e, di conseguenza, di inibire la proliferazione cellulare. Dagli studi clinici emerge come sia il vemurafenib che il dabrafenib in monoterapia siano in grado di aumentare la sopravvivenza libera da progressione (PFS) in pazienti con melanoma metastatico con mutazioni di BRAF, rispettivamente, di 5,3 e 6,7 mesi. I principali eventi avversi sviluppati in seguito al trattamento con questi farmaci sono tossicità cutanea (principalmente lo sviluppo di carcinoma cutaneo a cellule squamose, cheratoacantoma, ipercheratosi), affaticamento, artralgie (2). Circa il 10-15% dei pazienti con mutazioni di BRAF non risponde alla terapia con inibitori di BRAF e i pazienti che invece inizialmente rispondono mostrano nuovamente segni di progressione tumorale dopo 6-8 mesi di trattamento. Questo è dovuto nel primo caso a una resistenza intrinseca/primaria associata a caratteristiche molecolari preesistenti, nel secondo caso allo sviluppo di una resistenza acquisita/secondaria al trattamento. Una possibile strategia terapeutica per superare questo problema potrebbe essere la combinazione di questi farmaci con inibitori di MEK, come il trametinib in associazione al dabrafenib o il cobimetinib in associazione al vemurafenib. Le mutazioni di BRAF sono state identificate, oltre che nel melanoma, in diversi tipi di tumori, tra cui il cancro del colon-retto, il carcinoma polmonare non a piccole cellule, il carcinoma papillare della tiroide, il mieloma multiplo, l'istiocitosi a cellule di Langerhans, la malattia di Erdheim-Chester. Recenti basket study con inibitori di BRAF nel trattamento di diverse forme tumorali hanno mostrato un miglioramento dei sintomi e una regressione della malattia, soprattutto nei pazienti con carcinoma polmonare, malattia di Erdheim-Chester e istiocitosi a cellule di Langerhans trattati con vemurafenib e nei pazienti con metastasi cerebrali derivate da melanoma trattati con dabrafenib, lasciando quindi intravedere possibili futuri utilizzi di questi farmaci (3). 1) Davies H. et al. Mutations of the BRAF gene in human cancer. Nature . 2002; 417: 949-954 2) Flaherty K.T. et al. Inhibition of mutated, activated BRAF in metastatic melanoma. The New England journal of medicine. 2010; 363: 809-819 3) Long G.V. et al. Combined BRAF and MEK inhibition versus BRAF inhibition alone in melanoma. The New England journal of medicine. 2014; 371: 1877-1888File | Dimensione | Formato | |
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