Uno dei maggiori problemi ambientali degli ultimi decenni è l’inquinamento da plastica. Questo è dovuto all’elevata produzione nel secolo passato, che, in combinazione ad un inadeguato smaltimento, hanno provocato l’accumulo nell’ambiente di questi materiali, nel quale causano l’alterazione dei cicli biogeochimici e la modifica delle comunità biotiche. Una delle soluzioni per ovviare a questo problema è stata la produzione di bioplastiche, termine ambiguo con il quale ci si riferisce sia a prodotti biodegradabili, che quindi che si degradano in tempi relativamente brevi per azione di microorganismi, sia a materiali bio-derivati, perciò ottenuti a partire da biomassa e non da fonti fossili. Una delle classi di bioplastiche più studiate è quella dei poliidrossialcanoati (PHAs), poliesteri prodotti dalla fermentazione batterica di zuccheri e lipidi. La struttura e le proprietà dei PHAs variano molto in funzione del microorganismo da cui sono stati sintetizzati, delle condizioni di biosintesi e dell’origine delle fonti di carbonio. Industrialmente i PHA vengono prodotti da fermentazione di glucosio utilizzando come coltura un ceppo singolo. Per ridurre il costo della materia prima e della biomassa microbica, e quindi il costo sul mercato dei PHAs (non competitivo con quello dei polimeri ottenuti da risorse fossili), in questa tesi sono state utilizzate biomasse lignocellulosiche di scarto e colture miste (MMC). In particolare, scarti della lavorazione del mais sono stati sottoposti a idrolisi in microonde, riducendo così il tempo necessario ad ottenere zuccheri fermentescibili da utilizzare nella successive fermentazione con un consorzio microbico prelevato da fanghi derivanti dall’industria casearia. Prove preliminari in beuta hanno permesso di ottimizzare i parametri coinvolti nella fermentazione in bioreattore. Un passaggio importante nella produzione dei PHA è il downstream, da cui dipende per circa il 50% il costo della produzione. Il primo passaggio è la separazione della biomassa cellulare dal brodo di coltura. Successivamente la biomassa può essere eventualmente pretrattata prima della fase di estrazione. Quest’ultima fase viene condotta generalmente con ipoclorito di sodio e solventi alogenati come cloroformio e diclorometano; tuttavia, sono ben noti tutti i problemi ambientali legati all’utilizzo di questa tipologia di solventi. Per rendere anche il processo di recupero dei PHAs più sostenibile, sono stati studiati in questa tesi tecnologie e solventi alternativi, come gli ultrasuoni ed i carbonati. Lo scopo di questa tesi è stato quindi quello di rendere l’intero processo di produzione dei PHAs più sostenibile, a partire dal substrato e dalla coltura, entrambi materiale di scarto, passando attraverso l’utilizzo di tecnologie non convenzionali come le microonde e gli ultrasuoni, fino allo studio di solvent green.
Produzione di poliidrossialcanoati da biomasse lignocellulosiche residuali
CIRIO, ALESSIO
2020/2021
Abstract
Uno dei maggiori problemi ambientali degli ultimi decenni è l’inquinamento da plastica. Questo è dovuto all’elevata produzione nel secolo passato, che, in combinazione ad un inadeguato smaltimento, hanno provocato l’accumulo nell’ambiente di questi materiali, nel quale causano l’alterazione dei cicli biogeochimici e la modifica delle comunità biotiche. Una delle soluzioni per ovviare a questo problema è stata la produzione di bioplastiche, termine ambiguo con il quale ci si riferisce sia a prodotti biodegradabili, che quindi che si degradano in tempi relativamente brevi per azione di microorganismi, sia a materiali bio-derivati, perciò ottenuti a partire da biomassa e non da fonti fossili. Una delle classi di bioplastiche più studiate è quella dei poliidrossialcanoati (PHAs), poliesteri prodotti dalla fermentazione batterica di zuccheri e lipidi. La struttura e le proprietà dei PHAs variano molto in funzione del microorganismo da cui sono stati sintetizzati, delle condizioni di biosintesi e dell’origine delle fonti di carbonio. Industrialmente i PHA vengono prodotti da fermentazione di glucosio utilizzando come coltura un ceppo singolo. Per ridurre il costo della materia prima e della biomassa microbica, e quindi il costo sul mercato dei PHAs (non competitivo con quello dei polimeri ottenuti da risorse fossili), in questa tesi sono state utilizzate biomasse lignocellulosiche di scarto e colture miste (MMC). In particolare, scarti della lavorazione del mais sono stati sottoposti a idrolisi in microonde, riducendo così il tempo necessario ad ottenere zuccheri fermentescibili da utilizzare nella successive fermentazione con un consorzio microbico prelevato da fanghi derivanti dall’industria casearia. Prove preliminari in beuta hanno permesso di ottimizzare i parametri coinvolti nella fermentazione in bioreattore. Un passaggio importante nella produzione dei PHA è il downstream, da cui dipende per circa il 50% il costo della produzione. Il primo passaggio è la separazione della biomassa cellulare dal brodo di coltura. Successivamente la biomassa può essere eventualmente pretrattata prima della fase di estrazione. Quest’ultima fase viene condotta generalmente con ipoclorito di sodio e solventi alogenati come cloroformio e diclorometano; tuttavia, sono ben noti tutti i problemi ambientali legati all’utilizzo di questa tipologia di solventi. Per rendere anche il processo di recupero dei PHAs più sostenibile, sono stati studiati in questa tesi tecnologie e solventi alternativi, come gli ultrasuoni ed i carbonati. Lo scopo di questa tesi è stato quindi quello di rendere l’intero processo di produzione dei PHAs più sostenibile, a partire dal substrato e dalla coltura, entrambi materiale di scarto, passando attraverso l’utilizzo di tecnologie non convenzionali come le microonde e gli ultrasuoni, fino allo studio di solvent green.File | Dimensione | Formato | |
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