Ciò che gli inni dell'Atharva Veda permettono di ricostruire con maggiore chiarezza è il rapporto che gli antichi poeti avevano instaurato con le divinità, ciò sopratutto attraverso i loro riti magici. A differenza di quanto risulta da altri testi, non era considerato sufficiente conoscere semplicemente l'ordine sequenziale nel quale compiere i gesti e i versi coi quali accompagnarli, al contrario era dovere del sacerdote conoscere anche il significato di quelle opere e parole. Ciò che rende affascinante lo studio dei Veda è lo spirito di ricerca che indubbiamente li pervade: ogni sacerdote aveva infatti la consapevolezza di poter superare in abilità e saggezza i suoi rivali, se solo gli dèi lo avessero aiutato. L'Atharva Veda può essere descritto anche come una storia dei rapporti fra due classi di esseri, da una parte i sacerdoti e i poeti e dall'altra le divinità. Di fatto uomini e dèi si incontravano sul terreno sacrificale per scambiarsi dei doni: spesso però le richieste dei sacerdoti non si limitavano ai beni materiali, i poeti vedici cercavano di ottenere dalle divinità anche nuove conoscenze che potessero renderli uomini più saggi e sacerdoti più potenti. All'origine di questo lavoro c'è la volontà di descrivere con maggiore chiarezza il ruolo della conoscenza nei rapporti tra l'uomo e gli dèi, nel tentativo di comprendere non soltanto il modo in cui si sperava di ottenerle, analizzando le richieste e le suppliche presenti negli inni, e il modo in cui quelle erano trasmesse (anche le conoscenze viaggiavano nelle due direzioni), ma sopratutto il modo in cui la ricerca della conoscenza influenzava la natura del rapporto con le divinità. Si propone l'analisi delle due radici verbali più comuni per indicare l'atto del conoscere tanto dell'uomo che della divinità, ossia √vid e √jñā e loro derivati. Allo studio delle due radici si è scelto di affiancare quello del termine dhī́, per il ruolo tanto importante di questo concetto nel meccanismo di trasmissione della conoscenza, dalle divinità verso l'uomo. Si è poi cercato di individuare gli oggetti sui quali si applicava la ricerca dei poeti vedici: il contesto del rito, nel quale si è cercato di ricostruire il ruolo assunto dallo scambio di conoscenze nel perfezionamento del rito stesso; l'ambito della riflessione sul linguaggio, il problema della ricerca di una sua sempre migliore comprensione, ma anche il rapporto tra conoscenza della lingua e conoscenza della realtà; la speculazione sulla natura del cosmo, quindi la ricerca di un concetto, figura o ente in grado di riassumere in sé l'intero cosmo e valere come fondamento di tutto l'esistente; infine la riflessione sul ruolo dell'uomo nel cosmo, seguita alla scoperta di una conoscenza capace di ridisegnare i rapporti fra l'uomo e il dio, ponendo in discussione il rapporto di subalternità del primo e donandogli l'occasione di conquistarsi il cielo e una vita divina. L'atteggiamento di sottomissione accettato durante il rito, ovvio nel momento in cui attraverso le offerte si supplicano gli dèi di realizzare i propri desideri, scomparì quando gli uomini si calarono nel ruolo di discepoli scegliendo gli stessi dèi come maestri. A quel punto emergeva senz'altro l'umiltà di colui che onora il maestro riconoscendolo come superiore per saggezza, ma era altrettanto presente la consapevolezza che il periodo di insegnamento giunge a termine e il discepolo ha tutto il diritto di tentare di superare il maestro, prendendone il posto.

Dall'emancipazione dal rito alla conquista del cielo nell'Atharva Veda.

DORE, MORENO
2009/2010

Abstract

Ciò che gli inni dell'Atharva Veda permettono di ricostruire con maggiore chiarezza è il rapporto che gli antichi poeti avevano instaurato con le divinità, ciò sopratutto attraverso i loro riti magici. A differenza di quanto risulta da altri testi, non era considerato sufficiente conoscere semplicemente l'ordine sequenziale nel quale compiere i gesti e i versi coi quali accompagnarli, al contrario era dovere del sacerdote conoscere anche il significato di quelle opere e parole. Ciò che rende affascinante lo studio dei Veda è lo spirito di ricerca che indubbiamente li pervade: ogni sacerdote aveva infatti la consapevolezza di poter superare in abilità e saggezza i suoi rivali, se solo gli dèi lo avessero aiutato. L'Atharva Veda può essere descritto anche come una storia dei rapporti fra due classi di esseri, da una parte i sacerdoti e i poeti e dall'altra le divinità. Di fatto uomini e dèi si incontravano sul terreno sacrificale per scambiarsi dei doni: spesso però le richieste dei sacerdoti non si limitavano ai beni materiali, i poeti vedici cercavano di ottenere dalle divinità anche nuove conoscenze che potessero renderli uomini più saggi e sacerdoti più potenti. All'origine di questo lavoro c'è la volontà di descrivere con maggiore chiarezza il ruolo della conoscenza nei rapporti tra l'uomo e gli dèi, nel tentativo di comprendere non soltanto il modo in cui si sperava di ottenerle, analizzando le richieste e le suppliche presenti negli inni, e il modo in cui quelle erano trasmesse (anche le conoscenze viaggiavano nelle due direzioni), ma sopratutto il modo in cui la ricerca della conoscenza influenzava la natura del rapporto con le divinità. Si propone l'analisi delle due radici verbali più comuni per indicare l'atto del conoscere tanto dell'uomo che della divinità, ossia √vid e √jñā e loro derivati. Allo studio delle due radici si è scelto di affiancare quello del termine dhī́, per il ruolo tanto importante di questo concetto nel meccanismo di trasmissione della conoscenza, dalle divinità verso l'uomo. Si è poi cercato di individuare gli oggetti sui quali si applicava la ricerca dei poeti vedici: il contesto del rito, nel quale si è cercato di ricostruire il ruolo assunto dallo scambio di conoscenze nel perfezionamento del rito stesso; l'ambito della riflessione sul linguaggio, il problema della ricerca di una sua sempre migliore comprensione, ma anche il rapporto tra conoscenza della lingua e conoscenza della realtà; la speculazione sulla natura del cosmo, quindi la ricerca di un concetto, figura o ente in grado di riassumere in sé l'intero cosmo e valere come fondamento di tutto l'esistente; infine la riflessione sul ruolo dell'uomo nel cosmo, seguita alla scoperta di una conoscenza capace di ridisegnare i rapporti fra l'uomo e il dio, ponendo in discussione il rapporto di subalternità del primo e donandogli l'occasione di conquistarsi il cielo e una vita divina. L'atteggiamento di sottomissione accettato durante il rito, ovvio nel momento in cui attraverso le offerte si supplicano gli dèi di realizzare i propri desideri, scomparì quando gli uomini si calarono nel ruolo di discepoli scegliendo gli stessi dèi come maestri. A quel punto emergeva senz'altro l'umiltà di colui che onora il maestro riconoscendolo come superiore per saggezza, ma era altrettanto presente la consapevolezza che il periodo di insegnamento giunge a termine e il discepolo ha tutto il diritto di tentare di superare il maestro, prendendone il posto.
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