How to read the role and field of those who work as professionals and/or organisations in the Third Sector and in social work? What practices, strategies and perspectives is it possible to (re)trace from the voices, visions and practices that social actors operate on a daily basis? In this research work I try to formulate hypotheses and trajectories from these and other questions. I therefore attempt to unravel and, before that, reconnect the knots that run through both the challenges of public anthropology and those of social practice. The intention is to bring into dialogue and intersect seemingly distant methodologies, languages and knowledge, such as ‘theoretical’ and ‘practical’, ethnographic and educational. This intention stems from a need, first and foremost personal, to investigate how my ‘duplicity’, being an educator and anthropologist, can become and promote the intersection, rather than the separation, of knowledge and professionalism. Therefore, starting from my personal experience, from the questions constructed in the fields of the Academy and the Social, supported and stimulated by the contexts and people I have related with over the years, as well as inspired by and in dialogue with critical, committed and interdisciplinary authors and knowledge, I have attempted to (re)formulate the meaning, concepts and roles around social work today, as well as the professionals working in this field. The field in which I situate social work is the margin: a space and concept that brings out the challenges and possibilities that lie within a place and condition most often defined exclusively as problematic and at risk. The margin, I try to show, is that place of crossing and overcoming established boundaries, structures and models, it is an interstice of radical possibility. Between an expanding social market and the normalising world of project factory, Third Sector actors constantly embody and interface with the contradictions, ambiguities and shadows of our time. This posture is risky, as it tends to legitimise the status quo with restraining and paternalistic functions; but it is also one of possibility, as it unveils and witnesses current and past issues and phenomena that need to be reckoned with if we really want to bring about a change in existing systems and models and promote counter-hegemonic narratives, horizons and coexistences. The ethno-worker is the hinge figure who, albeit imperfectly and never individually, can read and deconstruct existing realities through relationships, marginality and uncertain and unstable, but no less potential, fields. From the idea of including the margin in the centre, of adapting the other to a ‘normal’ condition, we move on to that of re-imagining the geographies and models that underlie today's unequal systems, starting from the opportunities that are generated precisely from the distortions and peripheries, physical and symbolic, of the State. The methodology of street education, the ethnographic and holistic approach, teamwork, trespassing, the weak bond and the in-between become counter-hegemonic antidotes that can help to counter the dehumanising drifts of the contemporary world, to co-construct a counter-history, as well as useful to reformulate the functions assumed in power by those who work in the social field.
Come leggere il ruolo e il campo di chi opera come professionista e/o organizzazione nel Terzo Settore e nel lavoro sociale? Quali pratiche, strategie e prospettive è possibile (rin)tracciare a partire dalle voci, visioni e pratiche che gli attori del sociale operano quotidianamente? In questo lavoro di ricerca provo a formulare delle ipotesi e traiettorie a partire da queste e altre questioni. Tento perciò di sciogliere e, prima ancora, riconnettere i nodi che attraversano tanto le sfide dell’antropologia pubblica, quanto quelle della pratica sociale. L’intento è quello di far dialogare e intersecare metodologie, linguaggi e saperi apparentemente lontani, come quelli “teorici” e “pratici”, etnografici ed educativi. Tale intenzione nasce da un’esigenza, innanzitutto personale, ovverosia indagare come la mia “doppiezza”, essere educatore e antropologo, possa divenire e promuovere l’intersezione, più che la separazione, di saperi e professionalità. Perciò, a partire dalla mia esperienza personale, dalle domande costruite sui campi dell’Accademia e del Sociale, supportato e stimolato dai contesti e dalle persone con cui mi sono relazionato in questi anni, nonché ispirato e in dialogo con autori/trici e saperi critici, impegnati e interdisciplinari, ho tentato di (ri)formulare il senso, i concetti e i ruoli intorno al lavoro sociale oggi, nonché ai professionisti che operano in questo settore. Il campo nel quale situo il lavoro sociale è il margine: spazio e concetto che fa emergere le sfide e possibilità che si celano in un luogo e in una condizione il più delle volte definiti esclusivamente come problematici e a rischio. Il margine, provo a dimostrare, è quel luogo dell’attraversamento e superamento di confini, strutture e modelli stabiliti, è un interstizio di possibilità radicale. Tra un mercato del sociale in espansione e il mondo del progettificio che si normalizza, i soggetti del Terzo Settore incarnano e si interfacciano costantemente a contraddizioni, ambiguità e ombre del nostro tempo. Tale postura è rischiosa, poiché tende a legittimare lo status quo con funzioni contenitive e paternalistiche; ma è anche di possibilità, in quanto svela ed è testimone di questioni e fenomeni attuali e passati con cui è necessario fare i conti se si vuole realmente portare un cambiamento dei sistemi e modelli esistenti e promuovere narrazioni, orizzonti e convivenze contro-egemoniche. L’etno-operatore è la figura cerniera che, seppure in maniera imperfetta e mai individuale, può leggere e decostruire le realtà esistenti attraverso relazioni, marginalità e campi incerti e instabili, ma non per questo meno potenziali. Dall’idea di includere il margine al centro, di adattare l’altro a una condizione “normale”, si passa a quella di re-immaginare le geografie e i modelli che sottendono gli attuali sistemi diseguali, a partire dalle opportunità che si generano proprio dalle storture e periferie, fisiche e simboliche, dello Stato. La metodologia dell’educativa di strada, l’approccio etnografico e olistico, il lavoro di équipe, lo sconfinamento, il legame debole e l’in-between divengono antidoti contro-egemonici che possono aiutare a contrastare le derive disumanizzanti del mondo contemporaneo, a co-costruire una contro-storia, nonché utili a riformulare le funzioni assunte in potenza da chi opera nel sociale.
