A Torino, il problema dell'interpretazione musicale venne approfondito a partire dagli anni Trenta dall'entourage della «Rassegna musicale», un importante periodico musicale che costituiva un saldo centro di critica d'impostazione idealistica. Secondo la concezione estetica crociana, al momento creativo vero e proprio, caratterizzato dall'intuizione lirica attraverso la quale l'opera prendeva vita nella sua completezza, seguiva la comunicazione, la quale, afferendo all'ambito tecnico, si configurava come atto pratico e non estetico. Benedetto Croce non si era mai direttamente interessato alla musica e ciò permise la nascita di pareri contrastanti all'interno delle discussioni a carattere estetico-musicale sviluppate in ambito idealistico. In particolare, il dibattito sull'interpretazione musicale era fiorito attorno a due binomi: tecnica e passività da una parte, creatività e libertà dall'altra, con tutte le implicazioni estetiche che queste concezioni comportavano nell'ambiente filosofico idealistico. Alcuni intellettuali, sebbene si fossero formati in ambito crociano, avevano tentato di mediare tra le due possibilità, altrimenti insufficienti a spiegare il fenomeno interpretativo, ma non erano stati disposti ad uscire dall'impostazione filosofica iniziale e i rigidi presupposti da cui aveva inizio la discussione indebolivano notevolmente le fondamenta delle teorie crociane e gentiliane, che spesso venivano contraddette e messe in crisi dalla realtà dei fatti. Massimo Mila, musicologo torinese, collaborò sin da giovane con la rivista torinese, arrivando a collaborare direttamente con la direzione. Nel 1946, scrivendo a proposito dell'interpretazione, prese le distanze dall'approccio della rivista, pur riconoscendo agli idealisti il merito di aver posto il problema, senza però aver dato soluzioni che contemplassero un'apertura filosofica al di là dell'eredità crociana . L'interprete non può far altro che ricreare, cioè ricondurre alla propria esecuzione la sua vita spirituale. Spesso si parla di «contributo personale», che non deve essere letto come elemento imponderabile e misterioso che si sovrappone alla meccanicità della lettura. Come afferma Mila, «l'interpretazione non si aggiunge alla lettura, ma si crea nell'atto stesso di leggere la musica, è quell'atto stesso, è il contributo che l'interprete arreca della propria vita spirituale è il modo di quella lettura, dalla lettura assolutamente indistinguibile» . Questa concezione dell'interprete si stacca notevolmente dalla visione crociana, l'atto interpretativo è qui considerato in chiave attiva, non in quanto ¿mera immagine¿, necessaria comunicazione di un'intuizione, bensì come ¿lettura¿ che prende in considerazione la vita spirituale stessa dell'interprete. Il riferimento filosofico non è più l'idealismo, ma si avvicina considerevolmente alla concezione estetica che qualche anno dopo, nel 1954, Luigi Pareyson esporrà nella sua Estetica. Teoria della formatività. L'interpretazione rappresenta l'inevitabile approccio all'opera d'arte, si gioca su un sottile equilibrio instaurato tra lo svelamento di ciò che si interpreta e la persona dell'interpretante. Questo lavoro si propone di ricostruire il dibattito torinese sull'interpretazione musicale, svoltosi tra gli anni '30 e gli anni '50, concentrando l'attenzione sul cambiamento del paradigma filosofico che portò Massimo Mila ad invertire le tendenze idealistico-crociane della musicologia torinese a lui contemporanea.
Esecuzione ed interpretazione. La svolta del dibattito estetico-musicale torinese negli anni Cinquanta.
LIJOI, CHIARA
2013/2014
Abstract
A Torino, il problema dell'interpretazione musicale venne approfondito a partire dagli anni Trenta dall'entourage della «Rassegna musicale», un importante periodico musicale che costituiva un saldo centro di critica d'impostazione idealistica. Secondo la concezione estetica crociana, al momento creativo vero e proprio, caratterizzato dall'intuizione lirica attraverso la quale l'opera prendeva vita nella sua completezza, seguiva la comunicazione, la quale, afferendo all'ambito tecnico, si configurava come atto pratico e non estetico. Benedetto Croce non si era mai direttamente interessato alla musica e ciò permise la nascita di pareri contrastanti all'interno delle discussioni a carattere estetico-musicale sviluppate in ambito idealistico. In particolare, il dibattito sull'interpretazione musicale era fiorito attorno a due binomi: tecnica e passività da una parte, creatività e libertà dall'altra, con tutte le implicazioni estetiche che queste concezioni comportavano nell'ambiente filosofico idealistico. Alcuni intellettuali, sebbene si fossero formati in ambito crociano, avevano tentato di mediare tra le due possibilità, altrimenti insufficienti a spiegare il fenomeno interpretativo, ma non erano stati disposti ad uscire dall'impostazione filosofica iniziale e i rigidi presupposti da cui aveva inizio la discussione indebolivano notevolmente le fondamenta delle teorie crociane e gentiliane, che spesso venivano contraddette e messe in crisi dalla realtà dei fatti. Massimo Mila, musicologo torinese, collaborò sin da giovane con la rivista torinese, arrivando a collaborare direttamente con la direzione. Nel 1946, scrivendo a proposito dell'interpretazione, prese le distanze dall'approccio della rivista, pur riconoscendo agli idealisti il merito di aver posto il problema, senza però aver dato soluzioni che contemplassero un'apertura filosofica al di là dell'eredità crociana . L'interprete non può far altro che ricreare, cioè ricondurre alla propria esecuzione la sua vita spirituale. Spesso si parla di «contributo personale», che non deve essere letto come elemento imponderabile e misterioso che si sovrappone alla meccanicità della lettura. Come afferma Mila, «l'interpretazione non si aggiunge alla lettura, ma si crea nell'atto stesso di leggere la musica, è quell'atto stesso, è il contributo che l'interprete arreca della propria vita spirituale è il modo di quella lettura, dalla lettura assolutamente indistinguibile» . Questa concezione dell'interprete si stacca notevolmente dalla visione crociana, l'atto interpretativo è qui considerato in chiave attiva, non in quanto ¿mera immagine¿, necessaria comunicazione di un'intuizione, bensì come ¿lettura¿ che prende in considerazione la vita spirituale stessa dell'interprete. Il riferimento filosofico non è più l'idealismo, ma si avvicina considerevolmente alla concezione estetica che qualche anno dopo, nel 1954, Luigi Pareyson esporrà nella sua Estetica. Teoria della formatività. L'interpretazione rappresenta l'inevitabile approccio all'opera d'arte, si gioca su un sottile equilibrio instaurato tra lo svelamento di ciò che si interpreta e la persona dell'interpretante. Questo lavoro si propone di ricostruire il dibattito torinese sull'interpretazione musicale, svoltosi tra gli anni '30 e gli anni '50, concentrando l'attenzione sul cambiamento del paradigma filosofico che portò Massimo Mila ad invertire le tendenze idealistico-crociane della musicologia torinese a lui contemporanea.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14240/60208