Non è possibile conoscere il carcere se non si dedica attenzione alla figura del personale di custodia. Eppure, questa figura fatica a suscitare l'interesse anche della sociologia del penitenziario, soprattutto nel contesto italiano, e la mancanza di ricerche rischia di minare la comprensione del carcere, rendendo fallimentare ogni sforzo di riformarlo. Pertanto, l'obiettivo della presente trattazione è di tentare di inquadrare la figura del personale di custodia nell'ambito della sociologia del diritto, tratteggiandone le caratteristiche principali del ruolo. Nel primo capitolo si è esaminata la letteratura scientifica che si è dedicata esclusivamente a questa figura professionale. Dalla comparazione delle ricerche, provenienti soprattutto dal contesto internazionale, emergono alcuni aspetti del ruolo degli agenti su cui la letteratura torna ripetutamente: la cultura organizzativa e professionale, in termini di binomio fra custodia e trattamento, e la configurazione di un lavoro il cui prodotto primario consiste, più che nel mantenimento di ordine, custodia e sicurezza, nel relazionarsi con chi è privato della libertà personale. In particolare, affiorano spesso tre dimensioni della relazione: la difficoltà di costruire un rapporto basato sulla fiducia; il potere come elemento pervasivo della vita carceraria ed infine il delicato rapporto fra le norme che disciplinano la vita del penitenziario e l'esercizio della discrezionalità da parte degli agenti. Da questi studi emerge che il ruolo ricoperto da queste figure professionali è complesso, motivo per cui si è scelto di dedicare il secondo capitolo alle ricerche sugli effetti del lavoro in carcere, analizzando studi sui fattori di stress e sulle conseguenti reazioni, fra le quali spicca, tra le più gravi, la sindrome del burnout. Nel contesto italiano, alcune ricerche svolte sia in ambito accademico, sia dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, hanno tentato di prospettare possibili soluzioni al problema del disagio lavorativo, nonostante la strada da percorrere in tema di prevenzione di quest'ultimo, e di promozione del benessere organizzativo, sia ancora lunga. Infine buona parte di quanto approfondito nei primi due capitoli si è riscontrato nella produzione letteraria autobiografica degli agenti analizzata nel terzo capitolo, che ha quindi confermato la difficoltà di un lavoro che riflette parte delle contraddizioni del contesto in cui è svolto. Quindi, dall'analisi del materiale consultato, si possono rilevare alcune considerazioni sul ruolo del custode. La prima è che è un ruolo che soffre, oltre che per le difficoltà intrinseche di una professione che consiste nel vigilare sulla reclusione di altre persone, anche per la scarsa considerazione di cui gode nella società e per le condizioni lavorative ed organizzative piuttosto critiche. La seconda, conseguenza della prima, è che il lavoro svolto, che si esprime prevalentemente sul piano delle relazioni con le persone detenute, rischia di essere fortemente compromesso, determinando la sofferenza dell'istituzione nel suo complesso. Nella vastità del problema della situazione carceraria, mettere al centro della ricerca la condizione di questi fondamentali soggetti del sistema costituisce dunque un valido punto di partenza per coglierne tutta la complessità ed individuare ipotesi di intervento.
Carcere e letteratura: la figura del custode
LAJOLO, ELISA
2014/2015
Abstract
Non è possibile conoscere il carcere se non si dedica attenzione alla figura del personale di custodia. Eppure, questa figura fatica a suscitare l'interesse anche della sociologia del penitenziario, soprattutto nel contesto italiano, e la mancanza di ricerche rischia di minare la comprensione del carcere, rendendo fallimentare ogni sforzo di riformarlo. Pertanto, l'obiettivo della presente trattazione è di tentare di inquadrare la figura del personale di custodia nell'ambito della sociologia del diritto, tratteggiandone le caratteristiche principali del ruolo. Nel primo capitolo si è esaminata la letteratura scientifica che si è dedicata esclusivamente a questa figura professionale. Dalla comparazione delle ricerche, provenienti soprattutto dal contesto internazionale, emergono alcuni aspetti del ruolo degli agenti su cui la letteratura torna ripetutamente: la cultura organizzativa e professionale, in termini di binomio fra custodia e trattamento, e la configurazione di un lavoro il cui prodotto primario consiste, più che nel mantenimento di ordine, custodia e sicurezza, nel relazionarsi con chi è privato della libertà personale. In particolare, affiorano spesso tre dimensioni della relazione: la difficoltà di costruire un rapporto basato sulla fiducia; il potere come elemento pervasivo della vita carceraria ed infine il delicato rapporto fra le norme che disciplinano la vita del penitenziario e l'esercizio della discrezionalità da parte degli agenti. Da questi studi emerge che il ruolo ricoperto da queste figure professionali è complesso, motivo per cui si è scelto di dedicare il secondo capitolo alle ricerche sugli effetti del lavoro in carcere, analizzando studi sui fattori di stress e sulle conseguenti reazioni, fra le quali spicca, tra le più gravi, la sindrome del burnout. Nel contesto italiano, alcune ricerche svolte sia in ambito accademico, sia dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, hanno tentato di prospettare possibili soluzioni al problema del disagio lavorativo, nonostante la strada da percorrere in tema di prevenzione di quest'ultimo, e di promozione del benessere organizzativo, sia ancora lunga. Infine buona parte di quanto approfondito nei primi due capitoli si è riscontrato nella produzione letteraria autobiografica degli agenti analizzata nel terzo capitolo, che ha quindi confermato la difficoltà di un lavoro che riflette parte delle contraddizioni del contesto in cui è svolto. Quindi, dall'analisi del materiale consultato, si possono rilevare alcune considerazioni sul ruolo del custode. La prima è che è un ruolo che soffre, oltre che per le difficoltà intrinseche di una professione che consiste nel vigilare sulla reclusione di altre persone, anche per la scarsa considerazione di cui gode nella società e per le condizioni lavorative ed organizzative piuttosto critiche. La seconda, conseguenza della prima, è che il lavoro svolto, che si esprime prevalentemente sul piano delle relazioni con le persone detenute, rischia di essere fortemente compromesso, determinando la sofferenza dell'istituzione nel suo complesso. Nella vastità del problema della situazione carceraria, mettere al centro della ricerca la condizione di questi fondamentali soggetti del sistema costituisce dunque un valido punto di partenza per coglierne tutta la complessità ed individuare ipotesi di intervento.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/71472