L’etno-operatore del territorio: tra margini, soglie e relazioni
MINSENTI, FRANCESCO
2023/2024
Abstract
Come leggere il ruolo e il campo di chi opera come professionista e/o organizzazione nel Terzo Settore e nel lavoro sociale? Quali pratiche, strategie e prospettive è possibile (rin)tracciare a partire dalle voci, visioni e pratiche che gli attori del sociale operano quotidianamente? In questo lavoro di ricerca provo a formulare delle ipotesi e traiettorie a partire da queste e altre questioni. Tento perciò di sciogliere e, prima ancora, riconnettere i nodi che attraversano tanto le sfide dell’antropologia pubblica, quanto quelle della pratica sociale. L’intento è quello di far dialogare e intersecare metodologie, linguaggi e saperi apparentemente lontani, come quelli “teorici” e “pratici”, etnografici ed educativi. Tale intenzione nasce da un’esigenza, innanzitutto personale, ovverosia indagare come la mia “doppiezza”, essere educatore e antropologo, possa divenire e promuovere l’intersezione, più che la separazione, di saperi e professionalità. Perciò, a partire dalla mia esperienza personale, dalle domande costruite sui campi dell’Accademia e del Sociale, supportato e stimolato dai contesti e dalle persone con cui mi sono relazionato in questi anni, nonché ispirato e in dialogo con autori/trici e saperi critici, impegnati e interdisciplinari, ho tentato di (ri)formulare il senso, i concetti e i ruoli intorno al lavoro sociale oggi, nonché ai professionisti che operano in questo settore. Il campo nel quale situo il lavoro sociale è il margine: spazio e concetto che fa emergere le sfide e possibilità che si celano in un luogo e in una condizione il più delle volte definiti esclusivamente come problematici e a rischio. Il margine, provo a dimostrare, è quel luogo dell’attraversamento e superamento di confini, strutture e modelli stabiliti, è un interstizio di possibilità radicale. Tra un mercato del sociale in espansione e il mondo del progettificio che si normalizza, i soggetti del Terzo Settore incarnano e si interfacciano costantemente a contraddizioni, ambiguità e ombre del nostro tempo. Tale postura è rischiosa, poiché tende a legittimare lo status quo con funzioni contenitive e paternalistiche; ma è anche di possibilità, in quanto svela ed è testimone di questioni e fenomeni attuali e passati con cui è necessario fare i conti se si vuole realmente portare un cambiamento dei sistemi e modelli esistenti e promuovere narrazioni, orizzonti e convivenze contro-egemoniche. L’etno-operatore è la figura cerniera che, seppure in maniera imperfetta e mai individuale, può leggere e decostruire le realtà esistenti attraverso relazioni, marginalità e campi incerti e instabili, ma non per questo meno potenziali. Dall’idea di includere il margine al centro, di adattare l’altro a una condizione “normale”, si passa a quella di re-immaginare le geografie e i modelli che sottendono gli attuali sistemi diseguali, a partire dalle opportunità che si generano proprio dalle storture e periferie, fisiche e simboliche, dello Stato. La metodologia dell’educativa di strada, l’approccio etnografico e olistico, il lavoro di équipe, lo sconfinamento, il legame debole e l’in-between divengono antidoti contro-egemonici che possono aiutare a contrastare le derive disumanizzanti del mondo contemporaneo, a co-costruire una contro-storia, nonché utili a riformulare le funzioni assunte in potenza da chi opera nel sociale.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/6685