Mafia e Sicilia sono due termini indissolubilmente legati fin dai primi anni di vita del Regno d'Italia, da quando il 25 aprile 1865 la parola ¿Mafia¿ fece il suo ingresso in un documento ufficiale firmato dall'allora prefetto di Palermo Antonio Filippo Gualtiero. Per quanto la figura del ¿mafioso¿ con coppola e lupara sia ormai entrata di diritto nell'albo d'oro degli stereotipi italiani più diffusi nel mondo, l'identificazione tra Mafia e Sicilia appare frutto di una grossolana forzatura. In molti non hanno resistito alla tentazione di identificare il fenomeno mafioso con il solo territorio siciliano, convincendosi del fatto che nessuna mafia sarebbe stata possibile senza il contributo specifico della Sicilia. Una sorta di genetismo culturale applicato al fenomeno della criminalità organizzata. Ma è davvero così? È davvero utile continuare a descrivere la Mafia come un sottoprodotto della cultura siciliana, anche alla luce della sua lunga durata e del suo affrancamento dalle condizioni storico-culturali specifiche del luogo? L'obiettivo di questo lavoro è mettere in discussione il paradigma interpretativo dell'esclusività della Sicilia nella produzione del fenomeno mafioso, prendendo in esame altre tipologie di ¿Mafia¿ e confrontandole tra loro al fine di individuare una radice comune. Per fare ciò sarà necessario intraprendere un suggestivo viaggio all'interno di una mentalità mafiosa distante molti chilometri da noi e incredibilmente simile a quella che riteniamo ormai familiare. Dal Messico all'Italia indagando sul male oscuro della nostra società. Ma in che modo tali organizzazioni riescono a produrre un così vasto consenso, quando non è rispetto o paura, in popolazioni così diverse tra loro? Esistono altre motivazioni che non siano solo storiche ma che facciano leva su precisi aspetti socio-antropologici? Esiste una chiave di lettura diversa da quella storica per spiegare il fenomeno mafioso nella sua universalità? Per meglio comprendere lo sviluppo del fenomeno mafioso nelle modalità che ben conosciamo, dobbiamo capire il modo in cui esso sia riuscito a intervenire, controllandole e modificandole per i propri scopi, su precise inclinazioni dell'animo umano, le più primitive e naturali: il sentimento religioso, la necessità dell'espressione artistica, lo spirito di competizione.

Oltre i confini della violenza. Dal Messico all'Italia per la ricerca di una radice comune a tutte le mafie.

MARCIANTE, ANDREA
2013/2014

Abstract

Mafia e Sicilia sono due termini indissolubilmente legati fin dai primi anni di vita del Regno d'Italia, da quando il 25 aprile 1865 la parola ¿Mafia¿ fece il suo ingresso in un documento ufficiale firmato dall'allora prefetto di Palermo Antonio Filippo Gualtiero. Per quanto la figura del ¿mafioso¿ con coppola e lupara sia ormai entrata di diritto nell'albo d'oro degli stereotipi italiani più diffusi nel mondo, l'identificazione tra Mafia e Sicilia appare frutto di una grossolana forzatura. In molti non hanno resistito alla tentazione di identificare il fenomeno mafioso con il solo territorio siciliano, convincendosi del fatto che nessuna mafia sarebbe stata possibile senza il contributo specifico della Sicilia. Una sorta di genetismo culturale applicato al fenomeno della criminalità organizzata. Ma è davvero così? È davvero utile continuare a descrivere la Mafia come un sottoprodotto della cultura siciliana, anche alla luce della sua lunga durata e del suo affrancamento dalle condizioni storico-culturali specifiche del luogo? L'obiettivo di questo lavoro è mettere in discussione il paradigma interpretativo dell'esclusività della Sicilia nella produzione del fenomeno mafioso, prendendo in esame altre tipologie di ¿Mafia¿ e confrontandole tra loro al fine di individuare una radice comune. Per fare ciò sarà necessario intraprendere un suggestivo viaggio all'interno di una mentalità mafiosa distante molti chilometri da noi e incredibilmente simile a quella che riteniamo ormai familiare. Dal Messico all'Italia indagando sul male oscuro della nostra società. Ma in che modo tali organizzazioni riescono a produrre un così vasto consenso, quando non è rispetto o paura, in popolazioni così diverse tra loro? Esistono altre motivazioni che non siano solo storiche ma che facciano leva su precisi aspetti socio-antropologici? Esiste una chiave di lettura diversa da quella storica per spiegare il fenomeno mafioso nella sua universalità? Per meglio comprendere lo sviluppo del fenomeno mafioso nelle modalità che ben conosciamo, dobbiamo capire il modo in cui esso sia riuscito a intervenire, controllandole e modificandole per i propri scopi, su precise inclinazioni dell'animo umano, le più primitive e naturali: il sentimento religioso, la necessità dell'espressione artistica, lo spirito di competizione.
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