Questo studio intende analizzare le diverse soluzioni espositive adottate in Galleria Sabauda, da fine Ottocento agli anni Novanta del Novecento, per il nucleo pittorico fiammingo-olandese, in parallelo al crescere di un interesse critico per la raccolta nell'ambito degli studi piemontesi. La ricerca si sviluppa dal periodo della ¿Ricostruzione¿ postbellica: si analizza sia lo scritto del 1952 di Carlo Aru sui primitivi fiamminghi in Sabauda, tentando di definire soprattutto il contesto culturale entro il quale si inserisce questo studio, sia l'allestimento del 1959 in Galleria Sabauda di Noemi Gabrielli, in particolare per quanto riguarda il nucleo pittorico fiammingo- olandese. Un confronto con le diverse soluzioni espositive adottate in Galleria Sabauda per queste opere, a partire da fine Ottocento fino agli anni Novanta del Novecento, consente di delineare il percorso evolutivo della disciplina museologica nel corso degli anni. In parallelo al crescere della fortuna museologica di questa scuola pittorica, si delinea l'avanzamento critico nell'ambito degli studi piemontesi. Segue un approfondimento su alcune opere dei primitivi fiamminghi esposti in Galleria Sabauda: l'analisi è circoscritta alle vicende collezionistiche e alla fortuna critica-espositiva, sviluppatasi tra gli inizi e gli anni Cinquanta del Novecento, con ulteriori riferimenti alle recenti mostre. La seconda parte di questa ricerca sviluppa il tema della cultura quattro-cinquecentesca fiamminga presente, già tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, in Piemonte. L'indagine si snoda attraverso l'intero territorio regionale, che dal tardo Medioevo accoglie elementi propri della pittura fiamminga. Si individuano in particolare due aree che testimoniano un'entusiastica adesione ai nuovi modelli fiamminghi: il territorio chierese e il Marchesato di Saluzzo. Si analizza innanzitutto il contesto chierese, tentando di ricostruire il percorso storico-critico delle opere approdate nella città grazie ai membri della famiglia Villa, nonché di valutare l'interesse suscitato da questi dipinti fiamminghi nell'ambito degli studi piemontesi nel corso degli anni. Uno sguardo è inoltre rivolto al territorio del Monregalese: le testimonianze fiamminghe commissionate in Fiandra, a cavallo del XV e XVI secolo, dalla famiglia dei banchieri Pensa di Mondovì, ad artisti tuttora sconosciuti, rappresentano un ulteriore esempio dell'influenza della pittura fiamminga nel territorio piemontese. In seguito si analizza il territorio del Marchesato di Saluzzo che si caratterizza per la produzione pittorica di un artista educato su dati di cultura settentrionale, attivo nell'ultimo quarto del XV secolo: si tratta di Hans Clemer, o Maestro d'Elva, dal paese in cui si conserva il suo più importante ciclo di affreschi. In conclusione, uno spazio è riservato all'analisi della situazione figurativa nel bacino del Mediterraneo durante il XV secolo, al fine di ampliare le dinamiche culturali di riferimento, nonché di valutare il livello di aggiornamento nei confronti del nuovo linguaggio fiammingo al di fuori del territorio regionale: si prendono in considerazione l'esperienza genovese di Donato de' Bardi e alcuni esempi di pittura spagnola e francese.
Fortuna critica e museologica della pittura fiamminga in Piemongte
LANFRANCO, FABIANA
2009/2010
Abstract
Questo studio intende analizzare le diverse soluzioni espositive adottate in Galleria Sabauda, da fine Ottocento agli anni Novanta del Novecento, per il nucleo pittorico fiammingo-olandese, in parallelo al crescere di un interesse critico per la raccolta nell'ambito degli studi piemontesi. La ricerca si sviluppa dal periodo della ¿Ricostruzione¿ postbellica: si analizza sia lo scritto del 1952 di Carlo Aru sui primitivi fiamminghi in Sabauda, tentando di definire soprattutto il contesto culturale entro il quale si inserisce questo studio, sia l'allestimento del 1959 in Galleria Sabauda di Noemi Gabrielli, in particolare per quanto riguarda il nucleo pittorico fiammingo- olandese. Un confronto con le diverse soluzioni espositive adottate in Galleria Sabauda per queste opere, a partire da fine Ottocento fino agli anni Novanta del Novecento, consente di delineare il percorso evolutivo della disciplina museologica nel corso degli anni. In parallelo al crescere della fortuna museologica di questa scuola pittorica, si delinea l'avanzamento critico nell'ambito degli studi piemontesi. Segue un approfondimento su alcune opere dei primitivi fiamminghi esposti in Galleria Sabauda: l'analisi è circoscritta alle vicende collezionistiche e alla fortuna critica-espositiva, sviluppatasi tra gli inizi e gli anni Cinquanta del Novecento, con ulteriori riferimenti alle recenti mostre. La seconda parte di questa ricerca sviluppa il tema della cultura quattro-cinquecentesca fiamminga presente, già tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, in Piemonte. L'indagine si snoda attraverso l'intero territorio regionale, che dal tardo Medioevo accoglie elementi propri della pittura fiamminga. Si individuano in particolare due aree che testimoniano un'entusiastica adesione ai nuovi modelli fiamminghi: il territorio chierese e il Marchesato di Saluzzo. Si analizza innanzitutto il contesto chierese, tentando di ricostruire il percorso storico-critico delle opere approdate nella città grazie ai membri della famiglia Villa, nonché di valutare l'interesse suscitato da questi dipinti fiamminghi nell'ambito degli studi piemontesi nel corso degli anni. Uno sguardo è inoltre rivolto al territorio del Monregalese: le testimonianze fiamminghe commissionate in Fiandra, a cavallo del XV e XVI secolo, dalla famiglia dei banchieri Pensa di Mondovì, ad artisti tuttora sconosciuti, rappresentano un ulteriore esempio dell'influenza della pittura fiamminga nel territorio piemontese. In seguito si analizza il territorio del Marchesato di Saluzzo che si caratterizza per la produzione pittorica di un artista educato su dati di cultura settentrionale, attivo nell'ultimo quarto del XV secolo: si tratta di Hans Clemer, o Maestro d'Elva, dal paese in cui si conserva il suo più importante ciclo di affreschi. In conclusione, uno spazio è riservato all'analisi della situazione figurativa nel bacino del Mediterraneo durante il XV secolo, al fine di ampliare le dinamiche culturali di riferimento, nonché di valutare il livello di aggiornamento nei confronti del nuovo linguaggio fiammingo al di fuori del territorio regionale: si prendono in considerazione l'esperienza genovese di Donato de' Bardi e alcuni esempi di pittura spagnola e francese.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/70356