For a long time apple cultivation is one of the most important fruit production in Piedmont (Italy); up the second half of past century it was based on a large number of traditional genotypes that have been selected by local growers in the course of time. However since 1960s, with the diffusion of specialized orchards, the wide range of local cultivars was mostly abandoned and replaced by commercial genotypes, because they were more productive an best fitting market requests. Parts of traditional orchards with ancient cultivars have been preserved in mountain and hill marginal areas, where intensive apple cultivation did not strongly expand, because of social and economical reasons. From these places it was possible to start, during last years, the recovering and valorization of the traditional genotypes, by working on potentiality that the area can offer in terms of typicality and multifunctionality. Thanks to a long work of genotype research, description and conservation, carried out by University, Region and no profit organizations, many ancient cultivars survived and now they could be recultivated, with the appropriate techniques for the valorization. Ancient cultivars indeed cannot be compared with commercial genotypes in terms of productivity, but they can exploit mountain plots to the best, because they are highly adapted to their original environment, and furthermore they are able to promote the territory because they are typical productions. Many research methods (based on morphological, genetic, chemical-physical and sensory analysis), have been developed to identify and characterize the fruit tree local genotypes. In 2012 genetic, nutritional and sensory analysis were carried out by ex Dipartimento di Colture Arboree (now Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari, Università degli Studi di Torino) in order to evaluate the possibility of commercial valorization of some apple (Malus domestica Borkh.) ancient cultivars in Piedmont Region. The peculiarity of this study was the synergy between the techniques used, in order to obtain, for each genotype, different information that contribute to create a complete quality profile. The synergic use of morphological, genetic, chemical and sensory techniques allow indeed to judge cultivars from all the points of view, and thus to individuate the best ways for conservation and valorization of each genotype. It might be useful to think about conservation strategies not just based on passive conservation (that, in absence of considerable financing, is often economically problematic or unsustainable), but based on integrated valorization projects to exploit potentialities (acknowledged by a series of recent studies) offered by ancient regional cultivars. Valorization opportunities may be related to the touristic, naturalistic, landscape, cultural and historical territory perspectives, or may be related to typical product value, to transformation industry, to high quality nutritional and sensory profile of ancient cultivars, or finally to the possible use of genotypes within breeding programs for genetic improvement.
Da tempo la melicoltura rappresenta in Piemonte una delle produzioni frutticole più importanti. A partire dagli anni '60, con l'avvento degli impianti specializzati di pianura, l'ampio panorama cultivarietale regionale è stato in gran parte abbandonato in favore dei genotipi commerciali, più produttivi e meglio adattabili alle richieste del mercato. Nelle aree montane e collinari tuttavia, dove la melicoltura intensiva non ha avuto forte sviluppo per ragioni sociali ed economiche, si sono conservate le tracce degli impianti tradizionali e in essi alcuni esemplari delle antiche cultivar. Proprio da questi luoghi è stato possibile ripartire per il recupero dei genotipi autoctoni, grazie ad un lavoro di ricerca, descrizione e conservazione attuato da diversi enti negli ultimi anni: molte cultivar antiche sono sopravvissute e possono quindi essere reintrodotte in coltura adottando opportune strategie per la valorizzazione, lavorando sulle potenzialità che tipicità e multifunzionalità del territorio sono in grado di offrire. I genotipi autoctoni non possono infatti essere confrontati con le cultivar commerciali per quanto riguarda la produttività, ma possiedono un elevato grado di adattamento al loro ambiente di origine, che li rende capaci di sfruttare al meglio i terreni vocati e di promuovere il territorio grazie al valore della loro tipicità. Ai fini dell'identificazione e caratterizzazione degli antichi genotipi di fruttiferi, sono state messe a punto, nel corso degli anni, diverse tecniche di indagine che si basano su analisi morfologiche, genetiche, chimico-fisiche e sensoriali. Nell'ambito di un lavoro di ricerca, conclusosi nel 2012 all'interno dell'ex Dipartimento di Colture Arboree (oggi Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari) dell'Università degli Studi di Torino, sono state svolte analisi genetiche, nutraceutiche e sensoriali per valutare eventuali possibilità di valorizzazione commerciale di alcune antiche cultivar piemontesi di melo (Malus domestica Borkh). La peculiarità dello studio condotto è stata quella di utilizzare in sinergia più metodologie di indagine, arrivando ad ottenere, per ciascun genotipo, differenti informazioni che concorrono a crearne un profilo di caratterizzazione piuttosto completo. L'utilizzo in sinergia delle tecniche morfologiche, genetiche, chimiche e sensoriali consente, infatti, di valutare ogni singola cultivar sotto una molteplicità di punti di vista e di individuare quindi il percorso migliore da intraprendere per la conservazione e la valorizzazione di ciascuna di esse. A tal proposito è possibile pensare a dei percorsi di salvaguardia che non si basino solamente su una conservazione passiva (che finisce spesso per diventare, in mancanza di adeguati finanziamenti, economicamente problematica, se non insostenibile), ma che siano parte integrante di un progetto di valorizzazione in grado di sfruttare appieno le potenzialità offerte dalle antiche cultivar di melo piemontesi, riconosciute già da una serie di recenti studi e ricerche. Le possibilità di valorizzazione possono essere legate a un aspetto turistico, naturalistico, paesaggistico e storico-culturale dei territori in cui tali colture si collocano, o ancora al valore dei prodotti tipici, all'industria di trasformazione, all'alta qualità del profilo nutraceutico e sensoriale che caratterizza le cultivar autoctone, o infine alle possibilità offerte da tali genotipi nell'ambito dei programmi di miglioramento genetico
Caratterizzazione e conservazione della biodiversità di cultivar di Malus domestica Borkh.
