La memoria collettiva della Shoah intrattiene uno stretto legame con lo spazio, uno dei maggiori mediatori del ricordo. Quest'ultimo assume un valore primario nel passaggio alla «post-memoria», contenuto mnestico collettivo interamente veicolato culturalmente. I testimoni oculari dell'Olocausto, i sopravvissuti, muoiono e per le generazioni future si pone il compito di tramandare un ricordo che appartiene loro solo forma derivata. In questo contesto, lo spazio è oggetto di un investimento memoriale consistente: conserva, impresse come cicatrici, le tracce dello sterminio nazista e, al contempo, si presta a un lavoro di riscoperta continua. La città di Berlino costituisce a tal proposito un contesto d'analisi privilegiato: dalla costruzione di prestigiose opere architettoniche, alle numerose e micrologiche installazioni artistiche disseminate nei quartieri, lo spazio è il protagonista di poderosi sforzi anamnestici. L'opera più imponente di tale «urbanistica della memoria» è il Denkmal für die ermordeten Juden Europas, la cui analisi filosofica rappresenta il fulcro dell'intero lavoro. Esso stravolge il ruolo tradizionale dell'architettura memoriale e, nella sua colossale a-semanticità, si tramuta in un'interrogazione a tre dimensioni sullo stato mnestico contemporaneo. L'opera di Peter Eisenman materializza la scommessa sottesa al rapporto tra spazio e memoria e ne esplicita il significato: costruire uno spazio della memoria significa trasformare la città affinché passato e presente possano co-abitare. Un'operazione dal significato teorico e politico. Lo spazio geometrico della costruzione architettonica si fonde così con quello pubblico. Un'ambivalenza che si riflette nella duplice natura del Denkmal, in cui le stele di calcestruzzo appaiono inseparabili dai fiumi d'inchiostro che ne hanno accompagnato la costruzione. Oggetto di pietra e di carta, riflette il doppio legame di spazio e memoria. L'organizzazione dello spazio si rivela infatti strategica per inaugurare modalità inedite e specifiche di rielaborazione del passato. A diverse tipologie architettoniche corrispondono differenti paradigmi memoriali. In questo lavoro, che fa riferimento alla vicenda tedesca, ne vengono individuati tre: neo- tradizionalista, post-convenzionale, anti-nazionale. Il primo, riconducibile all'era politica Kohl, è caratterizzato dal recupero del passato in termini funzionali alla stabilizzazione dell'identità nazionale. Il secondo, elaborato a partire dalla riunificazione e stabilizzatosi dopo le importanti elezioni del 1998, propone una concezione normativa della memoria che diviene il criterio etico condiviso e fondamentale della Nuova Repubblica. Il terzo, formulato anch'esso a ridosso della riunificazione, persegue l'elaborazione di forme di soggettività collettiva sganciate da ogni modello nazionale. Come un filo che unisce le tappe, la relazione tra memoria e spazio veicolata dall'architettura. Quest'ultima, se rinnega la sua vocazione puramente rappresentativa e celebrativa, sconfina nell'interrogazione. Diviene inquieta, abbraccia la filosofia. In un gioco di rimandi tra arte e politica il Denkmal für die ermordeten Juden è uno dei migliori dispositivi mnestici di cui il presente dispone. Esso si pone sul crinale tra la saturazione memoriale, di cui fa tabula rasa, e l'impossibilità di indicare una via d'uscita.
la memoria della Shoah tra filosofia e architettura
DE SIMONI, SIMONA
2009/2010
Abstract
La memoria collettiva della Shoah intrattiene uno stretto legame con lo spazio, uno dei maggiori mediatori del ricordo. Quest'ultimo assume un valore primario nel passaggio alla «post-memoria», contenuto mnestico collettivo interamente veicolato culturalmente. I testimoni oculari dell'Olocausto, i sopravvissuti, muoiono e per le generazioni future si pone il compito di tramandare un ricordo che appartiene loro solo forma derivata. In questo contesto, lo spazio è oggetto di un investimento memoriale consistente: conserva, impresse come cicatrici, le tracce dello sterminio nazista e, al contempo, si presta a un lavoro di riscoperta continua. La città di Berlino costituisce a tal proposito un contesto d'analisi privilegiato: dalla costruzione di prestigiose opere architettoniche, alle numerose e micrologiche installazioni artistiche disseminate nei quartieri, lo spazio è il protagonista di poderosi sforzi anamnestici. L'opera più imponente di tale «urbanistica della memoria» è il Denkmal für die ermordeten Juden Europas, la cui analisi filosofica rappresenta il fulcro dell'intero lavoro. Esso stravolge il ruolo tradizionale dell'architettura memoriale e, nella sua colossale a-semanticità, si tramuta in un'interrogazione a tre dimensioni sullo stato mnestico contemporaneo. L'opera di Peter Eisenman materializza la scommessa sottesa al rapporto tra spazio e memoria e ne esplicita il significato: costruire uno spazio della memoria significa trasformare la città affinché passato e presente possano co-abitare. Un'operazione dal significato teorico e politico. Lo spazio geometrico della costruzione architettonica si fonde così con quello pubblico. Un'ambivalenza che si riflette nella duplice natura del Denkmal, in cui le stele di calcestruzzo appaiono inseparabili dai fiumi d'inchiostro che ne hanno accompagnato la costruzione. Oggetto di pietra e di carta, riflette il doppio legame di spazio e memoria. L'organizzazione dello spazio si rivela infatti strategica per inaugurare modalità inedite e specifiche di rielaborazione del passato. A diverse tipologie architettoniche corrispondono differenti paradigmi memoriali. In questo lavoro, che fa riferimento alla vicenda tedesca, ne vengono individuati tre: neo- tradizionalista, post-convenzionale, anti-nazionale. Il primo, riconducibile all'era politica Kohl, è caratterizzato dal recupero del passato in termini funzionali alla stabilizzazione dell'identità nazionale. Il secondo, elaborato a partire dalla riunificazione e stabilizzatosi dopo le importanti elezioni del 1998, propone una concezione normativa della memoria che diviene il criterio etico condiviso e fondamentale della Nuova Repubblica. Il terzo, formulato anch'esso a ridosso della riunificazione, persegue l'elaborazione di forme di soggettività collettiva sganciate da ogni modello nazionale. Come un filo che unisce le tappe, la relazione tra memoria e spazio veicolata dall'architettura. Quest'ultima, se rinnega la sua vocazione puramente rappresentativa e celebrativa, sconfina nell'interrogazione. Diviene inquieta, abbraccia la filosofia. In un gioco di rimandi tra arte e politica il Denkmal für die ermordeten Juden è uno dei migliori dispositivi mnestici di cui il presente dispone. Esso si pone sul crinale tra la saturazione memoriale, di cui fa tabula rasa, e l'impossibilità di indicare una via d'uscita.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/70354