Ovidio narra dell'amore incestuoso di Biblide per il fratello Cauno nel IX libro delle Metamorfosi (vv. 447-665). L'antichità conosceva diverse versioni della vicenda, ma il poeta propone una versione originale: Biblide, resasi conto del proprio sentimento per il fratello grazie a un sogno, decide di dichiararsi a lui per mezzo di una lettera. Cauno rifiuta inorridito la proposta della sorella, che tuttavia non desiste dai suoi tentativi. L'insistenza di Biblide lo costringe, quindi, ad allontanarsi dalla patria, fondando una nuova città, mentre la fanciulla, in preda al furor, si abbandona a manifestazioni di dolore e si mette in cerca del fratello. Tanto è il vagabondare della protagonista che, infine, essa giunge al termine dei boschi e si prostra a terra, nascondendo il viso tra le foglie e l'erba. Le Ninfe del luogo tentano di sollevare Biblide, per consolarla e guarirla dalla sua insana passione, ma senza risultato; quindi, esse portano una vena d'acqua sotterranea sotto le lacrime e trasformano la fanciulla in una fonte, che, conservando il nome di Biblide, sgorga sotto un leccio scuro. Le caratteristiche principali dell'episodio nelle Metamorfosi, la lettera e la trasformazione della fanciulla in fonte, sono riconducibili soltanto a Ovidio. La scelta di introdurre un'epistola nella narrazione richiama fortemente il modello delle Heroides, soprattutto delle epistole dedicate a Fedra e Canace che affrontavano il tema dell'incesto. Oltre all'affinità tematica della vicenda di Biblide rispetto a questi precedenti ovidiani, è stata osservata l'associazione del nome della protagonista con la scrittura (il nome Biblide richiama il termine greco byblos / biblos, che designa il libro nel formato del rotolo). Quanto alla metamorfosi, Ovidio mostra al lettore la possibilità di usare un elemento ben attestato nella tradizione mitologica entro una codificazione diversa, creando nuove relazioni e implicazioni poetiche: il motivo delle lacrime e della fonte era presente nella precedente tradizione mitologica. Nel caso di Ovidio, che vuole Biblide e Cauno nipoti del fiume Meandro, il riferimento alla fonte e dunque all'acqua segna il ritorno della fanciulla alle proprie origini. Il pianto, inoltre, come espressione di dolore del lutto o dell'amore, rappresenta un modulo costituzionalmente elegiaco: esso sembra assumere, nell'episodio di Biblide, il valore di un riferimento metaletterario. Dopo aver confrontato l'episodio di Biblide nelle Metamorfosi con le diverse attestazioni del mito, si propone una traduzione e un commento ad alcune parti, in cui sono declinati temi e motivi tradizionalmente elegiaci: i versi introduttivi, in cui Ovidio, con fine descrittivismo psicologico, ritrae il manifestarsi dell'amore incestuoso di Biblide (vv. 447-71), e le sezioni monologiche dell'episodio (primo monologo, vv. 472-517; epistola a Cauno, vv. 528-63; secondo monologo, vv. 585- 629). Nel corpo del commento, in particolare, sono discusse le divergenze testuali tra l'edizione di Tarrant(P. Ovidi Nasonis Metamorphoses, rec. R. J. Tarrant, Oxford 2004), e quella di W. S. Anderson (P. Ovidius Nasonis, Metamorphoses, Leipzig 1981). Infine, nell'appendice, sono inserite alcune osservazioni relative ai versi che non appartengono alle sezioni commentate.

L'episodio di Biblide nelle Metamorfosi di Ovidio

BRUNO, VALENTINA
2009/2010

Abstract

Ovidio narra dell'amore incestuoso di Biblide per il fratello Cauno nel IX libro delle Metamorfosi (vv. 447-665). L'antichità conosceva diverse versioni della vicenda, ma il poeta propone una versione originale: Biblide, resasi conto del proprio sentimento per il fratello grazie a un sogno, decide di dichiararsi a lui per mezzo di una lettera. Cauno rifiuta inorridito la proposta della sorella, che tuttavia non desiste dai suoi tentativi. L'insistenza di Biblide lo costringe, quindi, ad allontanarsi dalla patria, fondando una nuova città, mentre la fanciulla, in preda al furor, si abbandona a manifestazioni di dolore e si mette in cerca del fratello. Tanto è il vagabondare della protagonista che, infine, essa giunge al termine dei boschi e si prostra a terra, nascondendo il viso tra le foglie e l'erba. Le Ninfe del luogo tentano di sollevare Biblide, per consolarla e guarirla dalla sua insana passione, ma senza risultato; quindi, esse portano una vena d'acqua sotterranea sotto le lacrime e trasformano la fanciulla in una fonte, che, conservando il nome di Biblide, sgorga sotto un leccio scuro. Le caratteristiche principali dell'episodio nelle Metamorfosi, la lettera e la trasformazione della fanciulla in fonte, sono riconducibili soltanto a Ovidio. La scelta di introdurre un'epistola nella narrazione richiama fortemente il modello delle Heroides, soprattutto delle epistole dedicate a Fedra e Canace che affrontavano il tema dell'incesto. Oltre all'affinità tematica della vicenda di Biblide rispetto a questi precedenti ovidiani, è stata osservata l'associazione del nome della protagonista con la scrittura (il nome Biblide richiama il termine greco byblos / biblos, che designa il libro nel formato del rotolo). Quanto alla metamorfosi, Ovidio mostra al lettore la possibilità di usare un elemento ben attestato nella tradizione mitologica entro una codificazione diversa, creando nuove relazioni e implicazioni poetiche: il motivo delle lacrime e della fonte era presente nella precedente tradizione mitologica. Nel caso di Ovidio, che vuole Biblide e Cauno nipoti del fiume Meandro, il riferimento alla fonte e dunque all'acqua segna il ritorno della fanciulla alle proprie origini. Il pianto, inoltre, come espressione di dolore del lutto o dell'amore, rappresenta un modulo costituzionalmente elegiaco: esso sembra assumere, nell'episodio di Biblide, il valore di un riferimento metaletterario. Dopo aver confrontato l'episodio di Biblide nelle Metamorfosi con le diverse attestazioni del mito, si propone una traduzione e un commento ad alcune parti, in cui sono declinati temi e motivi tradizionalmente elegiaci: i versi introduttivi, in cui Ovidio, con fine descrittivismo psicologico, ritrae il manifestarsi dell'amore incestuoso di Biblide (vv. 447-71), e le sezioni monologiche dell'episodio (primo monologo, vv. 472-517; epistola a Cauno, vv. 528-63; secondo monologo, vv. 585- 629). Nel corpo del commento, in particolare, sono discusse le divergenze testuali tra l'edizione di Tarrant(P. Ovidi Nasonis Metamorphoses, rec. R. J. Tarrant, Oxford 2004), e quella di W. S. Anderson (P. Ovidius Nasonis, Metamorphoses, Leipzig 1981). Infine, nell'appendice, sono inserite alcune osservazioni relative ai versi che non appartengono alle sezioni commentate.
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