L’obiettivo primario di questa trattazione è quello di fornire un contributo al tema del lavoro penitenziario, in quanto strumento cardine della rieducazione ed elemento fondante del nostro ordinamento costituzionale. Con l’emanazione della riforma dell’ordinamento penitenziario si stabilisce, infatti, che il lavoro è una componente fondamentale del trattamento dei condannati e degli internati; non ha carattere afflittivo; è remunerato e deve riflettere, nelle modalità e nelle forme di esecuzione, il lavoro libero. Sembrerebbe così definitivamente superata la concezione afflittiva del lavoro accolta in precedenza. Tuttavia, è presente un importante divario tra le norme e la loro applicazione pratica. Nelle norme, infatti, il lavoro figura tra gli elementi principali del trattamento rieducativo: lavorare permette ai soggetti di recuperare fiducia nelle proprie possibilità di costruire un futuro e consente ai detenuti di prepararsi adeguatamente al momento del rientro nella società libera, con maggiori competenze e consapevolezze. Nella realtà, invece, il lavoro è un’occasione che pochi detenuti possono cogliere: le tematiche trattate fanno emergere una triste realtà rispetto all’utilizzo di questo strumento nel contesto detentivo. Oltre a essere un mezzo essenziale per la concessione delle misure alternative alla detenzione e dare una dignità al detenuto, il lavoro riduce il rischio di recidiva e di sovraffollamento carcerario. Pertanto, occorre sensibilizzare la società, eliminare i pregiudizi e ridurre il divario tra le norme e la loro applicazione pratica, creando opportunità per ciascun detenuto, così come voluto dai nostri principi costituzionali.
IL LAVORO PENITENZIARIO. Natura, funzione e realtà occupazionale all’interno del contesto carcerario italiano.
VITOLO, ANNA CHIARA
2020/2021
Abstract
L’obiettivo primario di questa trattazione è quello di fornire un contributo al tema del lavoro penitenziario, in quanto strumento cardine della rieducazione ed elemento fondante del nostro ordinamento costituzionale. Con l’emanazione della riforma dell’ordinamento penitenziario si stabilisce, infatti, che il lavoro è una componente fondamentale del trattamento dei condannati e degli internati; non ha carattere afflittivo; è remunerato e deve riflettere, nelle modalità e nelle forme di esecuzione, il lavoro libero. Sembrerebbe così definitivamente superata la concezione afflittiva del lavoro accolta in precedenza. Tuttavia, è presente un importante divario tra le norme e la loro applicazione pratica. Nelle norme, infatti, il lavoro figura tra gli elementi principali del trattamento rieducativo: lavorare permette ai soggetti di recuperare fiducia nelle proprie possibilità di costruire un futuro e consente ai detenuti di prepararsi adeguatamente al momento del rientro nella società libera, con maggiori competenze e consapevolezze. Nella realtà, invece, il lavoro è un’occasione che pochi detenuti possono cogliere: le tematiche trattate fanno emergere una triste realtà rispetto all’utilizzo di questo strumento nel contesto detentivo. Oltre a essere un mezzo essenziale per la concessione delle misure alternative alla detenzione e dare una dignità al detenuto, il lavoro riduce il rischio di recidiva e di sovraffollamento carcerario. Pertanto, occorre sensibilizzare la società, eliminare i pregiudizi e ridurre il divario tra le norme e la loro applicazione pratica, creando opportunità per ciascun detenuto, così come voluto dai nostri principi costituzionali.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/69491