Può pensare una macchina? Può possedere stati cognitivi? Può comprendere il linguaggio così come lo comprendono gli esseri umani? Per rispondere a queste domande si sono prese in considerazione tre teorie, ciascuna delle quali ha trattato alcuni dei problemi che l'Intelligenza Artificiale ha affrontato (e sta affrontando) da quando è nata fino ad oggi: Wittgenstein e le problematicità legate al concetto di seguire la regola, la sua teoria del significato come uso e la sua teoria dei giochi linguistici, Fodor e la sua teoria del linguaggio del pensiero, per mezzo della quale l'autore sostiene una forte analogia tra il funzionamento della mente dell'uomo e quello della macchina, Searle e la critica all'idea delle macchine pensanti portata avanti a partire dal suo esperimento della stanza cinese e dalla sua teoria sull'intenzionalità. Fodor e Searle si inseriscono in un panorama filosofico che è sicuramente più eterogeneo rispetto a quello in cui si inserisce Wittgenstein: le loro teorie si appoggiano, ma soprattutto si completano, con l'aiuto di altre discipline quali la psicologia, intelligenza artificiale, l'informatica, la neurologia, etc, discipline che sono molto più moderne e che sfruttano mezzi e concetti che ai tempi di Wittgenstein non erano ancora presenti nei dibattiti filosofici. Molto di ciò che viene detto da Fodor e da Searle sfrutta le competenze di rami scientifici e cognitivi che negli anni di Wittgenstein non si erano ancora sviluppati a sufficienza per poter diventare parte di un dibattito teorico quale quello che si è instaurato con la nascita dell'intelligenza artificiale. Fodor e Searle hanno teorie radicalmente diverse, ma sono teorie che nascono su un terreno comune, cioè entrambe sfruttano quelle nuove conoscenze che scaturiscono da nuovi studi sulla mente umana e sui calcolatori elettronici e sulla possibilità o meno di porre una forte analogia tra queste due sfere. Cosa c'entra, a questo punto, Wittgenstein, dal momento che egli non ha mai trattato problemi di questo genere? Wittgenstein, in effetti, non si è mai interessato alla possibilità o impossibilità delle macchine pensati, ma nello sviluppo della sua teoria del linguaggio aveva colto ciò che c'è di essenziale nell'attività linguistica dell'uomo, cioè il fatto che gli uomini si comprendono tra di loro perché il linguaggio funziona in un certo modo e perché vi è una condivisione dei suoi meccanismi. Dal momento che l'analogia tra l'uomo e la macchina diventa problematica non tanto quando si parla a livello fisico ma quando si parla del problema a livello cognitivo, ciò che sembra interessante è quindi capire in che modo funziona il linguaggio per poter arrivare a rispondere se una macchina può o non può comprendere ciò che l'uomo le sta trasmettendo. Il fatto che il linguaggio sia costituito da giochi linguistici governati da regole e che questi, se si seguono correttamente, possono far nascere una prassi linguistica condivisa dagli esseri umani, può ritenersi un punto di avvio per iniziare una riflessione rivolta a capire in che modo le macchine possano venir ¿addestrate¿ come gli esseri umani per arrivare a condividere la stessa competenza semantica. I primi tre capitoli si concentreranno su ciò c'è di significativo ed essenziale nella teoria di ciascun autore, mentre l'ultimo capitolo si concentrerà sul confronto tra le teorie di Fodor e di Searle con quella di Wittgenstein.
La competenza semantica negli esseri umani e nelle macchine. Teorie a confronto.
DEGASPERI, ELEONORA ANNA
2013/2014
Abstract
Può pensare una macchina? Può possedere stati cognitivi? Può comprendere il linguaggio così come lo comprendono gli esseri umani? Per rispondere a queste domande si sono prese in considerazione tre teorie, ciascuna delle quali ha trattato alcuni dei problemi che l'Intelligenza Artificiale ha affrontato (e sta affrontando) da quando è nata fino ad oggi: Wittgenstein e le problematicità legate al concetto di seguire la regola, la sua teoria del significato come uso e la sua teoria dei giochi linguistici, Fodor e la sua teoria del linguaggio del pensiero, per mezzo della quale l'autore sostiene una forte analogia tra il funzionamento della mente dell'uomo e quello della macchina, Searle e la critica all'idea delle macchine pensanti portata avanti a partire dal suo esperimento della stanza cinese e dalla sua teoria sull'intenzionalità. Fodor e Searle si inseriscono in un panorama filosofico che è sicuramente più eterogeneo rispetto a quello in cui si inserisce Wittgenstein: le loro teorie si appoggiano, ma soprattutto si completano, con l'aiuto di altre discipline quali la psicologia, intelligenza artificiale, l'informatica, la neurologia, etc, discipline che sono molto più moderne e che sfruttano mezzi e concetti che ai tempi di Wittgenstein non erano ancora presenti nei dibattiti filosofici. Molto di ciò che viene detto da Fodor e da Searle sfrutta le competenze di rami scientifici e cognitivi che negli anni di Wittgenstein non si erano ancora sviluppati a sufficienza per poter diventare parte di un dibattito teorico quale quello che si è instaurato con la nascita dell'intelligenza artificiale. Fodor e Searle hanno teorie radicalmente diverse, ma sono teorie che nascono su un terreno comune, cioè entrambe sfruttano quelle nuove conoscenze che scaturiscono da nuovi studi sulla mente umana e sui calcolatori elettronici e sulla possibilità o meno di porre una forte analogia tra queste due sfere. Cosa c'entra, a questo punto, Wittgenstein, dal momento che egli non ha mai trattato problemi di questo genere? Wittgenstein, in effetti, non si è mai interessato alla possibilità o impossibilità delle macchine pensati, ma nello sviluppo della sua teoria del linguaggio aveva colto ciò che c'è di essenziale nell'attività linguistica dell'uomo, cioè il fatto che gli uomini si comprendono tra di loro perché il linguaggio funziona in un certo modo e perché vi è una condivisione dei suoi meccanismi. Dal momento che l'analogia tra l'uomo e la macchina diventa problematica non tanto quando si parla a livello fisico ma quando si parla del problema a livello cognitivo, ciò che sembra interessante è quindi capire in che modo funziona il linguaggio per poter arrivare a rispondere se una macchina può o non può comprendere ciò che l'uomo le sta trasmettendo. Il fatto che il linguaggio sia costituito da giochi linguistici governati da regole e che questi, se si seguono correttamente, possono far nascere una prassi linguistica condivisa dagli esseri umani, può ritenersi un punto di avvio per iniziare una riflessione rivolta a capire in che modo le macchine possano venir ¿addestrate¿ come gli esseri umani per arrivare a condividere la stessa competenza semantica. I primi tre capitoli si concentreranno su ciò c'è di significativo ed essenziale nella teoria di ciascun autore, mentre l'ultimo capitolo si concentrerà sul confronto tra le teorie di Fodor e di Searle con quella di Wittgenstein.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/67431