Con Re Orso, Arrigo Boito inizia un percorso che, partendo dall'impegno poetico e letterario e passando per i lavori operistici, pone in scena il conflitto eterno tra i due opposti nietzscheani che già si combattevano in Dualismo. Tuttavia, si vedrà che fin tanto che tale contrasto non trova un equilibrio o una più matura definizione, come avverrà nelle opere successive, Boito vela di un'atmosfera ironica le sue creature. Sicché, spesso, dal tragico scaturisce il buffo, dall'orrido il grottesco. Il primo capitolo è interamente dedicato alla trama dell'opera, analizzata e approfondita nelle parti che la compongono. Nel secondo capitolo illustro le motivazioni che hanno portato l'autore a concepire la fiaba, la validità del suo progetto, le posizioni dei critici a lui contemporanei. Studiando la ricezione del Re Orso, in particolare quella all'incirca contemporanea all'autore, mi sono imbattuto, com'è facile immaginare, in giudizi molto prudenti sul lavoro di Arrigo Boito, spesso negativi, qualche volta addirittura lapidari. Ben inteso, nei capitoli successivi si vedranno anche voci positive, ma, per lo più, il carattere innovativo di questa ¿fiaba¿ non poteva che spaventare gli accademici dell'epoca, avvezzi ad una letteratura più tradizionale. Inoltre, vedremo come la dimensione umoristica del Re Orso sia stata più volte dai critici fraintesa e sfruttata per liquidare l'opera come poco più che un gioco o addirittura, come disse il Galletti, «un po' demente». Ho cercato di mostrare in che modo il Re Orso possa essere considerato tappa fondamentale della formazione del poeta-librettista e tassello di un percorso assolutamente coerente. Si tenterà, poi, di risolvere l'apparente contraddizione di uno scrittore che tenta di scrollarsi di dosso la patina del recente Romanticismo, in quanto 'affiliato' del movimento scapigliato, eppure pesca a piene mani dai motivi tipicamente romantici, in particolare il gusto dell'orrido. Boito adora Victor Hugo, con cui tenne un felice rapporto epistolare, di cui darò qualche esempio, e Goethe, indiscusso modello del melodramma boitiano Mefistofele. Non manca Boito di inserire suggestioni dell'antichità classica, e per questo vedremo in che modo concilia queste influenze nel perseguire la sua 'arte dell'avvenire'. Nel quarto capitolo vengono analizzati i personaggi più importanti: Re Orso, Papiol, Trol, Oliba, il trovatore e, infine, il personaggio 'mefistofelico', ovvero la presenza del ¿maligno¿ nella fiaba. Nell'affrontare le figure che si muovono nella fiaba, propongo un percorso che parte dall'etimologia del nome e arriva a confrontarlo con modelli della letteratura precedente. Nel capitolo 4 viene dapprima esaminato il linguaggio adottato dall'autore, che, come vedremo, è assai composito, denso di latinismi, dantismi, neologismi e termini propri della lirica melodrammatica dell'Ottocento. In secondo luogo, propongo una riflessione sul rapporto che intercorre tra lo sperimentalismo del Re Orso, pregno di musicalità, e la successiva produzione operistica di Boito. Osserveremo, infatti, che la fiaba giovanile presenta più di un trait d'union con i lavori successivi, in particolare i libretti del Mefistofele, grande e controverso melodramma che vide Boito anche autore della musica, e del Nerone, l'ultima faticosa opera, che lo tenne impegnato fino alla morte, avvenuta nel 1918.

«Di spettri e demoni». Analisi del "Re Orso" di Arrigo Boito.

SORIENTE, FABIO
2013/2014

Abstract

Con Re Orso, Arrigo Boito inizia un percorso che, partendo dall'impegno poetico e letterario e passando per i lavori operistici, pone in scena il conflitto eterno tra i due opposti nietzscheani che già si combattevano in Dualismo. Tuttavia, si vedrà che fin tanto che tale contrasto non trova un equilibrio o una più matura definizione, come avverrà nelle opere successive, Boito vela di un'atmosfera ironica le sue creature. Sicché, spesso, dal tragico scaturisce il buffo, dall'orrido il grottesco. Il primo capitolo è interamente dedicato alla trama dell'opera, analizzata e approfondita nelle parti che la compongono. Nel secondo capitolo illustro le motivazioni che hanno portato l'autore a concepire la fiaba, la validità del suo progetto, le posizioni dei critici a lui contemporanei. Studiando la ricezione del Re Orso, in particolare quella all'incirca contemporanea all'autore, mi sono imbattuto, com'è facile immaginare, in giudizi molto prudenti sul lavoro di Arrigo Boito, spesso negativi, qualche volta addirittura lapidari. Ben inteso, nei capitoli successivi si vedranno anche voci positive, ma, per lo più, il carattere innovativo di questa ¿fiaba¿ non poteva che spaventare gli accademici dell'epoca, avvezzi ad una letteratura più tradizionale. Inoltre, vedremo come la dimensione umoristica del Re Orso sia stata più volte dai critici fraintesa e sfruttata per liquidare l'opera come poco più che un gioco o addirittura, come disse il Galletti, «un po' demente». Ho cercato di mostrare in che modo il Re Orso possa essere considerato tappa fondamentale della formazione del poeta-librettista e tassello di un percorso assolutamente coerente. Si tenterà, poi, di risolvere l'apparente contraddizione di uno scrittore che tenta di scrollarsi di dosso la patina del recente Romanticismo, in quanto 'affiliato' del movimento scapigliato, eppure pesca a piene mani dai motivi tipicamente romantici, in particolare il gusto dell'orrido. Boito adora Victor Hugo, con cui tenne un felice rapporto epistolare, di cui darò qualche esempio, e Goethe, indiscusso modello del melodramma boitiano Mefistofele. Non manca Boito di inserire suggestioni dell'antichità classica, e per questo vedremo in che modo concilia queste influenze nel perseguire la sua 'arte dell'avvenire'. Nel quarto capitolo vengono analizzati i personaggi più importanti: Re Orso, Papiol, Trol, Oliba, il trovatore e, infine, il personaggio 'mefistofelico', ovvero la presenza del ¿maligno¿ nella fiaba. Nell'affrontare le figure che si muovono nella fiaba, propongo un percorso che parte dall'etimologia del nome e arriva a confrontarlo con modelli della letteratura precedente. Nel capitolo 4 viene dapprima esaminato il linguaggio adottato dall'autore, che, come vedremo, è assai composito, denso di latinismi, dantismi, neologismi e termini propri della lirica melodrammatica dell'Ottocento. In secondo luogo, propongo una riflessione sul rapporto che intercorre tra lo sperimentalismo del Re Orso, pregno di musicalità, e la successiva produzione operistica di Boito. Osserveremo, infatti, che la fiaba giovanile presenta più di un trait d'union con i lavori successivi, in particolare i libretti del Mefistofele, grande e controverso melodramma che vide Boito anche autore della musica, e del Nerone, l'ultima faticosa opera, che lo tenne impegnato fino alla morte, avvenuta nel 1918.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14240/64296