Il nostro Paese ha attraversato, in particolar modo dagli anni '90 ad oggi, periodi di gravi crisi economiche ed occupazionali. Per questo, principale interesse è stato per il nostro legislatore quello di provare soluzioni che potessero portarci similmente sulle strade intraprese dagli altri Paesi europei, cercando di adattarsi alle direttive comunitarie e trovare soluzioni idonee ad innalzare il livello occupazionale. Dal 1962 ad oggi si sono viste varie riforme atte a creare una legislazione più flessibile, una flessibilità in entrata che potesse migliorare ed aiutare la ripresa occupazionale. Nel concreto, le varie riforme hanno riguardato il contratto a tempo determinato, ancorandolo alle ¿ragioni obiettive¿, disposte dal decreto del 2001, fino alla riforma Fornero del 2012, secondo la quale, e valido solo per il primo contratto e non oltre la durata di 12 mesi, non vi sarebbe più l'obbligo di dimostrare le ragioni legittimanti l'apposizione del termine. In tutte queste riforme, il legislatore ha mantenuto saldo il principio secondo il quale il contratto a tempo determinato risulta l'eccezione, mentre il contratto a tempo indeterminato la regola. Ma, dai dati Istat, INPS, dalla elaborazione dei dati longitudinali, emerge che vi è sempre più un ricorso maggiore al contratto cosiddetto precario. Ad oggi, i dati non rilevano una maggiore occupazione, risultando che a settembre del 2013 i disoccupati sono 3 milioni 194 mila e che il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,9% rispetto il mese precedente e del 14% su base annua. Attualmente il 67% dei lavoratori sono assunti mediante contratto a termine, che il solo 5% è stato stabilizzato e che il 90% è stato assunto solo per un anno. Analizzando la riforma della legge n. 92/2012, grazie anche all'aiuto della Prof.ssa Fornero, possiamo affermare che le finalità a cui mirava non sono state soddisfatte.

il contratto a tempo determinato nella Legge n. 92/2012 (c.d. riforma Fornero) e sue problematiche

ALBANESE, KATIA
2012/2013

Abstract

Il nostro Paese ha attraversato, in particolar modo dagli anni '90 ad oggi, periodi di gravi crisi economiche ed occupazionali. Per questo, principale interesse è stato per il nostro legislatore quello di provare soluzioni che potessero portarci similmente sulle strade intraprese dagli altri Paesi europei, cercando di adattarsi alle direttive comunitarie e trovare soluzioni idonee ad innalzare il livello occupazionale. Dal 1962 ad oggi si sono viste varie riforme atte a creare una legislazione più flessibile, una flessibilità in entrata che potesse migliorare ed aiutare la ripresa occupazionale. Nel concreto, le varie riforme hanno riguardato il contratto a tempo determinato, ancorandolo alle ¿ragioni obiettive¿, disposte dal decreto del 2001, fino alla riforma Fornero del 2012, secondo la quale, e valido solo per il primo contratto e non oltre la durata di 12 mesi, non vi sarebbe più l'obbligo di dimostrare le ragioni legittimanti l'apposizione del termine. In tutte queste riforme, il legislatore ha mantenuto saldo il principio secondo il quale il contratto a tempo determinato risulta l'eccezione, mentre il contratto a tempo indeterminato la regola. Ma, dai dati Istat, INPS, dalla elaborazione dei dati longitudinali, emerge che vi è sempre più un ricorso maggiore al contratto cosiddetto precario. Ad oggi, i dati non rilevano una maggiore occupazione, risultando che a settembre del 2013 i disoccupati sono 3 milioni 194 mila e che il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,9% rispetto il mese precedente e del 14% su base annua. Attualmente il 67% dei lavoratori sono assunti mediante contratto a termine, che il solo 5% è stato stabilizzato e che il 90% è stato assunto solo per un anno. Analizzando la riforma della legge n. 92/2012, grazie anche all'aiuto della Prof.ssa Fornero, possiamo affermare che le finalità a cui mirava non sono state soddisfatte.
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