La zona franca non è, certo, uno spunto classico di conversazione, ma è tornato ad essere un argomento di attualità alla luce della recente rivalsa sarda. Pur tuttavia, troppo spesso, discorrere di zona franca equivale a cadere in stereotipi ed equivoci che portano a ritenere il privilegio fiscale un argomento alquanto nebuloso. Tutto ciò a causa di un'idea distorta di questo concetto che, prima di essere sinonimo di evasione fiscale e illegalità spinta, rappresentava un concentrato di potenzialità identificabili nella crescita, nello sviluppo e, solo in seguito, nella piena situazione di vantaggio economico rispetto ai paesi non beneficiari di un simile provvedimento. Il metodo di procedere più coerente mi è parso quello di circoscrivere il campo di ricerca e focalizzarlo sulle mie radici, ovvero la Valle d'Aosta, la piccola ma contraddittoria terra da cui vengo. Un secondo passo è rappresentato dalla ricerca delle basi storiche del fenomeno, partendo dalla cesura rispetto alla frammentazione fiscale e doganale posta in essere dall'emanazione della Charte des Franchises. Tutto ciò per capire che la storia, a ondate, dalla fine del XII secolo ha riproposto l'esigenza di autonomia, anche e soprattutto fiscale, prima negandola e poi ricercandola, in una danza lunga otto secoli. Le orchestre non suonano all'infinito e, infatti, la musica di sottofondo si è interrotta bruscamente nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando l'esigenza di riconquistarsi ciò che il ventennio fascista aveva sottratto era diventata di primaria importanza, anche a costo di sacrificare la propria vita, per la causa autonomista. Il sacrificio, però, come si giungerà a chiarire, è valso a poco, e la conquistata autonomia e la conseguente zona franca sono presto passate di moda. L'obiettivo di questo lavoro è, pertanto, quello di domandarsi se ci siano, dopo sessantacinque anni di vita dello Statuto Speciale, spazi di attuazione piena e concreta per l'articolo 14. Al fine di giungere a una risposta il più possibile coerente e attuale chi scrive vuole pervenire ad un confronto tra le sfaccettature dell'esperienza valdostana e alcune delle più significative occasioni circostanti, per valore intrinseco o per affinità con le vicende della Petite Patrie. Scrivere di zona franca, partendo dai suoi remoti antenati per giungere a esempi eccellenti e passando attraverso la magra esperienza locale, è stato per me un viaggio catartico alle radici dell'autonomia, nucleo pulsante quanto nascosto di questa tesi. Un cammino simile non può che condurre a riflettere sulle basi e sulle ragioni di una specialità, troppo spesso data per acquisita se non, addirittura, malamente valorizzata.

LA ZONA FRANCA IN VALLE D'AOSTA

BONARELLI, MARTA
2012/2013

Abstract

La zona franca non è, certo, uno spunto classico di conversazione, ma è tornato ad essere un argomento di attualità alla luce della recente rivalsa sarda. Pur tuttavia, troppo spesso, discorrere di zona franca equivale a cadere in stereotipi ed equivoci che portano a ritenere il privilegio fiscale un argomento alquanto nebuloso. Tutto ciò a causa di un'idea distorta di questo concetto che, prima di essere sinonimo di evasione fiscale e illegalità spinta, rappresentava un concentrato di potenzialità identificabili nella crescita, nello sviluppo e, solo in seguito, nella piena situazione di vantaggio economico rispetto ai paesi non beneficiari di un simile provvedimento. Il metodo di procedere più coerente mi è parso quello di circoscrivere il campo di ricerca e focalizzarlo sulle mie radici, ovvero la Valle d'Aosta, la piccola ma contraddittoria terra da cui vengo. Un secondo passo è rappresentato dalla ricerca delle basi storiche del fenomeno, partendo dalla cesura rispetto alla frammentazione fiscale e doganale posta in essere dall'emanazione della Charte des Franchises. Tutto ciò per capire che la storia, a ondate, dalla fine del XII secolo ha riproposto l'esigenza di autonomia, anche e soprattutto fiscale, prima negandola e poi ricercandola, in una danza lunga otto secoli. Le orchestre non suonano all'infinito e, infatti, la musica di sottofondo si è interrotta bruscamente nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando l'esigenza di riconquistarsi ciò che il ventennio fascista aveva sottratto era diventata di primaria importanza, anche a costo di sacrificare la propria vita, per la causa autonomista. Il sacrificio, però, come si giungerà a chiarire, è valso a poco, e la conquistata autonomia e la conseguente zona franca sono presto passate di moda. L'obiettivo di questo lavoro è, pertanto, quello di domandarsi se ci siano, dopo sessantacinque anni di vita dello Statuto Speciale, spazi di attuazione piena e concreta per l'articolo 14. Al fine di giungere a una risposta il più possibile coerente e attuale chi scrive vuole pervenire ad un confronto tra le sfaccettature dell'esperienza valdostana e alcune delle più significative occasioni circostanti, per valore intrinseco o per affinità con le vicende della Petite Patrie. Scrivere di zona franca, partendo dai suoi remoti antenati per giungere a esempi eccellenti e passando attraverso la magra esperienza locale, è stato per me un viaggio catartico alle radici dell'autonomia, nucleo pulsante quanto nascosto di questa tesi. Un cammino simile non può che condurre a riflettere sulle basi e sulle ragioni di una specialità, troppo spesso data per acquisita se non, addirittura, malamente valorizzata.
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