Molti affermano che negli anni recenti «a fronte della sempre crescente velocità e complessità, che connota le tendenze globali contemporanee, sembra che la capacità degli uomini di prevedere (e regolare) gli eventi» stia diminuendo. La certezza tipica dell'approccio razional-sinottico, modello decisionale dominante fino ai primi anni Settanta, è stata scardinata dal successivo approccio, quello incrementale, caratterizzato da elementi nuovi. La razionalità è limitata, il contesto dominato dall'incertezza, e la ¿direzione¿ del processo decisionale tipica è quella bottom up: «inizia dal basso e prosegue verso l'alto per influenzarne e definirne le scelte, ovvero, meglio, dal livello locale o più decentrato a quello più ampio» . Ancora, gli aggiustamenti sono continui, e l'interazione con l'ambiente è costante. Infine, i decisori sono molteplici e l'esito è frutto del loro mutuo adattamento. La «prospettiva più innovativa e più ricca di sviluppo» all'interno della famiglia dei modelli incrementali è la pianificazione strategica, caratterizzata da elementi quali l'interazione tra molteplici decisori, l'integrazione delle programmazioni, il dialogo e la costruzione condivisa di una visione e di un progetto comune. Si tratta quindi di uno strumento che nel campo sociale può essere un supporto utile alla inclusione e armonizzazione dei diversi ambiti di programmazione settoriale. L'intento del seguente lavoro è quello di individuare in che modo la pianificazione strategica ¿incontri¿ il sociale attraverso un percorso così strutturato. La trattazione è divisa in due parti: la prima ha un taglio teorico; la seconda presenta un primo studio di alcuni ¿casi¿ ritenuti interessanti. Inizialmente si propone una definizione di pianificazione strategica e la descrizione delle sue caratteristiche principali. È stato utile per questo fine, tra gli altri, il lavoro di Curti e Gibelli . Ci siamo soffertati sul principio di sussidiarietà e sulla programmazione integrata, entrambi collegati al difficile rapporto tra tecnica e politica. Il terzo capitolo (l'ultimo della prima parte) considera invece il sociale. Abbiamo presentato quindi la programmazione sociale, considerando specialmente le nuove configurazioni di welfare (in particolare il welfare mix) e accennando all'azione della legislazione sulla stessa (in primis la riforma del Titolo V della Costituzione italiana). Infine, abbiamo sollevato la questione del principio di sussidiarietà applicato al sociale e l'importanza di una regia nella programmazione plurilivello. La seconda parte è indirizzata ad una prima analisi comparata di alcuni piani strategici: Manchester, Pesaro, La Spezia e Torino. Per le prime tre città abbiamo proposto un riassunto del piano strategico seguito da un'analisi rispetto alle caratteristiche principali della pianificazione individuate nella parte teorica, con attenzione al tema del sociale: ci siamo chiesti se è presente e in quale modo viene interpretato. Il piano di Torino ha invece dato lo spunto per una riflessione critica sul tema della vision, evidenziando la distanza tra la teoria e la pratica.

Il sociale nella pianificazione strategica: una prima analisi comparata di alcuni approcci diversi

RUFFATO, MARINA
2013/2014

Abstract

Molti affermano che negli anni recenti «a fronte della sempre crescente velocità e complessità, che connota le tendenze globali contemporanee, sembra che la capacità degli uomini di prevedere (e regolare) gli eventi» stia diminuendo. La certezza tipica dell'approccio razional-sinottico, modello decisionale dominante fino ai primi anni Settanta, è stata scardinata dal successivo approccio, quello incrementale, caratterizzato da elementi nuovi. La razionalità è limitata, il contesto dominato dall'incertezza, e la ¿direzione¿ del processo decisionale tipica è quella bottom up: «inizia dal basso e prosegue verso l'alto per influenzarne e definirne le scelte, ovvero, meglio, dal livello locale o più decentrato a quello più ampio» . Ancora, gli aggiustamenti sono continui, e l'interazione con l'ambiente è costante. Infine, i decisori sono molteplici e l'esito è frutto del loro mutuo adattamento. La «prospettiva più innovativa e più ricca di sviluppo» all'interno della famiglia dei modelli incrementali è la pianificazione strategica, caratterizzata da elementi quali l'interazione tra molteplici decisori, l'integrazione delle programmazioni, il dialogo e la costruzione condivisa di una visione e di un progetto comune. Si tratta quindi di uno strumento che nel campo sociale può essere un supporto utile alla inclusione e armonizzazione dei diversi ambiti di programmazione settoriale. L'intento del seguente lavoro è quello di individuare in che modo la pianificazione strategica ¿incontri¿ il sociale attraverso un percorso così strutturato. La trattazione è divisa in due parti: la prima ha un taglio teorico; la seconda presenta un primo studio di alcuni ¿casi¿ ritenuti interessanti. Inizialmente si propone una definizione di pianificazione strategica e la descrizione delle sue caratteristiche principali. È stato utile per questo fine, tra gli altri, il lavoro di Curti e Gibelli . Ci siamo soffertati sul principio di sussidiarietà e sulla programmazione integrata, entrambi collegati al difficile rapporto tra tecnica e politica. Il terzo capitolo (l'ultimo della prima parte) considera invece il sociale. Abbiamo presentato quindi la programmazione sociale, considerando specialmente le nuove configurazioni di welfare (in particolare il welfare mix) e accennando all'azione della legislazione sulla stessa (in primis la riforma del Titolo V della Costituzione italiana). Infine, abbiamo sollevato la questione del principio di sussidiarietà applicato al sociale e l'importanza di una regia nella programmazione plurilivello. La seconda parte è indirizzata ad una prima analisi comparata di alcuni piani strategici: Manchester, Pesaro, La Spezia e Torino. Per le prime tre città abbiamo proposto un riassunto del piano strategico seguito da un'analisi rispetto alle caratteristiche principali della pianificazione individuate nella parte teorica, con attenzione al tema del sociale: ci siamo chiesti se è presente e in quale modo viene interpretato. Il piano di Torino ha invece dato lo spunto per una riflessione critica sul tema della vision, evidenziando la distanza tra la teoria e la pratica.
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