I teorici della fotografia, da Benjamin a Sontag o da Berger a Richtin, convengono tutti su un punto: nella fotografia analogica si ha la garanzia che se qualcosa è stato fotografato è realmente esistito. Al punto che, secondo Berger, «le prime fotografie erano considerate dei veri prodigi perché, ben più direttamente di qualsiasi altra forma di immagine visiva, presentavano la parvenza di ciò che era assente. Conservavano l'aspetto delle cose e permettevano che l'aspetto delle cose fosse portato altrove. [...] La sembianza del reale è la conferma più ampia dell'esserci del mondo, e quindi la parvenza del mondo continuamente propone e conferma il nostro rapporto con quell'esserci, che alimenta il nostro senso dell'Esistente. Prima di provare a leggere la fotografia dell'uomo con il cavallo, prima ancora di situarla e di darle un nome, il mero atto di osservarla conferma, anche se in modo sfuggente, il nostro senso di essere nel mondo, con i suoi uomini, cappelli, cavalli, briglie...» (Berger 1992, pag 87). La fotografia, quindi, ha un rapporto strettissimo con la realtà, e tale rapporto consolida la nostra percezione di esistere in un mondo tangibile. Durante la sua attività, Griffiths è rimasto sempre fedele a questo paradigma (Ritchin 2012, pag. 67). Ma come tutte le persone legate ad un paradigma, quando si è presenta una novità, è iniziato il conflitto. Nel caso di Griffiths, la spinosa nuova è stata un'invenzione del 1988: la Fuji DS-1P. Si tratta della prima fotocamera interamente digitale messa in commercio. L'invenzione ha rappresentato un vero spartiacque nella storia della fotografia, perché l'avvento del digitale ha rivoluzionato tanto la pratica quanto la teoria della fotografia in generale. Ma per Griffiths, l'avvento è stato più simile ad un apocalisse. Per comprendere la forza destabilizzante della novità digitale, leggiamo le parole dello stesso fotoreporter che, intervistato nel 1996 da "The Digital Journalist", ha dichiarato: «Il vero problema del digitale è che non c'è più motivo di credere alle fotografie. In un certo senso, si potrebbe ipotizzare che la fotografia sia stata una meteora del XX secolo. È arrivata e se n'è andata nel giro di cento anni¿ falsificare le immagini è così facile. Speriamo che ci sia una reazione a tutto questo. E che torneremo a fare fotografie vere su pellicola vera, e che la gente dica: si, questo è reale, è accaduto davvero» (Ivi, pag. 68). La sua dichiarazione esprime la nostalgia per un'epoca appena superata dalla tecnologia, e nasconde il timore di un artista che si domanda se il suo lavoro abbia ancora un senso, se non si può più affermare che «questo è reale» (Ibid.). Griffiths, in fondo, ha sempre creduto nel potere documentale dei suoi scatti e ha rischiato la vita per attestare la realtà della guerra vietnamita. Quindi di fronte a un'invenzione che mette in discussione tutte le sue fatiche, non può che esserne turbato. Il problema è che l'avvento della tecnologia digitale ha rimescolato le carte in tavola: la stabilità è stata sostituita dal flusso, il testo dall'ipertesto, la pellicola fotosensibile dal codice binario. Tutto ciò ha prodotto delle conseguenze, soprattutto nel mondo della fotografia. Ma si è proprio sicuri che la fotografia analogica abbia sempre detto la verità? Cosa è scomparso con la rivoluzione digitale? La rivoluzione digitale ha cancellato la veridicità delle fotografie? E in base alla risposta, quali sono le conseguenze?
Dalla pellicola al codice binario: la fotografia digitale
CORRADINI, ANDREA
2013/2014
Abstract
I teorici della fotografia, da Benjamin a Sontag o da Berger a Richtin, convengono tutti su un punto: nella fotografia analogica si ha la garanzia che se qualcosa è stato fotografato è realmente esistito. Al punto che, secondo Berger, «le prime fotografie erano considerate dei veri prodigi perché, ben più direttamente di qualsiasi altra forma di immagine visiva, presentavano la parvenza di ciò che era assente. Conservavano l'aspetto delle cose e permettevano che l'aspetto delle cose fosse portato altrove. [...] La sembianza del reale è la conferma più ampia dell'esserci del mondo, e quindi la parvenza del mondo continuamente propone e conferma il nostro rapporto con quell'esserci, che alimenta il nostro senso dell'Esistente. Prima di provare a leggere la fotografia dell'uomo con il cavallo, prima ancora di situarla e di darle un nome, il mero atto di osservarla conferma, anche se in modo sfuggente, il nostro senso di essere nel mondo, con i suoi uomini, cappelli, cavalli, briglie...» (Berger 1992, pag 87). La fotografia, quindi, ha un rapporto strettissimo con la realtà, e tale rapporto consolida la nostra percezione di esistere in un mondo tangibile. Durante la sua attività, Griffiths è rimasto sempre fedele a questo paradigma (Ritchin 2012, pag. 67). Ma come tutte le persone legate ad un paradigma, quando si è presenta una novità, è iniziato il conflitto. Nel caso di Griffiths, la spinosa nuova è stata un'invenzione del 1988: la Fuji DS-1P. Si tratta della prima fotocamera interamente digitale messa in commercio. L'invenzione ha rappresentato un vero spartiacque nella storia della fotografia, perché l'avvento del digitale ha rivoluzionato tanto la pratica quanto la teoria della fotografia in generale. Ma per Griffiths, l'avvento è stato più simile ad un apocalisse. Per comprendere la forza destabilizzante della novità digitale, leggiamo le parole dello stesso fotoreporter che, intervistato nel 1996 da "The Digital Journalist", ha dichiarato: «Il vero problema del digitale è che non c'è più motivo di credere alle fotografie. In un certo senso, si potrebbe ipotizzare che la fotografia sia stata una meteora del XX secolo. È arrivata e se n'è andata nel giro di cento anni¿ falsificare le immagini è così facile. Speriamo che ci sia una reazione a tutto questo. E che torneremo a fare fotografie vere su pellicola vera, e che la gente dica: si, questo è reale, è accaduto davvero» (Ivi, pag. 68). La sua dichiarazione esprime la nostalgia per un'epoca appena superata dalla tecnologia, e nasconde il timore di un artista che si domanda se il suo lavoro abbia ancora un senso, se non si può più affermare che «questo è reale» (Ibid.). Griffiths, in fondo, ha sempre creduto nel potere documentale dei suoi scatti e ha rischiato la vita per attestare la realtà della guerra vietnamita. Quindi di fronte a un'invenzione che mette in discussione tutte le sue fatiche, non può che esserne turbato. Il problema è che l'avvento della tecnologia digitale ha rimescolato le carte in tavola: la stabilità è stata sostituita dal flusso, il testo dall'ipertesto, la pellicola fotosensibile dal codice binario. Tutto ciò ha prodotto delle conseguenze, soprattutto nel mondo della fotografia. Ma si è proprio sicuri che la fotografia analogica abbia sempre detto la verità? Cosa è scomparso con la rivoluzione digitale? La rivoluzione digitale ha cancellato la veridicità delle fotografie? E in base alla risposta, quali sono le conseguenze?File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/65610