PACINI, GIULIA
2012/2013
Abstract
Da tempo la melicoltura rappresenta in Piemonte una delle produzioni frutticole più importanti. A partire dagli anni '60, con l'avvento degli impianti specializzati di pianura, l'ampio panorama cultivarietale regionale è stato in gran parte abbandonato in favore dei genotipi commerciali, più produttivi e meglio adattabili alle richieste del mercato. Nelle aree montane e collinari tuttavia, dove la melicoltura intensiva non ha avuto forte sviluppo per ragioni sociali ed economiche, si sono conservate le tracce degli impianti tradizionali e in essi alcuni esemplari delle antiche cultivar. Proprio da questi luoghi è stato possibile ripartire per il recupero dei genotipi autoctoni, grazie ad un lavoro di ricerca, descrizione e conservazione attuato da diversi enti negli ultimi anni: molte cultivar antiche sono sopravvissute e possono quindi essere reintrodotte in coltura adottando opportune strategie per la valorizzazione, lavorando sulle potenzialità che tipicità e multifunzionalità del territorio sono in grado di offrire. I genotipi autoctoni non possono infatti essere confrontati con le cultivar commerciali per quanto riguarda la produttività, ma possiedono un elevato grado di adattamento al loro ambiente di origine, che li rende capaci di sfruttare al meglio i terreni vocati e di promuovere il territorio grazie al valore della loro tipicità. Ai fini dell'identificazione e caratterizzazione degli antichi genotipi di fruttiferi, sono state messe a punto, nel corso degli anni, diverse tecniche di indagine che si basano su analisi morfologiche, genetiche, chimico-fisiche e sensoriali. Nell'ambito di un lavoro di ricerca, conclusosi nel 2012 all'interno dell'ex Dipartimento di Colture Arboree (oggi Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari) dell'Università degli Studi di Torino, sono state svolte analisi genetiche, nutraceutiche e sensoriali per valutare eventuali possibilità di valorizzazione commerciale di alcune antiche cultivar piemontesi di melo (Malus domestica Borkh). La peculiarità dello studio condotto è stata quella di utilizzare in sinergia più metodologie di indagine, arrivando ad ottenere, per ciascun genotipo, differenti informazioni che concorrono a crearne un profilo di caratterizzazione piuttosto completo. L'utilizzo in sinergia delle tecniche morfologiche, genetiche, chimiche e sensoriali consente, infatti, di valutare ogni singola cultivar sotto una molteplicità di punti di vista e di individuare quindi il percorso migliore da intraprendere per la conservazione e la valorizzazione di ciascuna di esse. A tal proposito è possibile pensare a dei percorsi di salvaguardia che non si basino solamente su una conservazione passiva (che finisce spesso per diventare, in mancanza di adeguati finanziamenti, economicamente problematica, se non insostenibile), ma che siano parte integrante di un progetto di valorizzazione in grado di sfruttare appieno le potenzialità offerte dalle antiche cultivar di melo piemontesi, riconosciute già da una serie di recenti studi e ricerche. Le possibilità di valorizzazione possono essere legate a un aspetto turistico, naturalistico, paesaggistico e storico-culturale dei territori in cui tali colture si collocano, o ancora al valore dei prodotti tipici, all'industria di trasformazione, all'alta qualità del profilo nutraceutico e sensoriale che caratterizza le cultivar autoctone, o infine alle possibilità offerte da tali genotipi nell'ambito dei programmi di miglioramento geneticoFile | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/60365