Il presente lavoro di tesi si propone di riflettere sulle scritture del tempo nel cinema italiano dei primi anni Sessanta. In particolare concentra la sua attenzione su L'avventura (Michelangelo Antonioni, 1960), La dolce vita (Federico Fellini, 1960) e Rocco e i suoi fratelli (Luchino Visconti, 1960). Questi tre film si collocano in un segmento di storia italiana segnato profondamente dalle trasformazioni del boom economico. E' per questo motivo che lavoreremo mettendo in strettissima connessione le opere cinematografiche al loro contesto storico di appartenenza, a partire da un approccio metodologico che legga nella forma filmica la metabolizzazione di stati esperienziali e contestuali. L'avventura, La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli fanno sistema in quanto lavorano nel medesimo quadro discorsivo che fa del linguaggio della crisi una sorta di manifesto programmatico. In particolare, problematizzeremo il concetto di tempo filmico, classicamente utilizzato come elemento costitutivo per la rappresentazione di storie e di fatti organizzati a priori, rivelando, piuttosto, come in questi film esso risulti aperto e incompiuto. E' in questo senso che esso diventa indice di significato di un più grande malessere esistenziale. Dopo un'introduttiva ricognizione in merito ad alcune questioni preliminari sulla temporalità, ci appoggeremo al pensiero di Gilles Deleuze per ragionare su come il tempo, liberato dal suo ruolo funzionale rappresentativo, acquisisca valori nuovi. Il primo livello di analisi si soffermerà sui singoli film a partire da una minuziosa scansione temporale che utilizzerà le categorie di Génette per sistematizzare le specificità di ciascun film. Un secondo livello di analisi proporrà alcuni punti di convergenza temporale tra i film. In primis tutti e tre i film rimandano in modo diretto alla contemporaneità. In particolare, noteremo, poi, come essi fondino il tempo narrativo a partire da una sostanziale rottura del legame tra uomo e mondo, che si rappresenta in una struttura narrativa de-costruita, con finale aperto, che sembra non avere un'organizzazione e una necessità temporali, ma che segue l'accostamento casuale degli avvenimenti. In queste storie il tempo è dedicato, soprattutto, alla descrizione. La prima conseguenza rintracciabile è quella che potremmo definire come una presentificazione narrativa, cioè una messa in forma filmica in un costante apparente presente dai connotati indefiniti (quasi un'assenza di tempo), che, priva di flashback e flashforward, si fonda sulla durata dell'inquadratura. La seconda conseguenza è che il personaggio, attraverso il suo vagare, diventa il veicolo della storia e, da agente che opera per modificare il corso degli eventi, si trasforma in veggente, osservando più che partecipando. Concluderemo, infine, raccogliendo le riflessioni a cui siamo giunti, per rilanciarle su corpus di film più ampio e dimostrare, così, che la nostra riflessione non si limita ad alcuni casi isolati, ma funziona anche nello studio e nell'osservazione di altri testi filmici italiani dei primi anni Sessanta. Il contesto diventa, in questo senso, generificatore di forme filmiche dalle caratteristiche analoghe. In particolare, ragioneremo sulle scritture del tempo di Risate di gioia (Mario Monicelli, 1960), La ragazza con la valigia (Valerio Zurlini, 1961), Il sorpasso (Dino Risi, 1962), La voglia matta (Luciano Salce, 1962), La noia (Damiano Damiani, 1963) e Io la conoscevo bene (Antonio Pietrangeli, 1965).

SCRITTURE DEL TEMPO NEL CINEMA ITALIANO DEI PRIMI ANNI '6O: LINEE PER UN'ANALISI DE L'AVVENTURA, LA DOLCE VITA E ROCCO E I SUOI FRATELLI

IZZO, LUISA
2009/2010

Abstract

Il presente lavoro di tesi si propone di riflettere sulle scritture del tempo nel cinema italiano dei primi anni Sessanta. In particolare concentra la sua attenzione su L'avventura (Michelangelo Antonioni, 1960), La dolce vita (Federico Fellini, 1960) e Rocco e i suoi fratelli (Luchino Visconti, 1960). Questi tre film si collocano in un segmento di storia italiana segnato profondamente dalle trasformazioni del boom economico. E' per questo motivo che lavoreremo mettendo in strettissima connessione le opere cinematografiche al loro contesto storico di appartenenza, a partire da un approccio metodologico che legga nella forma filmica la metabolizzazione di stati esperienziali e contestuali. L'avventura, La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli fanno sistema in quanto lavorano nel medesimo quadro discorsivo che fa del linguaggio della crisi una sorta di manifesto programmatico. In particolare, problematizzeremo il concetto di tempo filmico, classicamente utilizzato come elemento costitutivo per la rappresentazione di storie e di fatti organizzati a priori, rivelando, piuttosto, come in questi film esso risulti aperto e incompiuto. E' in questo senso che esso diventa indice di significato di un più grande malessere esistenziale. Dopo un'introduttiva ricognizione in merito ad alcune questioni preliminari sulla temporalità, ci appoggeremo al pensiero di Gilles Deleuze per ragionare su come il tempo, liberato dal suo ruolo funzionale rappresentativo, acquisisca valori nuovi. Il primo livello di analisi si soffermerà sui singoli film a partire da una minuziosa scansione temporale che utilizzerà le categorie di Génette per sistematizzare le specificità di ciascun film. Un secondo livello di analisi proporrà alcuni punti di convergenza temporale tra i film. In primis tutti e tre i film rimandano in modo diretto alla contemporaneità. In particolare, noteremo, poi, come essi fondino il tempo narrativo a partire da una sostanziale rottura del legame tra uomo e mondo, che si rappresenta in una struttura narrativa de-costruita, con finale aperto, che sembra non avere un'organizzazione e una necessità temporali, ma che segue l'accostamento casuale degli avvenimenti. In queste storie il tempo è dedicato, soprattutto, alla descrizione. La prima conseguenza rintracciabile è quella che potremmo definire come una presentificazione narrativa, cioè una messa in forma filmica in un costante apparente presente dai connotati indefiniti (quasi un'assenza di tempo), che, priva di flashback e flashforward, si fonda sulla durata dell'inquadratura. La seconda conseguenza è che il personaggio, attraverso il suo vagare, diventa il veicolo della storia e, da agente che opera per modificare il corso degli eventi, si trasforma in veggente, osservando più che partecipando. Concluderemo, infine, raccogliendo le riflessioni a cui siamo giunti, per rilanciarle su corpus di film più ampio e dimostrare, così, che la nostra riflessione non si limita ad alcuni casi isolati, ma funziona anche nello studio e nell'osservazione di altri testi filmici italiani dei primi anni Sessanta. Il contesto diventa, in questo senso, generificatore di forme filmiche dalle caratteristiche analoghe. In particolare, ragioneremo sulle scritture del tempo di Risate di gioia (Mario Monicelli, 1960), La ragazza con la valigia (Valerio Zurlini, 1961), Il sorpasso (Dino Risi, 1962), La voglia matta (Luciano Salce, 1962), La noia (Damiano Damiani, 1963) e Io la conoscevo bene (Antonio Pietrangeli, 1965).
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