La tesi si propone di analizzare il rito abbreviato sotto l'angolo visuale della sua ratio deflattiva. Pertanto, la trattazione si apre con un primo capitolo espressamente dedicato all'emergenza deflattiva condizionante le scelte processuali del legislatore italiano, ripetutamente chiamato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ad un'effettiva tutela del diritto dell'imputato alla definizione del processo in tempi ragionevoli ex art. 6 CEDU. Analizzata l'introduzione, in chiave di garanzia oggettiva, del suddetto principio all'art. 111 Cost., e prese in considerazione le principali vie deflattive percorribili dal legislatore, si passa alla specifica trattazione dei riti predibattimentali e del loro problematico rapporto con i principi del ¿giusto processo¿. Il secondo capitolo verte sulla creazione normativa del giudizio abbreviato, rito disciplinato al fine di garantire quel risparmio di risorse processuali necessario per scongiurare la paralisi dell'ordinamento. L'analisi specifica dei presupposti per la conversione del rito permette di ripercorrere l'evoluzione giurisprudenziale del giudizio abbreviato determinata dalla Corte costituzionale, per cui il carattere deflattivo veniva messo progressivamente in secondo piano rispetto al riconoscimento del diritto dell'imputato allo sconto di pena. Al centro dei presupposti della conversione era collocata la definibilità allo stato degli atti, la cui sussistenza avrebbe comportato l'illegittimità dell'esclusione dell'imputato dal rito alternativo, sia che questa fosse stata conseguenza del dissenso del Pubblico ministero che di una valutazione negativa del Giudice. La sentenza n. 23 del 1992 veniva, quindi, a prevedere un controllo del Giudice dibattimentale in ordine alla pregressa ammissibilità della richiesta, con eventuale applicazione dello sconto di pena al termine del dibattimento. La scissione tra premialità e deflazione era suscettibile di determinare il passaggio del giudizio abbreviato da una concezione negoziale ad un atto unilaterale dell'imputato. Era, tuttavia, sulle prove valutabili dal Giudice e sul meccanismo di ¿blocco degli atti¿ che si verificavano i maggiori contrasti in dottrina. La definibilità allo stato degli atti aveva l'effetto di legittimare il rigetto della conversione sulla base dell'arbitraria incompletezza delle indagini del Pubblico ministero, con conseguente deriva incostituzionale. Un meccanismo di integrazione probatoria era a tal fine indicato dalla Consulta quale rimedio idoneo a garantire la legittimità della disciplina del rito. Il terzo capitolo mira a fare luce sulla riforma attuata con la legge n. 479 del 1999, apparentemente risposta ai moniti della Corte costituzionale, ma finalizzata specificamente a ripristinare il rapporto inscindibile tra premialità del rito ed effetto deflattivo. In tal senso viene analizzata l'eliminazione di tutti i presupposti di ammissibilità del rito (ad eccezione della richiesta dell'imputato), volta ad favorire la rinuncia alla fase dibattimentale. Obbligata risulta poi la trattazione del rapporto di tale incremento esasperato dell'ammissibilità del rito abbreviato con la regola del contraddittorio ¿per la prova¿, intesa quale metodo epistemologico insostituibile. L'esito di tale analisi è il riconoscimento del potere di integrazione probatoria, introdotto all'art. 441 comma 5 c.p.p., quale ¿pilastro¿ gnoseologico del ¿nuovo¿ giudizio abbreviato e, al tempo stesso, potenziale fattore di derive inquisitorie.
Deflazione processuale e giudizio abbreviato nell'ordinamento processuale italiano.
DALY, ANDREA
2011/2012
Abstract
La tesi si propone di analizzare il rito abbreviato sotto l'angolo visuale della sua ratio deflattiva. Pertanto, la trattazione si apre con un primo capitolo espressamente dedicato all'emergenza deflattiva condizionante le scelte processuali del legislatore italiano, ripetutamente chiamato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ad un'effettiva tutela del diritto dell'imputato alla definizione del processo in tempi ragionevoli ex art. 6 CEDU. Analizzata l'introduzione, in chiave di garanzia oggettiva, del suddetto principio all'art. 111 Cost., e prese in considerazione le principali vie deflattive percorribili dal legislatore, si passa alla specifica trattazione dei riti predibattimentali e del loro problematico rapporto con i principi del ¿giusto processo¿. Il secondo capitolo verte sulla creazione normativa del giudizio abbreviato, rito disciplinato al fine di garantire quel risparmio di risorse processuali necessario per scongiurare la paralisi dell'ordinamento. L'analisi specifica dei presupposti per la conversione del rito permette di ripercorrere l'evoluzione giurisprudenziale del giudizio abbreviato determinata dalla Corte costituzionale, per cui il carattere deflattivo veniva messo progressivamente in secondo piano rispetto al riconoscimento del diritto dell'imputato allo sconto di pena. Al centro dei presupposti della conversione era collocata la definibilità allo stato degli atti, la cui sussistenza avrebbe comportato l'illegittimità dell'esclusione dell'imputato dal rito alternativo, sia che questa fosse stata conseguenza del dissenso del Pubblico ministero che di una valutazione negativa del Giudice. La sentenza n. 23 del 1992 veniva, quindi, a prevedere un controllo del Giudice dibattimentale in ordine alla pregressa ammissibilità della richiesta, con eventuale applicazione dello sconto di pena al termine del dibattimento. La scissione tra premialità e deflazione era suscettibile di determinare il passaggio del giudizio abbreviato da una concezione negoziale ad un atto unilaterale dell'imputato. Era, tuttavia, sulle prove valutabili dal Giudice e sul meccanismo di ¿blocco degli atti¿ che si verificavano i maggiori contrasti in dottrina. La definibilità allo stato degli atti aveva l'effetto di legittimare il rigetto della conversione sulla base dell'arbitraria incompletezza delle indagini del Pubblico ministero, con conseguente deriva incostituzionale. Un meccanismo di integrazione probatoria era a tal fine indicato dalla Consulta quale rimedio idoneo a garantire la legittimità della disciplina del rito. Il terzo capitolo mira a fare luce sulla riforma attuata con la legge n. 479 del 1999, apparentemente risposta ai moniti della Corte costituzionale, ma finalizzata specificamente a ripristinare il rapporto inscindibile tra premialità del rito ed effetto deflattivo. In tal senso viene analizzata l'eliminazione di tutti i presupposti di ammissibilità del rito (ad eccezione della richiesta dell'imputato), volta ad favorire la rinuncia alla fase dibattimentale. Obbligata risulta poi la trattazione del rapporto di tale incremento esasperato dell'ammissibilità del rito abbreviato con la regola del contraddittorio ¿per la prova¿, intesa quale metodo epistemologico insostituibile. L'esito di tale analisi è il riconoscimento del potere di integrazione probatoria, introdotto all'art. 441 comma 5 c.p.p., quale ¿pilastro¿ gnoseologico del ¿nuovo¿ giudizio abbreviato e, al tempo stesso, potenziale fattore di derive inquisitorie.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/71653